Sabino Cassese sul Corriere della Sera: “il decentramento porta con sé maggiore corruzione: questo risulta da tutti gli studi compiuti nel mondo sulla corruzione“.
Non sono un fan del decentramento per se. Ma è vero che la frase sopra è sbagliata. Conosco almeno uno studio che dice il contrario, in realtà anche più di uno.
Visto che parliamo di appalti (gli scandali di Roma da lì nascono) e visto che siamo in tempi di potenziale accentramento degli appalti nelle mani di poche stazioni appaltanti (un errore), varrà la pena citare almeno uno studio.
E’ “How Much Public Money Is Wasted, and Why? Evidence from a Change in Procurement Law” di Oriana Bandiera, Andrea Prat, Tommaso Valletti, American Economic Review, Dicembre 2009. A tutt’oggi la più completa analisi degli acquisti pubblici italiani di beni e servizi. Gli sprechi, di corruzione ed incompetenza (ma i due si sostengono spesso a vicenda) sono calcolati sui prezzi di acquisto e divisi per livelli di governo:
“Gli enti universitari e le ASL pagano i prezzi più bassi. Paragonati ad essi, il comune medio paga il 13% in più. La differenza aumenta ancora con i governi regionali (21%), gli enti di previdenza (22%), mentre il ministero “medio” supera tutto con prezzi maggiori del 40%”.”
Insomma sembrerebbe che sia il centro a mostrarsi più corrotto.
E poi non scherziamo col fuoco: il Prof. Cassese sa bene quanto l’accentramento degli appalti al centro sarebbe dannoso per le PMI di questo Paese. Non c’è bisogno di aggiungere benzina sul fuoco della recessione più grave da sempre, che sta uccidendo le nostre PMI. Meglio, molto meglio sarebbe, resuscitare le 100 e passa province – dove albergano ottime competenze negli appalti e la giusta vicinanza culturale al territorio – e affidare a loro la razionalizzazione organizzativa degli appalti pubblici.
Cassese prosegue con un altro fattore a suo avviso fautore di corruzione: “quello dei sistemi derogatori, con cui si aggirano le regole sugli appalti. In particolare, a Roma, specialmente dal 2008, con la solita motivazione che le procedure sono arcaiche e farraginose («da sbloccare», nel linguaggio di uno degli indagati), si sono creati percorsi paralleli, meno garantiti e meno controllati.”
Le “regole del gioco” sugli appalti, quelle del gioco “buono”, si aggirano in mille modi, ai fini corruttivi, spesso senza bisogno di deroghe. Condizione non necessaria, la presenza delle deroghe, ma nemmeno sufficiente, per la corruzione. Spesso le deroghe hanno infatti altra ragione che non la corruzione: l’incapacità di programmare e, a volte, effettivamente l’arcaicità, ma anche l’erroneità delle procedure previste dalla norma.
Che la “scoperta” improvvisa della corruzione non diventi dunque motivo per invocare un nuovo “round” di regole e vietare il necessario passaggio alla maggiore discrezionalità delle stazioni appaltanti che la Nuova Direttiva europea tra l’altro prevede. A scanso di equivoci ribadiamolo: ci vorranno più investimenti nelle competenze, più controlli anche tramite l’aiuto dei dati (ad oggi gelosamente nascosti), più premi e meno regole per un sistema di appalti meno corrotto, meno colluso e più efficace.
13/12/2014 @ 07:15
Ridurre gli uffici acquisti è un RISCHIO secondo lei?
La CERTEZZA è che oggi, 32.000 uffici acquisti hanno prodotto il disastro sotto i nostri occhi, tra cui MafiaCapitale. Del resto, se NEL MONDO nessuno ha questa ORGANIZZAZIONE SPARTITORIA degli appalti, vuol dire qualcosa…
Le PMI che innovano sanno competere partecipano e vincono, le atre (quelle che sopravvivono con affidamenti aumma aumma) meglio che chiudano, perché inquinano la nostra società. Come leggiamo in questi giorni.
14/12/2014 @ 09:55
Tutto è un rischio se non fatto bene. No, vorrei anche io una riduzione degli uffici acquisti ma certamente non abbandonando la dimensione territoriale di questi. La vicinanza al territorio è essenziale e la dimensione delle gare altrettanto se vuole fare, come in ogni Paese che si rispetti, politica industriale con gli appalti.
Non credo lei sappia cosa sia una PMI. Per almeno 2 ordini di motivi.
1) Una PMI che innova per farlo ha bisogno di massa critica e questa in tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti che sanno come aiutare l’innovazione, si fa riservandogli appalti, proteggendole dall’impossibile competizione con le grandi. 2) La cooperativa 29 giugno non è una piccola impresa, è una delle più importanti cooperative italiane in termini di dimensioni.
14/12/2014 @ 15:12
Non lo sa lei cosa sia una PMI, lei che vive all’università a differenza di noi che viviamo l’impresa.
Le PMI (come la 29 giugno, che ha meno di 500 dipendenti e rientra a pieno titolo tra le PMI), semplificando, hanno 2 modi di partecipare al processo produttivo 1) innovando e creando valore, oppure 2) semplicemente spartendo.
Nel secondo caso sono semplici intermediari che vantano diritti di partecipare alla spartizione, intermediando manodopera e / o compravendita.
Nel primo caso aggiungono valore ai servizi o forniture con assistenza, nuovi modelli, ecc.
Le prime PMI partecipano e vincono, le seconde cercano di restare al ’900 pre-internet e cercano sponde populistiche e politiche forti dei loro voti.
Restare alle PMI pre-internet è suicida, antistorico
14/12/2014 @ 16:58
Meno di 500 dipendenti? Si informi: ne ha milletrecentosessanta (600 la prima cooperativa base), addirittura grande secondo le formali e poco rilevanti definizioni europee.
Chieda ad una piccola impresa se vuole la centralizzazione degli appalti in Consip: vedrà che risposte che otterrà! E mica perché quell’azienda è … pre-internet.
Ma poi la prego capiamoci: le piccole imprese di cui io parlo sono veramente piccole, sono quelle che hanno dei costi fissi che gli impone l’ambiente regolatorio che gli rende impossibile vincere! Parliamo di imprese di meno di 50 addetti, a volte di 10. E qui pre-internet non vuol dire niente: ci sono imprese piccolissime molto innovative e altre no: per ambedue vincere gare grandi contro le grandi è impossibile. Ripeto gli Stati Uniti (come Corea, India, Cina, Sudafrica, Brasile…) riservano appalti (non sub-appalti) a quelle PMI piccole per i primi 9 anni della loro vita: si chieda perché. Se vuole glielo dico io: lo fanno in nome della crescita di competitività del sistema economico privato. Perché quelle PMI protette nei primi anni di vita avranno più probabilità di crescere ed affermarsi domani nel mondo (come un bambino, non le pare?).
16/12/2014 @ 17:50
Concordo con il prof. Piga e lo dico per esperienza in quanto dipendente provinciale che, grazie a Delrio e Renzi, rischia, a 52 anni, il posto perché alle Province, la dimesione ottimale per organizzare non 200.000 ma un centinaio di stazioni appaltanti uniche a servizio die comuni, si è deciso di ridurre i trasferimenti per uno, due e tre milardi in tre anni mettendo in mobilità il 50% del personale, giusto per iniziare. In Italia, un paese in disfacimento nazionale, è venuto a mancare ogni buon senso …