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Fate entrare i bravi nell’università. Non usciranno i sorrisi.

Ho appena finito con i miei collaboratori la bellezza di 90 esami orali in 3 giorni di studenti del primo anno. Dopo gli scritti.

Siamo stanchi ed è tardi, il solito caldo estivo, ma siamo felici. E’ una strana sensazione da spiegare, quella della felicità dell’esamificio. In parte è riflesso innato degli esaminatori, un rito che si ripete, il ricordo degli anni passati insieme a collaborare, valutare, mangiare a pranzo insieme, come dei commilitoni.

Ma in realtà è ben altro. Sono i sorrisi a malapena trattenuti di chi prende la lode, la felicità esplicita di chi si è levato un peso, la gioia di chi ha superato il suo primo esame dopo tante bocciature, la commozione che esplode di chi era teso come un arco di violino, la simpatia di chi si sente di avere preso un voto più alto di quello che pensava meritare e non trattiene la sorpresa.

Siamo sempre felici. Gli vogliamo bene noi alla nostra università. Ci piace trattarla bene perché ci tratta benissimo, sappiamo di essere dei fortunati. Chi lavora coi giovani ed è pagato per pensare e insegnare è un fortunato, non credete?

Questi fortunati dovrebbero dunque meritarsi questo ingresso in questo posto meraviglioso. Sono tanti a volerlo proprio per questo motivo. Vorremmo che vi entrino i più bravi: a insegnare, a ricercare, a insegnare e ricercare.

Dunque è importante come li selezioniamo. E non è mai facile, errori possono capitare, si giudica oggi un qualcosa che darà frutti nel domani, così complicato.

Quindi vi dico cosa penso della prima bozza uscita della legge di riforma dei concorsi universitari, sperando che venga rapidamente modificata (ci riferiamo al testo attualmente in circolazione) e che non modifica i difetti peggiori della legge Gelmini, pensando invece di porvi rimedio.

Intanto vi dico come la penso io. Come l’ho sempre pensata io. Piga Gustavo ha un nipote di 21 anni non laureato che insiste per che venga reclutato senza competenza alcuna come professore ordinario (il più alto grado) strapagato? Bene, lo si faccia. Nessun concorso, niente? Assolutamente. Con un ma. Che quella Università paghi un prezzo molto ma molto alto in termini di finanziamenti negati se così avvenisse. Ovviamente, molti saranno i fondi che affluiranno invece a quelle università che liberamente scegliessero di assumere giovani ricercatori competenti ed appassionati maestri in aula. Certamente è fondamentale che una buona parte dei soldi alle Università che hanno fatto bene arrivino nelle tasche dei docenti che hanno permesso alla stessa Università di fare bene (sennò addio incentivo a fare bene). Un sistema simile (con dei suoi difetti a cui si cerca nel tempo di porre rimedio) è quello britannico.

Qualcuno potrebbe pensare che questa sia la filosofia che sottosta al disegno di legge (non ufficiale) del Governo Monti quando restituisce agli Atenei locali il potere di farsi le proprie selezioni (addirittura rispetto a prima le Commissioni sono al 50% interne, membri nominati dal Rettore!) e addirittura penalizza di 3 volte il costo della chiamata quelle università che reclutano un docente che verrà poi ritenuto non degno! Cioè se io faccio diventare ricercatore mio nipote con uno stipendio di 30.000 euro la legge penalizza l’Ateneo di 90.000 euro. Wow. Briciole. Soldi che paga tutto l’Ateneo e dunque non il responsabile della cattiva chiamata.

Ora mettetevi nei panni di un circolo ristretto di docenti (potenti) che hanno interesse – perché miei amici – ad assumere mio nipote. Il guadagno per loro è enorme: hanno un credito con me, e a quel ragazzo incompetente hanno regalato non 30.000 euro ma 30.000 euro l’anno per il resto della sua vita e chissà quali altri favori otterranno in futuro da mio nipote con i loro nipoti quando toccherà fare entrare loro all’Università.

Mi direte, ma no, c’è chi protesterà. Oh sì, Gianfranco. Gianfranco protesta sempre perché è un idealista, un puro. Uno sfigato secondo alcuni, un rompiscatole secondo altri. Ma Gianfranco conta poco. Gli altri professori? Beh, facciamoci un po’ di conti. Ci perdono 90.000 euro di finanziamenti. Procapite saranno 90 euro per un Ateneo con 1000 docenti. Pensate che urlino e starnazzino? Con il rischio di mettersi contro i grandi baroni?

Ma dai.

Questo sistema è perfettamente incapace di combattere l’enorme potere dei potentati locali.

Ci vogliono signori premi per quegli Atenei che chiamano a sé il meglio, signore penalizzazioni per chi chiama a sé il peggio. Così che all’interno gli Atenei sentano il costo delle scelte sbagliate e i suoi componenti si oppongano credibilmente a queste e supportino quelle giuste perché hanno solo da guadagnarvi anche loro.

Se non lo faremo, nella mia università si spegneranno tanti sorrisi, di quei giovani che hanno bisogno di credere che nel loro futuro c’è un Paese dove chi si impegna viene comunque premiato.

Grazie a Lorenzo e Stefano.

8 comments

  1. carlo zoccolotti

    08/06/2012 @ 14:12

    D’accordo sul creare una penalizzazione forte all’assunzione di raccomandati incentivando il resto dei docenti a protestare. Mi preoccupano pero’ i criteri per giudicare (poi) tale inettitudine. Diversi casi recenti han dimostrato per esempio come spesso la carriera del “nostro” possa esser preparata con inserimento in pubblicazioni con molti autori. E’ un tema sensibile?
    Mi vengono in mente due riflessioni (un po provocatorie):
    - un governo di cambiamento che ha scelto come suo unico (!) membro giovane uno diventato ordinaro a 29 anni ha credibilita’ nell’implementare un cambiamento efficace di tali procedure?
    - Sono realista e comprendo perfettamente l’importanza di incentivi. Ma i casi sono stati talmente tanti ed eclatanti che una reazione forte da parte dei componenti del faro intellettuale del paese sarebbe stata comunque auspicabile. Non e’ avvenuto e oggi anche per questo ci sono interi atenei in mano a gentaccia. Ne dobbiamo prendere atto.

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  2. paolo magagnoli

    08/06/2012 @ 17:33

    caro gustavo, sono un ricercatore a contratto ad University College London. Penso di conoscere abbastanza bene il sistema inglese. Ebbene, anche qui ho assistito di persona ad assunzioni di persone raccomandate. Ma certo mai figli o nipoti di altri professori. Come mai in Italia non si puo stabilire che i figli o nipoti di un barone non possono di norma lavorare nella stessa universita del padre, zio, nonno? In secondo, luogo il relativo maggiore grado di meritocrazia in inghilterra deriva dal REF: la valutazione sul numero e il livello di pubblicazioni prodotte da una facolta che viene fatto ogni 5 anni. Piu queste sono tante e di rilievo e piu la valutazione del dipartimento e` alta e, di conseguenza, maggiori sono i finanziamenti dello stato. Perche e` cosi difficile in Italia introdurre una norma che vincoli i finanziamenti ad un’universita a seconda del ‘research output’ (articoli, libri, convegni…etc) dei docenti? La risposta e` che se questa norma fosse introdotta la maggior parte dei docenti Italiani dovrebbe essere licenziata in tronco (!) visto il livello mediocre di pubblicazioni che spesso anche docenti ordinari hanno. Se la norma fosse introdotta, i figli di papa, che non han pubblicato niente perche fare ricerca e` un lavoro duro, non verrebbero assunti dalle universita e invece quelli meritevoli si.
    Paolo

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    • Grazie Paolo, concordo e non. Con Elisabetta Iossa abbiamo scritto una proposta basata proprio sul RAE per l’Italia (di cui un po’ mi pento perché troppo poco attenta alla didattica). Ovviamente qualsiasi RAE può cominciare anche lì dove il sistema non funziona: guarda il Regno Unito! Quando cominciò il suo sistema universitario era a pezzi e simile al nostro di oggi. Non c’è bisogno di licenziare ma di creare nuove regole credibili: nel giro di 20 anni, come nel Regno Unito si avrà un sistema che funziona. Ma se non si comincia mai… Il problema è che loro pensano di aver cominciato, ma invece le regole devono essere coerenti, dure e credibili sin dall’inizio: è il resto che ci metterà 20 anni ad andare a regime, ma questo è il destino di tutte le riforme buone. In più avremmo il vantaggio rispetto agli UK di evitare molti degli errori da loro fatti per pionerismo puro…

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  3. ot per continuare sulla crisi europea…

    The best recent analysis comes from a great believer in the European project, the Henry Kissinger of the money markets, George Soros. This week, in Italy, he spoke to the Festival of Economics (there’s an oxymoron). He got widespread coverage for saying that only three months remained to save the euro, but it was his bigger picture of what is happening that matters more.

    He had come to realise, he said, that the European Union itself was “like a bubble” in financial or stock markets. In the boom phase, it was the “fantastic object”: it contained everything people thought they wanted – peace, human rights, democracy, the rule of law and no domination by one nation. Just as its founders had planned, it took steady steps forward, feeding, like a financial bubble, on its own success. Of this, the Maastricht Treaty and the creation of the euro were the culmination.

    But Maastricht, Mr Soros went on, was fundamentally flawed. By establishing monetary union without political union, it had a hole at its heart. This was exposed by the crash of 2008: the weaker members found themselves, like Third World countries, “heavily indebted in a currency they did not control”: Europe “became divided between creditor and debtor countries”. The financial system was “reordered along national lines”. Market sentiment reversed.

    The political effect of this has been devastating. Since Europe is no longer integrating, it is dis-integrating. Fear of break-up has started to dominate everyone’s plans. Today, says Mr Soros, the Bundesbank is terrified of whether it can recover its debts if break-up occurs. Naturally, it responds by acting ever more fiercely in its own interests. So the European bubble is about to burst. What’s the German for “sauve qui peut”?

    Mr Soros, of course, views all this with distress, and is trying to suggest emergency solutions. Those of us who think the whole idea was rotten from the start will be less grief-stricken. But I am grateful for his insight, because it proves that the famous Europhile metaphor – which I have often mocked – about the EU being a bicycle turns out to be correct. You do have to keep peddling, because it is not stable. As soon as you stop, you either fall off, or slide back down the hill. That is what is now happening.

    For most Continental leaders and bureaucrats, European integration is their life’s work, not to mention their salary, meal ticket and startlingly attractive pension. They will now try yet again, harder than ever and presumably very soon, to rescue it. To the sceptic, this looks no more sensible, and scarcely more moral, than the Soviet Union trying to hold its empire together by making Poland impose martial law in 1981. But if some countries wish to do this – as Mrs Merkel, talking across David Cameron, said on Thursday that she did – then we cannot prevent them.

    What we can do is insist that this is a parting of the ways. The most likely eventual result is some sort of euro in a much smaller, fiscally united zone, centred on Germany, with France agonising about whether it can fit inside. Beyond it will be a wider ring, including ourselves, of non-euro countries no longer agonising at all. We could fairly happily be part of a loose association of more than 30 countries called, say, the European Community, but we, and most others, would be out of any Union. We would be unconstrained by the institutions and rules – the court, the parliament, the Common Agricultural Policy, the arrest warrant etc – which that Union imposed upon itself.

    But how, in the coming year or so, could we negotiate this? Not, surely, by leaving it solely to our diplomats and their obsession that Britain should not be “left behind”. Our Government would have to negotiate on the basis of a promise that whatever it ended up with would be put to the British people in a referendum. A Bill to provide for that referendum should be introduced in this parliament so voters at the next election can believe what they are being offered.

    By the way, George Soros also warned that the new, creditor-dominated Europe would become “a German empire with the periphery as the hinterland”. Didn’t a certain female politician warn of something along these lines nearly 25 years ago, and wasn’t she branded xenophobic for her pains? An entire generation is being made to pay for our continent’s slow learners.

    http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/europe/eu/9319548/As-the-eurozone-breaks-apart-Britain-must-go-its-separate-way.html

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  4. Stefano Caiazza

    09/06/2012 @ 08:53

    Sì, romatica la prima parte.
    Ometti di descrivere chi, in rispetto del principio della giustizia e del rigore concettuale, lascia l’esamificio scontento, arrabbiato, deluso, con se stesso (raramente) o più facilmene con il profssore “ingiusto”, reo di non aver capito o saputo apprezzare il “merito” dello studente.
    E’ meritevole, anche se non nel senso di Abravanel, far capire che non tutti sono geni. Che non tutti sono adatti all’Università. Ma è ancor più meritevole, in un mondo caratterizzato da regole ch premiano chi “premia l’incompetente” assumersi la responsabilità di bocciare, anche se questo significa vedere, con dolore, qualche lacrima e molta delusione.

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  5. Quanto ha detto riguardo a questa sua straziante sessione d’esame mi ha coinvolto molto.
    Se ho preso la decisione di continuare gli studi è anche grazie a lei, non lo dico perché ritengo che mi ha aiutato con i voti, ma perché è andato oltre alla microeconomia; dal primo giorno in aula fino a quando ci siamo stretti la mano dopo il colloquio d’esame la sua professionalità è stata esemplare, ma soprattutto si è dimostrato un uomo prima che un professore.
    Dopo la faditica firma per il mio primo esame ho sentito tanta fiducia e un sincero in bocca al lupo da parte sua, grazie infinite, ma nonostante la ritenga un’eccellente professore di microeconomia questa materia rappresenta solo “peanuts” alla sue lezioni di vita.

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  6. francesco russo

    09/12/2012 @ 22:13

    Penso che Lei Professore sia un discreto utopico idealista, ma simpatico per quello che scrive e pensa. Io sono più sempliciotto e contadino.

    Mi basterebbe che si potesse dare (senza concorso che è una farsa e lo sappiamo tutti benissimo pure i giudici Tar) un incarico di due o tre anni al giovane-meno giovane di turno, come in USA o in UK, specificando bene cosa gli si chiede (didattica oppure ricerca) e poi valutare cosa ha fatto al tempo intermedio e finale. I sistemi (veri) per la valutazione ci sono e cosa più importante conta l’ interview con chi ti assume (che spende e paga e quindi rischia). Meglio se entra dentro il finanziamento privato e che lo si renda convenientemente deducibile/detraibile come in USA. A New York nel 2012 è stato concluso un investimento di ricerca e clinico-assistenziale TOTALMENTE PRIVATO da parte della Columbia University per realizzare un gigantesco Centro Cuore, si avete capito bene CUORE, dal valore globale di oltre 1 MLD di dollari !!

    Questo incarico di docenza o di ricerca lo chiamerei professore ordinario e professore associato, tanto per essere chiaro.

    Ecco io farei così semplicemente senza tanti articoli e commi farei una bella deregulation della docenza – ponendo una data spartiacque ed abolirei il concorso pubblico con il relativo orpello costituzionale. E’ anacronistico ed antistorico.
    Così (forse) io riuscirei a fare carriera ed a divertirmi ed a mettere a frutto (per tanti) la mia non poca creatività e fantasia.
    Diversamente restiamo tutti più o meno degli zombie poco motivati con un sudato gallone sulla divisa, ma lontani anni luce dalla competizione globale mondiale del sapere e della cultura.

    Coraggio, ci vuole coraggio, amore del rischio e del mettersi in gioco e direi anche un pò più di partecipazione alla lotta che come diceva il grande Giorgio è LIBERTA’ !

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