Quanta cultura dietro le scelte economiche, quanto l’economia è schiava della storia e delle culture di riferimento. E’ affascinante .
E spesso incomprensibile.
Tanto incomprensibile che gli anonimi mercati – poverini, mezzi sconvolti – ancora stanno cercando di raccapezzarsi per capire cosa sia saltato in testa ai leader elvetici di decidersi ad abbandonare l’aggancio del franco svizzero con l’euro. Una follia parrebbe, visto che l’apprezzamento immediato della valuta d’Oltralpe condanna i venditori di orologi locali e gli alberghi delle stazioni invernali a tempi durissimi e ad esprimere subito il loro dissenso con la decisione delle loro autorità.
Eppure …
Eppure la Svizzera è nel suo DNA molto tedesca, e l’inflazione è un mostro da combattere: da tempo la Svizzera è in semi-deflazione e non ne fa un grande dramma, felice di sentirsi il Paese della stabilità dei prezzi. Talmente stabile che aveva deciso di ancorarsi ad una valuta di riferimento che all’epoca appariva stabile e forte, come l’euro.
L’annuncio della Corte di Giustizia europea che la BCE potrà procedere col tentativo di rinvigorire la sua domanda interna con operazioni di mercato aperto aggressive di quantitative easing è stata con tutta probabilità la goccia che ha fatto traboccare il vaso dei decisori svizzeri. Mettetevi nei loro panni in questi ultimi mesi: costantemente lì a comprare euro e vendere franchi pur di mantenere costante il rapporto di cambio con l’euro, a fronte di una crescente domanda da parte del resto del mondo di una valuta-rifugio (che non fosse solo il dollaro) davanti alle incertezze crescenti europee. A un certo punto si saranno detti che continuare così di fronte alle mosse di politica monetaria espansiva della BCE avrebbe significato cominciare ad importare la possibile futura inflazione europea e si sono chiamati fuori, da ciò terrorizzati (anche a costo di subire altri danni di tipo economico, appunto).
La cultura la spunta sull’economia? Forse, ma in realtà la verità è che l’economia di un Paese è figlia della sua cultura. E dunque anche che le strutture economiche si cambiano lentamente, soltanto con cambiamenti culturali.
Quei cambiamenti culturali che lentissimamente stanno prendendo piede in Europa, quell’Europa che solo 70 anni fa era in piena guerra al suo interno, guerra di predominio culturale e infine economico.
Prendiamo dunque il buono di quanto appare da questa lezione svizzera: i tedeschi, con la loro cultura così vicina a quella degli elvetici, non seguono la Svizzera ma rimangono ancorati all’euro, anzi ne condividono le scelte di espansione monetaria anche se il boccone da ingoiare è notevole e probabilmente spaventoso per loro, come lo è per gli svizzeri. E’ un piccolo sacrificio, quello tedesco, o così appare a noi italiani: ma è probabilmente qualcosa di molto di più in un’ottica storica. Un avvicinamento non da poco quello di non avere detto no alla mossa di Draghi, quello di aver consentito che via tasso di cambio si aiutino le esportazioni europee in un momento di grave difficoltà economica dell’area euro del Sud e che si tenti la carta della maggiore inflazione.
Altri passi dovranno venire, perché la salvezza nell’area euro all’interno di un mondo globalizzato può venire solo dalla domanda interna e dunque dalla rottamazione del Fiscal Compact. Intanto però assaporiamola, questa sensazione che qualcosa va cambiando, lentissimamente, nel progetto dell’euro che rimane un grandioso e rischioso tentativo di avvicinamento culturale all’interno dell’Europa, una scommessa che si accompagna alla dabbenaggine di non avere capito che senza solidarietà in tutti i campi, a partire da quello fiscale, nulla si può costruire sui meri, seppur significativi, simboli cartacei.
16/01/2015 @ 10:08
Ottimo e bellissimo pezzo!
Io propenderei però per `allentamento’, piuttosto che `rottamazione’ del FC.
E sulla `solidarietà fiscale’ mi pare che non sia ancora ben chiaro se si debba perseguire l’armonizzazione o la concorrenza fra Stati.
16/01/2015 @ 11:49
Non è che molto più semplicemente gli svizzeri hanno subodorato che l’euro sta arrivando alla sua inevitabile fine?
16/01/2015 @ 14:27
Finalmente!!!!! Glielo scrissi su questi commenti un po’ di tempo fa, ma dalla sua risposta ebbi la certezza che non avesse afferrato, la sua risposta era fuori tema: adesso avanti, allora, lentissimamente verso il burrone…! Anthropology trumps economics! (in democrazia attraverso la politica, ovviamente: saranno i Podemos, FN, Syriza, M5S e altri che verranno a decretare the demise of the € e poi dell’UE).
17/01/2015 @ 12:05
Non potrei essere più in disaccordo. Il burrone si allontana, sento odore di cambiamento – lento – intelligente.
16/01/2015 @ 19:34
Caro Gustavo, non vedo l’ora di vederti dentro la stanza dei bottoni, lo spero, per il bene di tutti noi. Continua a farci sognare…
17/01/2015 @ 11:02
Quali potrebbero essere le conseguenze di questa mossa della banc centrale Svizzera? L’associazione degli industriali Elvetici l’ha definita una catastrofe, sul breve termine è probabile, ma sul lungo?
17/01/2015 @ 13:27
È altrettanto interessante vedere come determinati Stati cerchino di mantenere la maschera e il ruolo con il quale gli altri li vedono. Non tanto per vezzo, ma per mantenere una posizione di potere. In un momento in cui la preoccupazione della Merkel è lasciare il segno nella storia tedesca per aver fatto scendere il debito, invece di concentrarsi sulla ripresa, è ovvio che debba mantenere lo sguardo severo su operazioni monetarie che in qualche modo giustifichino gli altri. Le dichiarazioni sulla Grecia ne sono un esempio: la vittoria di Tsipras era ormai annunciata, la ristrutturazione del debito inammissibile, non tanto perché sbagliato, ma perché costituirebbe un precedente per gli altri paesi periferici. Così da risolvere il non avere banche centrali nazionali che comprano titoli con il rendere quei titoli virtualmente una messa in scena: “tanto poi ristrutturiamo”. Tsipras ha altro su cui giocare, come una libertà maggiore sul tenore delle riforme; Merkel mantiene la figura dell’integerrima, anche se non avrebbe mai fatto uscire la Grecia; Draghi mantiene una certa coerenza sulle regole della BCE e si avvia a fare una mossa che piace molto ai mercati, la cui riuscita, però, non dipende da lui, bensì dalle banche, troppe volte ingranaggi fuori controllo. Forse dopo la strigliata degli stress test risponderanno meglio.
Ora la considerazione più azzardata.
Gli svizzeri vogliono mantenere la loro posizione di casa vacanze per i soldi di mezzo mondo. L’arrivo del QE è meno gestibile nell’ambito di un controllo del cambio, ma molto probabilmente porterà l’euro a deprezzarsi ben sotto l’attuale posizione del cross di 0.95 con il franco. Mantenere la stabilità richiederebbe un allargamento troppo ampio del bilancio della BCS, ma ne vale la pena? Potrebbe essere conveniente aspettare che il QE diventi presto investment banking, altre munizioni per chi quelle munizioni già le ha, aspettare che si prosciughi altrove, vedere ampliarsi il divario nella redistribuzione dei redditi e, infine, aspettare a braccia aperte l’arrivo di quei capitali in Svizzera sotto forma di investimenti e depositi.
È molto azzardata come ipotesi, ma potrebbe incastrarsi con la (non troppo) recente apertura allo scambio di dati bancari. Quella che fa apparire gli svizzeri come bravi ragazzi, ma che richiederà ancora molto tempo per essere attuata.
17/01/2015 @ 16:00
Interessante, grazie.
17/01/2015 @ 14:36
Le riporto un passo di un articolo di Sergio Cesaratto sul Manifesto a proposito del QE in cui si espongono i motivi per cui i provvedimenti che presumibilmente Draghi metterà in atto fra pochi giorni saranno inefficaci.
” 1) La maggiore liquidità dovrebbe stimolare il credito, ma già s’è visto negli scorsi anni che maggiore liquidità non genera credito addizionale.
2) L’aumento del valore dei titoli a lungo termine potrebbe stimolare gli investimenti. Ma non si vede per quali ragioni le imprese dovrebbero investire con aspettative di domanda a dir poco depresse.
3) La bolla borsistica potrebbe stimolare i consumi, basti trascurare il fatto che le famiglie che detengono titoli sono poche e hanno una bassa propensione al consumo.
4) Con grande dispiego di fantasia gli organi di informazione, incluso il Sole, ci stanno vendendo l’idea che il QE determini aspettative di inflazione nel pubblico (l’idea che più moneta generi più inflazione è in fondo uno dei luoghi comuni più radicati ) e ciò stimoli consumi e investimenti. Che una ripresa della domanda aggregata si possa basare sul suscitare aspettative di inflazione è vendere fumo, l’arrosto non c’è.
Sin qui il QE non rappresenterebbe altro che un facite ammuina, ridicolo quanto il piano Juncker, misure utili solo acché Renzi possa ammaliare il pubblico dei talk show. Rimangono due altri possibili effetti del QE.
5) Il primo è il deprezzamento dell’euro: la liquidità si rivolgerà infatti anche verso titoli esteri determinando un apprezzamento delle divise straniere e un guadagno di competitività europeo. Nel caso dell’Eurozona, che già presenta un enorme surplus commerciale verso il resto del mondo, questo suonerebbe però come un comportamento inaccettabile.
6) Infine, l’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce può rappresentare la messa in sicurezza di una quota di debiti sovrani in continuo peggioramento a causa dell’austerità e la cui sostenibilità è insidiata dal possibile venir meno della fiducia degli investitori come accaduto nel 2011 e 2012 (sotto l’effetto degli accadimenti in Grecia e comunque a fronte dell’insostenibilità economica e sociale della situazione).
Ma allora il QE non sarebbe altro che una ripetizione con altre modalità delle misure tampone intraprese negli scorsi anni e si può ben concludere che il suo senso, persino se effettuato senza i probabili paletti tedeschi, non vada oltre il procrastinare della nostra agonia.
Diverso il caso in cui un acquisto massiccio di titoli pubblici accompagnasse una politica fiscale fortemente espansiva, allora sì che il QE avrebbe effetti sulla domanda aggregata. Ma questo non accadrà.”
Notare il “Ma questo non accadrà”…
Cosa ne pensa dei ragionamenti espressi nei punti numerati?
Ma soprattutto, e la questione in realtà è tutta qui, Cesaratto afferma con sicurezza che la politica espansiva non si farà (faccio presente tra l’altro che la cosa importante è che la faccia la Germania, non tanto noi da soli); lei che ne dice?
In fondo lei stesso ha ripetuto varie volte che questa non è una crisi strettamente economica quindi saperla interpretare significa dare un giudizio o fare previsioni di tipo politico.
17/01/2015 @ 16:03
1) probabile, anche se non può far male;
2) idem come sopra;
tre) ok;
quattro) suscitare aspettative di inflazione sarebbe ottimo, ma non basta senza la rottamazione del Fiscal Compact
5) non mi sembra che sia inaccettabile: più export in questo momento va bene;
6) si.
La politica espansiva si farà, ed avrà un ruolo limitato ma utile. Ma siamo lontani dalla soluzione. Aspettiamo l’esito greco.
18/01/2015 @ 18:05
Mi pare che il pezzo di Ciocca (oggi sul Corsera) vada dritto alla radice.