Daniel Riera-Crichton del Bates College, Carlos Vagh della Johns Hopkins University Guillermo Vuletin della Brookings Institution hanno appena pubblicato sulla prestigiosa collana dei Quaderni di Ricerca della NBER di Boston un lavoro scientifico che renderà chiari i rischi enormi a cui espone la manovra di stabilità del Governo Renzi così come proposta sinora.
http://papers.nber.org/tmp/51376-w20533.pdf
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Ricordiamo brevemente di cosa parliamo quando leggiamo la manovra italiana. Dell’impatto di una manovra c.d. a “bilancio in pareggio”: in cui le variazioni delle spese pubbliche uguagliano le variazioni della tassazione così da lasciare invariato il deficit della pubblica amministrazione.
Che sia così, che contabilmente la manovra Renzi sia “neutrale”, è evidente malgrado la campagna informativa ingannevole di economisti un po’ sprovveduti o faziosi, giornali e televisioni che confonderebbero qualsiasi studente bravo di primo anno di economia: l’avanzo primario – differenza tra entrate e spese pubbliche al netto degli interessi – in percentuale del PIL rimane pressoché costante (scende di 0,1% di PIL, briciole di 1,5 miliardi di euro) e il deficit pubblico in percentuale di PIL scende (non sale!!) dal 3 al 2,9% di PIL.
Bilancio in pareggio dunque non nel senso che il deficit è zero, ma che non varia dal 2014 al 2015 anche se cambiano spese e tasse. Cosa che rileva per capire se rispetto all’anno precedente (e cioè rispetto al 2014) in cui l’economia è crollata per il terzo anno consecutivo si verrà o meno, nel 2015, in suo aiuto e sostegno con un maggiore intervento pubblico. Apparentemente no dunque, direte.
Non è detto. Dipende, in questi casi, da come si variano spese e tasse lasciando il deficit invariato. Si può scegliere infatti di aumentare di un pari ammontare spesa e tasse, o di diminuire, sempre di un pari ammontare, ambedue. Con effetti decisamente diversi: Renzi ha scelto la seconda strada, come per anni hanno chiesto due economisti come Alesina e Giavazzi dalle prime pagine del Corriere, costantemente derisi da premi Nobel come Krugman e Stiglitz.
E perché derisi? Perché è noto a tutti, con tanto di studi scientifici certificati dal Fondo Monetario Internazionale, che queste manovre sono recessive, ovvero che il moltiplicatore della spesa pubblica (quanto variano il PIL ed il reddito nazionale al variare della spesa di 1 €) è più potente di quello delle tasse (quanto varia il PIL ed il reddito nazionale al variare delle tasse di 1 €), sia che si diminuiscano ambedue, sia che si aumentino. Se si aumentano ambedue l’effetto espansivo dei maggiori appalti pubblici è superiore all’effetto recessivo delle maggiori tasse. Se si diminuiscono ambedue (come fa Renzi) l’effetto espansivo delle minori tasse è surclassato dall’effetto recessivo dei minori appalti e stipendi pubblici.
In fondo è ovvio: un aumento (riduzione) di spesa via appalti pubblici genera maggiori (minori) ordini diretti alle imprese che si traducono con certezza in maggiore (minore) produzione ed occupazione, mentre una riduzione (aumento) delle tasse genera maggiori (minori) consumi e investimenti solo nei limiti in cui e per l’ammontare per cui consumatori ed imprese non tesoreggiano (risparmiandole) le risorse ricevute.
Mi direte: ma dunque quanto è potente il moltiplicatore delle minori tasse dipende dall’ottimismo prevalente nell’economia? Assolutamente sì. E quindi quando le cose vanno veramente male e prevale il pessimismo sul futuro tra famiglie ed imprese, non solo il moltiplicatore positivo sull’economia delle minori tasse è minore di quello negativo dei minori appalti pubblici (tagli di spesa): è MOLTO minore perché le minori tasse si traducono in risparmi e non in domanda di consumi, produzione, occupazione.
In questi momenti così bui solo aumentare le spese per appalti con investimenti pubblici genera maggiore reddito e minore debito su PIL, argomentano i tre autori, soprattutto nelle recessioni “estreme” come quella che viviamo oggi. Mettendoci i numeri sopra, per eliminare i dubbi degli scettici.
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Varrà la pena citarli: “abbiamo esaminato cosa succede nel caso di espansioni o recessioni “estreme”. E scopriamo che il moltiplicatore della spesa pubblica in recessioni estreme è molto più grande che nelle recessioni tipiche (quasi il 70% più alto). Il risultato più drammatico quando si considerano le recessioni estreme è che il moltiplicatore della spesa pubblica al momento dell’impatto è di 1,2. In termini di dibattito attuale sull’austerità nell’eurozona ciò implicherebbe che, a causa di una contrazione della spesa (non solo il PIL cala di 1,2 volte il taglio della spesa) ma che il rapporto debito su PIL aumenta subito dopo (perché il PIL crolla così tanto malgrado il miglioramento del deficit causato dalla minore spesa). Nel lungo periodo il moltiplicatore fiscale è 1,25 in una recessione normale, ma raggiunge 2,08 in una recessione estrema”.
Gli autori si preoccupano anche di capire se vi sono effetti diversi tra aumenti e riduzioni delle spese in una recessione estrema come quella in cui ci troviamo.
Di nuovo citandoli: “primo, il moltiplicatore fiscale degli aumenti di spesa aumenta nelle recessioni estreme ed è del 40% per cento superiore che in una recessione tipica (0,92 all’impatto e 3,14 nel lungo periodo). Ciò implica che l’efficacia dell’aumento di spesa aumenta tanto più grave diventa la recessione.” Secondo, … in scenari estremi l’impatto della riduzione di spesa pubblica è fortemente negativo per l’economia (1,23 all’impatto e 1,60 nel lungo periodo): “questa evidenza empirica è coerente con casi come quello greco dove, malgrado ampi tagli di spesa, il rapporto debito-PIL è salito piuttosto che sceso”.
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Tradotto? Se effettivamente Renzi ottenesse i desiderati cali di 15 miliardi di spesa che ha annunciato, tanto più che questi avvengono a casaccio e quindi colpiscono vera domanda pubblica di beni e servizi, applicare un moltiplicatore di 1,6 significa una perdita di PIL di lungo periodo 24 miliardi di PIL. Cioè 1,6% di PIL in meno a causa della manovra significano (con un coefficiente di Okun di 0,5 che tramuta il PIL in disoccupazione) un aumento della disoccupazione di 0,8%, 160.000 disoccupati in più.
Mi direte,: Piga, anche se la credessimo, ci sono i vantaggi della minore tassazione, dove li mettiamo? Certo. Vantaggi ci sono ma sono minori, come abbiamo visto già tanto tempo addietro, di quelli delle minori spese.
(http://www.gustavopiga.it/2013/ecco-le-prove-si-puo-fare-si-deve-fare/ dove quei calcoli di allora degli economisti del Fondo Monetario Internazionale che riportavamo non consideravano moltiplicatori come quelli dei nostri ricercatori sulle recessioni estreme: e quindi i risultati di allora valgono ancora più oggi).
Se ipotizzassimo ottimisticamente che le minori tasse di 1€ generano un qualche effetto sui consumi e sugli investimenti privati, per esempio pari ad 1€ di PIL, rimarrebbe comunque una differenza tra gli 1,6 negativi di minori PIL a causa dei tagli di spesa e l’1 positivo di maggiore PIL a causa delle minori tasse: 0,6 punti percentuali di minore PIL, 0,3% di tasso di disoccupazione in più, 60.000 disoccupati in più grazie a questa manovra. Tra i più deboli, certo, i più indifesi. A cui invece dovremmo tentare di indirizzare la politica economica del Paese. Come dice, in Viva la Libertà, la figura politica rappresentata da un grande Toni Servillo, protagonista casualmente rinsavito e leader di un partito veramente nuovo: “cercherei di non calpestare la dignità di chi non può difendersi“. Già.
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A seguire i consigli di Alesina e Giavazzi e non di Krugman e Stiglitz, Renzi ha commesso un errore gravissimo: forse avrebbe dovuto fidarsi più dell’Accademia dei Nobel che della testata di Via Solferino. Ne pagheremo conseguenze notevoli, ma cosa importa, è il TWEET bellezza!