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Il Fiscal Disfact? Le ragioni del referendum

Pubblicato sul Fatto Quotidiano di oggi.

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L’ottusa austerità imperante oggi in Italia ha una causa, ha un colpevole, dal nome e volto ben riconoscibile.  Qualcuno lo chiama formalmente Fiscal Compact, io lo chiamo “il Fiscal Disfact”. Non è mera ironia: “disfact” richiama disfatta, ricorda il verbo “disfare”, disfare quanto costruito in questi 60 anni di pace post-bellica europea, mettendo a rischio (ogni giorno che passa sempre di più) la coesione all’interno dei singoli Paesi e tra Paesi dell’area euro.

E’ per questo che contro di esso, nella sua versione importata nell’ordinamento italiano, la legge 243 del 24 dicembre 2012, abbiamo promosso quattro quesiti referendari per i quali stiamo terminando di raccogliere le firme, entro il 30 settembre, in tutte le piazze d’Italia (il sito del Comitato Promotore è su www.referendumstopausterita.it). Un referendum per l’Europa dell’euro, ma anche per un’altra Europa: non a caso il logo della nostra iniziativa ha i colori blu e gialli della bandiera europea ma anche il motto “Stop Austerità”. Sono quattro quesiti che se la prendono con quelle parti – austere anch’esse – della legge 243 che sono state aggiunte in più dal Governo Monti rispetto a quanto l’Europa richiedeva di recepire, e quindi non suscettibili di accusa di impossibilità ad essere oggetto di referendum. Sono quattro quesiti contro gli eccessi di zelo dei Governi italiani, sussiegosi verso la Germania che, quando ad esempio la norma europea ci permette di raggiungere a regime lo 0,5% di deficit strutturale su PIL ci porta,  in un impeto masochistico senza pari, ad aggiungere la parola “almeno”, facendolo diventare “almeno  lo 0,5%”, così tarpando le ali alla ripresa delle aspettative e dell’economia. Uno dei quesiti mira dunque ad eliminare la parola “almeno” dalla legge, obbligandoci a raggiungere lo 0,5% di deficit e non lo zero.

Se dunque certamente l’effetto dell’azione del Comitato Promotore del Referendum non è quello di mirare direttamente al Trattato Internazionale, non vi è dubbio che la nostra azione è comunque volta ad avviare in tutto il Paese ed in tutto il continente europeo per la prima volta un dibattito aperto e democratico sulle ragioni della ottusa austerità che il Fiscal Compact impone senza se e senza ma. Non sarà infatti sfuggita ai più la data di approvazione della 243: la vigilia di Natale 2012, a conferma della rapidità e della segretezza con cui la norma fu approvata dal nostro Parlamento, quasi all’unanimità e senza alcun dibattito all’interno del Paese.

Una decisione, quella del mantenere il dibattito “proibito”, quanto mai enigmatica, verrebbe da dire, se non fosse che il termine  è stato coniato ormai tanti anni fa dall’economista francese Jean Paul Fitoussi proprio per questo deficit di democrazia che sembra accompagnare dalla sua nascita l’Europa dell’euro, come se ne fosse una caratteristica intrinseca. E che spiega anche l’enorme resistenza dei vertici UE al ricorso allo strumento referendario: basta ricordare la proposta di Papandreou  di lasciare al popolo greco la decisione del se tenere la moneta unica o tornare alla dracma, che comportò la fine politica del Premier ellenico,  ma anche sottolineare come, per la nostra iniziativa, abbiamo incontrato in questi mesi un incredibile muro di gomma da parte dei principali media e dei partiti governativi, a conferma che l’austerità può anche essere flessibile ma deve permanere e non essere, come vogliamo noi, cancellata. Un muro che comunque l’appoggio del Fatto Quotidiano  al referendum Stop Austerità aiuta a scuotere.

Perché 16 persone, i membri del Comitato Promotore, di diversissima estrazione culturale e politica, ed altri intellettuali e parlamentari che sostengono l’iniziativa referendaria, si battono con così granitica e comune convinzione contro il “Fiscal Disfact”?Perché il Fiscal Disfact ha dentro di sé i prodomi della morte europea, e questo ce lo rende intollerabile.

Il Fiscal Disfact non permette di costruire quei ponti tra generazioni, chiamati investimenti pubblici, con i quali sono cresciute le precedenti generazioni dal dopoguerra. E questo checché ne dica Draghi: il Documento di Economia e Finanza prevede purtroppo che dal 2010 al 2018 questi calino da 51,8 a 41,5 miliardi, un calo del 31,3% in termini reali. Con questi investimenti avremmo potuto ristrutturare tutte le nostre scuole fatiscenti, dando lavoro a tantissime piccole imprese di costruzione e manutenzione, oggi soffocate dalla crisi, e avremmo aumentato la produttività di maestri e studenti, che in ambienti più consoni insegnano e studiano meglio. Se non lo possiamo fare è perché il Fiscal Disfact, senza se e senza ma, non lo autorizza.

Parrà curioso, ma il Fiscal Disfact non permette nemmeno di fare le riforme. Per esempio non permette di mettere fine al divario di remunerazione tra maestri di scuola tedeschi ed italiani, di un terzo inferiori, così bloccando quella che Draghi ha chiamato la sola riforma del lavoro capace di renderci competitivi nella sfida globale con i Paesi emergenti, una sfida da basare su istruzione e competenze, e non, utopisticamente, sul ribasso del costo del lavoro.

E sia chiaro che con la nostra iniziativa non stiamo chiedendo di diventare bruscamente degli spendaccioni, né di schierarci contro una vera spending review che ci pare anzi essenziale. Ma uno dei problemi più evidenti del Fiscal Disfact è che non permette di trovare le risorse per finanziare le necessarie spese per investimenti pubblici senza generare un’oncia di debito in più: con i suoi assurdi target numerici di riduzione del debito e del deficit in una situazione di recessione, infatti, mette una fretta isterica ai Governi. La fretta – si sa – è cattiva consigliera e ci costringe a mortali tagli lineari che sottraggono risorse a casaccio nell’economia, ai bravi e ai meno bravi.

E’ tempo di mandare a casa il Fiscal Disfact, firmate in tutte le piazze d’Italia il nostro referendum, c’è tempo fino al 25 settembre!

3 comments

  1. Grazie Prof. bellissima battaglia ! Finalmente domenica scorsa sono riuscito a firmare anch’io e sto facendo un pò di propaganda

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  2. achille mizzi

    17/09/2014 @ 19:32

    ma che servono questi referendum visto che non sarà mai possibile rispetttare, non solo per l’italia ,il fiscal compact?

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  3. Pingback: Fuet Blog / Gustavo Piga « Fondazione Tor Vergata Economia

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