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Il ponte verso la Turchia che non vogliamo costruire

“Non ho nessuna religione e, a volte, vorrei vederle tutte in fondo al mare. E’ una guida debole, colui che ha bisogno della religione per mantenersi al governo, è come se volesse intrappolare il proprio popolo. Il mio popolo imparerà i principi della democrazia, i dettati della verità e gli insegnamenti della scienza. La superstizione deve finire. Ognuno ha la libertà di adorare chi vuole e seguire la propria coscienza, a condizione che non interferisca con la razionalità e che non agisca contro la libertà dei suoi simili 

(Mustafa Kemal Atatürk, 1928)

E così l’accordo con la Turchia è andato. Con poche capitolazioni rispetto al “ricatto” turco di accelerare il processo di adesione della Turchia all’Unione europea.

Sì perché così è stato considerato dai più, un “ricatto” di un Paese non democratico e per di più troppo arretrato per aspirare a entrare a far parte del club dei ricchi europei.

Tempo addietro, un decennio orsono, la Turchia voleva veramente entrare in Europa. E il nostro costante rifiuto veniva in quel Paese così commentato: “ma come? Alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia, poveri e appena usciti da regimi dittatoriali avete detto: entrate in Europa, crescerete economicamente e acquisirete il nostro DNA democratico. A noi invece dite: non potete entrare fino a quando non sarete democratici e ricchi economicamente”.

Così andò, che a forza di porta sbattute in faccia, la Turchia guardò altrove, a Oriente. E pian piano è scivolata via da quel laicismo che ne costituiva l’orgoglio nazionale, avviato dal leader storico Atatürk, verso un fondamentalismo crescente.

Gravissimo errore. L’accettazione della Turchia avrebbe mostrato al mondo il carattere aperto dell’Europa e lanciato un ponte verso l’Islam moderato di imparagonabile potenza simbolica. Oggi, nessuno certo ha la palla di vetro, è probabile che vivremmo una stagione di confronti internazionali con i popoli mediorientali ben meno drammatica di quella odierna.

Tutto questo per dire che, per quanto la Turchia di oggi è ben più difficilmente avvicinabile di quella di soli 10 anni fa, la recente richiesta di accelerare il dialogo per l’adesione turca all’Unione europea non è un ricatto ma una fantastica occasione per rimediare a un incredibile errore strategico commesso da una classe dirigente miope.

La stessa classe dirigente che pochi anni dopo avrebbe gettato il Continente europeo in una recessione evitabile da cui non riusciamo ad uscire.

La stessa classe dirigente che avrebbe cominciato a costruire muri invece di ponti.

Chiamiamo a noi la Turchia, dentro l’Unione europea, diamole accesso ad ulteriore crescita economica e democratica. Saremo più forti.

9 comments

  1. Prof., mi dispiace dissentire questa volta:

    1) Far parte dell’Unione Europea non implica un miglioramento democratico. Diversi paesi che ne fanno parte nei recenti anni hanno visto un peggioramento del livello democratico (per esempio Ungheria).

    2) La quasi totalita’ del territorio turco non appartiene al continente Europeo. Se vale per loro allora facciamo entrare anche il Kazakstan di Nazarbayev, la Russia di Putin e la Bielorussia di Lukashenko se ce lo chiedono. Inoltre Bielorussia e parte della Russia sono culturalmente molto affini ai paesi dell’Est dell’Unione Europea.

    3) Se vale per la Turchia, vale anche per l’Ucraina, con un conflitto in atto. Non dobbiamo aspettare che finisca il conflitto, facciamo entrare l’ucraina oggi, con la prospettiva che si possa democratizzare.

    4) I paesi balcanici (Serbia e Bosnia, per esempio) hanno tutti ottenuto la promessa di entrare in Unione Europea, ma non si sono visti fondamentali progressi democratici, anzi.

    5) Il fatto che la Turchia sia stata per decenni paese candidato mette in evidenza, secondo me, che l’Unione Europea ha fatto si un errore, quello di averle dato la candidatura. L’unione Europea ha riconosciuto l’errore e quindi non la fa entrare, anche se non vogliono ammettere l’errore e non gli ritirano la candidatura, quindi la tengono li nel limbo.

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    • 1) Non era un commento sulla democraticità dell’Europa, ma sulla retorica anti turca. Ovviamente il problema è religioso.
      2) Ti pare che tutto giri intorno al Kazakstan? E che gli americani nel primo decennio hanno spinto per l’ingresso russo e kazako? No, per quello turco. Bisogna conoscerla la Turchia: la sua storia rispetto all’Europa (costruita, quest’ultima, attorno a uno storico conflitto da evitare come quello franco-tedesco) la sua affinità culturale rispetto all’Europa, unica per un Paese islamico.
      3) Idem come 2).
      4) idem come 1. Ma dimostri di non conoscere la Serbia e la Bosnia, Rudy, mi spiace. Cambiamenti democratici enormi, che nulla hanno a che fare con l’Europa, sono avvenuti.
      5) Va beh, qui non devo dire nulla. E’ un’opinione, rispettabilissima.

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      • 1) Le conclude il post dicendo: “diamole accesso ad ulteriore crescita economica e democratica.”

        2) L’Unione Europea nel 2016 la fa ancora gli USA?

        3) Quando dice cambiamenti democratici enormi a che periodi si riferisce. Da almeno un decennio Freedom House non vede la Bosnia in crescita democratica. Per la Serbia ha ragione.

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        • 1) è vero sono un inguaribile ottimista sull’Europa. E mi fai riflettere che forse la Turchia può indubbiamente ridare linfa all’afflato sui diritti umani in una Europa che ha perso la bussola.
          2) Certo che no. Era solo per dire che uno small state come gli Usa aveva avuto idee banalmente strategiche come le mie. Cioè che non ero proprio solo. Non che questa sia prova di profondità.
          3) Riconosco che i progressi bosniaci sono lenti.

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  2. Che la Turchia non sia avviata alla democrazia e’ un fatto. Che i valori europei non interessino agli islamici e’ cosa ovvia. Chi conosce l’islam sa che l’islam moderato non esiste, visto che religione diventa legge dello Stato e per tutti. Però, se una mela e’ sul tavolo, c’e’ una mela sul tavolo e qualsiasi cosa uno possa affermare, per proprio interesse momentaneo e di breve periodo o anche per errata convizione, questo non cambierà la realtà. Non e’ il pensiero o una parola a poter determinare una realta’. La realtà va letta per quello che è, in primis, questo è un dovere di responsabilità. Allargare a tutti non vuol dire crescere, spesso, ma morire. Ce lo insegnano i migranti. Anche se salgono tutti sul barcone, non tutti ce la fanno ad attraversare il mare.

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    • La Turchia è un Paese in bilico. Non è assolutamente vero che non sia interessata ai valori laici europei. Una parte non lo è. L’Islam moderato esiste eccome. Basta viverci in Turchia, per toccarlo con mano. Non parliamo di allargare a tutti, ma alla Turchia. Il mio era un appello disperato, un ultimo appello dopo tanti che cominciai più di 15 anni fa scrivendo a Sergio Romano sul Corriere quando la Turchia era tutt’altro. L’errore enorme tutto europeo è già stato commesso, più di 10 anni fa. Rimane una flebile speranza, è giusto cercare di ravvivarla, è ottimistico sperare che serva.

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  3. Il suo discorso dal punto di vista strategico filo-occidentale non fa una grinza.
    Il fatto che nell’Unione Europea la Turchia avrebbe trovato o trovi crescita economica e democrazia invece è pura demagogia.

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    • Lei non è il primo su questo post a rinfacciarmi quella frase. Devo dire che avete ragione, ammetto l’errore, è una frase vecchia. E’ quella frase che usavo pre-2007, pre crisi, per parlare di Turchia. Quando l’Europa appariva diversa. Oggi la Turchia non troverebbe crescita economica. E meno democrazia di quanto non credevamo essa fosse capace di generare.

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