Oggi sul Sole 24 ore, con Gaetano Scognamiglio.
*
Spendere presto e bene i fondi del Recovery: è questa la parola d’ordine lanciata dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, sottolineando altresì la necessità di agire con una scrupolosa onestà nella loro relativa gestione.
La macchina organizzativa si può dunque mettere in moto per impiegare intanto l’anticipazione in arrivo a partire dalle prossime settimane, di poco meno di 25 miliardi, di cui più della metà andranno spesi entro l’anno.
In questo scenario spendere i fondi celermente ma senza espropriare i territori dai processi decisionali e le PMI dalla possibilità di partecipare alle gare che ripartiranno le risorse sarà la prima sfida da affrontare: è questo quanto emerge con chiarezza dai primi incontri organizzati da ORep, l’Osservatorio sul Recovery Plan attivato dall’Università di Roma Tor Vergata e da Promo Pa Fondazione.
Sin dalla costruzione delle regole di governance approvate con il DL 77/2021 è infatti apparso all’orizzonte il rischio di reagire alla cronica lentezza delle procedure, (derivanti dalla somma di una legislazione ipertrofica e instabile con i problemi di un apparato burocratico invecchiato per la cronica mancanza di nuovi innesti) con una forma di centralizzazione su tutti i livelli strategici – fino alla formazione e assistenza tecnica, anche questa calata dall’alto – con una forte sottolineatura delle procedure di avocazione. Non sono a tutt’oggi chiare le modalità di gestione della spesa di competenza degli enti locali, che è una percentuale rilevante dei fondi del Recovery. Questo vale ad esempio sia per la valorizzazione dei borghi che per gli asili nido e le scuole. L’eventuale centralizzazione impedirebbe contemporaneamente a territori, PMI e cittadini di giocare il ruolo che spetta loro per indirizzare i progetti verso quella che è la loro missione, ovvero di far riprendere il Paese e renderlo più resiliente. Come evidenziato anche dal recente studio del Comitato europeo delle regioni questa declinazione centralistica dei piani di Recovery – peraltro non solo italiana – rischia di depotenziarne sia l’impatto che l’efficacia.
La letteratura economica ormai è chiarissima al riguardo degli assi portanti di una riforma vincente del sistema degli appalti pubblici: essa prevede maggiore discrezionalità e minori regole ma solo quando alle stazioni appaltanti è permesso di investire ampie risorse nelle competenze del personale addetto alle gare ed in strutture delle carriere del personale che siano motivanti ed attrattive. Rimane poi l’ultima dimensione strategica, quella dell’appropriato livello di (de)centralizzazione delle stazioni appaltanti. In tutto il mondo (un po’ meno nella UE) si è ormai portati a sospettare di una eccessiva centralizzazione, che genera una riduzione dell’accesso delle PMI alle risultanti gare di grandi dimensioni. Per evitare questo rischio, da tempo Tor Vergata e Promo PA sostengono l’ipotesi di una governance intermedia tra quella odierna, che oscilla senza coerenza alcuna tra il ristretto club delle stazioni appaltanti nazionali e regionali e le migliaia di punti ordinanti. Identificando invece la provincia come l’ambito territoriale ottimale, le esigenze di standardizzazione sarebbero conciliate con quelle di esaltare le richieste del territorio, dando voce ai cittadini e spazio alle PMI locali, per un conseguente sviluppo della loro produttività e competitività anche a livello internazionale.
Muoversi ora verso una governance del PNRR, da estendere alla galassia degli appalti pubblici nazionali, di 100 stazioni appaltanti attestate nelle Province e Città Metropolitane, dotate di autonomia decisionale e obbligo di trasparenza sui dati, finanziate per attrarre ognuna di esse personale a tempo indeterminato di alto valore aggiunto e motivazione, inserito (come chiede da tempo la Commissione europea) in carriere “verticali” prive di rotazioni significative negli anni, con meccanismi di selezione flessibili e dedicati, permetterebbe al Governo di concentrarsi su di un ruolo essenziale di coordinamento degli obiettivi strategici (quanto più misurabili e rendicontabili anche rispetto a quelli di sviluppo sostenibile dell’Onu) e di monitoraggio e centralizzazione (questa sì!) dei dati sulle performance delle stazioni appaltanti.
Lavoro su carta di Angela Maria Piga: After Damian Hirst