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Invertendo l’ordine dei fattori il Prodotto Interno Lordo cambia

Da due anni su questo blog abbiamo chiesto, ai vari Ministri e Presidenti che si sono succeduti sullo scranno della politica economica, di usare i costanti incrementi di tasse a cui hanno fatto ricorso – per abbattere un debito che invece si nutriva proprio dei frutti di questi aumenti recessivi delle imposte per crescere – per finanziare nel sistema economico quella domanda di beni e servizi che non appare volersi materializzare con la mano invisibile, né via famiglie italiane via consumi né Via imprese italiane via investimenti.

Una manovra, quella della nostra proposta, espansiva e a saldo zero di bilancio: le tasse sottratte  a cittadini e imprese restii a domandare vengono ridate a cittadini ed imprese via domanda pubblica, uscendo dal tunnel buio e permettendo di creare lavoro e reddito.

Quindi aumento di tasse prima, da usare poi per un aumento di spese e di PIL e occupazione. Certo meno espansivo di un mero aumento di spesa pubblica, ma sempre utile per un Paese dal debito alto di cui i mercati temono l’esplosione (che in realtà c’è stata sì, ma a causa dell’austerità montiana o lettiana).

Una idea vecchia come il cucco. Poco capita o che poco si vuole capire (Monti non la capì, credo, quando gliela spiegò Stiglitz a Roma; dubito che Letta la abbraccerebbe).

Ma il Sig. Abe, premier giapponese, adesso spiega a Stiglitz qualcos’altro, non così tanto vecchio come il cucco. Anzi di nuovissima ideazione, per un Paese anch’esso con un altissimo debito pubblico. Un’inversione dell’ordine dei fattori: un aumento di spesa pubblica (già fatto) prima e, una volta misuratone l’impatto formidabilmente espansivo, calmierato poi da un aumento di tassazione. E quindi, di nuovo, a saldo di bilancio pubblico zero.

Uguale? Non credo proprio. Aumentare tasse prima e spesa pubblica poi rischia di generare un entusiasmo ridotto (“ma veramente l’aumenteranno poi questa spesa e domanda pubblica? e se alla fine non fanno che aumentare le tasse?”) e viene lanciata comunque con una prima parte che riduce il PIL (l’aumento di tasse). Aumentare la spesa pubblica prima permette di generare entusiasmo (se è spesa buona) e PIL da subito, rinvigorendo le aspettative. A quel punto l’aumento delle tasse sarà solo un dolcetto per quegli operatori di mercato che si preoccupano dell’aumento di debito successivo alla crescita.

Ed infatti…

In Giappone hanno aumentato la spesa pubblica, le stime per la crescita del primo trimestre sono state clamorosamente riviste dal 3,8% ad un enorme 4,1% e l’annuncio di un aumento dell’IVA dal 5 all’8% ha buone chance di non influenzare più di tanto le aspettative oramai entusiastiche degli operatori.

In Italia? Non cito nemmeno i numeri per la tristezza che fanno. Comunque si parla di giocare con tasse in più, tasse in meno, da subito, confondendo gli operatori e certamente non stimolando fiducia. Per di più senza pensare mai a stimolare la domanda interna con più spesa buona.

Può darsi che la manovra giapponese fallirà. Può darsi che il braccino italico sarà salvato da una ripresa mondiale straordinaria. Eppure non posso che ammirare il gioco rischioso ma visionario dei nipponici. Si vive una volta sola, ed è meglio rischiare di perdere la poltrona ma salvare il Paese che salvare la prima e perdere il secondo.

12 comments

  1. In Italia (e in Europa) viene diffusa a piene mani l’idea che occorre tagliare la spesa pubblica per poi poter ridurre le tasse. Di fatto – come lei ha detto – si aumentano solo le tasse e si pretende pure che una simile manovra (per il solo fatto che farebbe rientrare il deficit sotto il 3%) sia espansiva!.

    Sappiamo dai tempi di Keynes (ma sembra che li abbia scoperti il FMI, anche se poi nelle sue prescrizioni di politica economica ai paesi in crisi li ignori, con buona pace delle “riflessioni” dei suoi economisti) che il moltiplicatore della spesa pubblica permetterebbe una crescita del pil superiore all’intervento pubblico.

    Ma supponiamo pure che i moltiplicatori non esistano (e che siano solo una fantasia di quegli spendaccioni filo-socialisti e di quei comunisti dei keynesiani).

    Supponiamo quindi di tagliare la spesa pubblica (ovviamente quella inefficiente; quando mai si taglierebbero i servizi sociali, le pensioni, gli investimenti, la ricerca, la manutenzione del territorio? avete visto forse qualche alluvione recentemente? negli ospedali i pazienti non sono forse tutti nelle loro confortevoli stanze?)

    Supponiamo che la spesa pubblica sia tagliata di 10 miliardi di euro (a piacere di quei sadici liberisti anti-statalisti). Che cosa succederà al reddito nazionale? La domanda pubblica – ovvero i redditi del settore privato – si ridurranno di 10 miliardi (meno dipendenti o un taglio dei loro stipendi = minor reddito; meno acquisti della PA = meno vendite per le imprese).

    Ma ecco intervenire la loro bacchetta magica: riduciamo le imposte di 10 miliardi. E che cosa succede al pil? Aumenta di 10 miliardi, si penserà.

    Non è detto. Perchè coloro che beneficeranno di un aumento dei redditi per la riduzione delle imposte non necessariamente spenderanno tutto l’incremento che si rende disponibile. Se la propensione al consumo è dell’80%, è probabile che solo 8 di quei 10 miliardi si traduca in un aumento dei consumi. Il resto potrebbe rimanere immobilizzato nei conti bancari (risparmio). Ed ecco allora che la teoria ortodossa ci spiega che l’afflusso di liquidità presso il sistema bancario favorirà una riduzione dei tassi di interesse e per questa via un aumento degli investimenti. Anche quei due miliardi vengono spesi dagli imprenditori.

    Tralasciando ogni considerazione teorica su un meccanismo del genere e assumendone le conclusioni, cosà sarà successo al pil? Sarà aumentato? No, perchè se la matematica non è un’opinione: un calo della domanda pubblica di 10 miliardi seguito da un aumento della domanda privata di 10 miliardi fa zero! Se pertanto siamo in recessione, una politica del genere non avrà alcun effetto sulla crescita: zero assoluto.

    Peccato che esistano i moltiplicatori e che l’aumento della spesa pubblica possa far aumentare il pil di 1,3-1,5. Un aumento di 8 miliardi farebbe aumentare il pil di oltre 10 miliardi (con annesse entrate tributarie a parità di pressione fiscale), contribuendo a ridurre il rapporto debito/pil.

    E invece – nonostante le politiche di austerità che ci siamo (o ci hanno) imposto – il debito pubblico ha superato il 130%. Eh sì, perchè il moltiplicatore funziona anche se si riduce la spesa pubblica: una riduzione di 10 miliardi riduce il pil di almeno 13 miliardi. E poichè: meno 10 di spesa, compensati da meno 10 di entrate è uguale a zero, il debito anche se rimane invariato si confronta con un pil ridotto.

    Ma l’ideologia liberista fa premio sulla realtà, portandoci ogni giorno che passa un po’ più vicino al baratro.

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  2. Stefano Caiazza

    11/09/2013 @ 17:08

    Caro Gustavo,
    l’idea mi pare molto interessante anche se mi suscita qualche perplessità.

    1) Se l’annuncio della doppia manovra è constestuale, (> spesa pubblica e maggiori tasse in futuro) l’impatto rischia di essere ridotto. Si tratterebbe al più di un anticipo di reddito (o, a seconda del punto di vista, di un posticipo di tassazione). Ed infatti Abe ha prima incrementato la spesa pubblica e successivamente ha aumentato la tassazione. L’effetto finale di medio periodo è da verificare (rischia di essere uno strumento usato a fini elettorali).

    2) In un Paese a forte evasione quale il nostro, il rischio è che molti si approprino dei benefici lasciando a pochi il pagamento della maggior tassazione. Ossia si potrebbe presentare un problema di equità se gli agenti che beneficiano della maggior spesa pubblica sono diversi dai soggetti chiamati poi a sopportare la maggiore tassazione.

    In assenza di un vincolo temporale entro cui aumentare le tasse la manovra sarebbe analoga ad un finanziamento della spesa in disavanzo tramite titoli, in cui prima spendi (spesso ciò che non hai) e poi provi a rientrare.

    In ogni caso sei un vulcano di idee in perenne eruzione!!!
    Ciao

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  3. Stimoli espansivi alla domanda (anche la più virtuosa spesa pubblica), in assenza di una fisiologica flessibilità del cambio, generano maggiori importazioni peggiorando il saldo delle partite correnti. Maggior debito estero. La cui stabilizzazione è Il vero obiettivo delle politiche di austerità. Chi ci governa non è ignorante nè pazzo. La contrazione del PIL e ed il conseguente aumento del debito pubblico erano ampiamente previste. Ovviamente per rendere accettabile queste politiche si mente all’opinione pubblica dicendo che servono per contenere il debito pubblico e rilanciare la crescita.

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    • Francesco buonasera. Sta argomentando per la superiorità dei cambi flessibili? Non so, c’è una letteratura vastissima che dice di vantaggi e svantaggi. Robert Mundell si è ormai convertito ad una moneta mondiale ritenendo i cambi fissi vastamente superiori. Mi interessa poco qui parlare di ciò. Mi pare ben + importante chiedersi: se cerchiamo flessibilità, la dobbiamo ottenere solo dal cambio? E perché mai. Un accordo per politiche più espansive in euro nord di sud è aggiustamento simile per le partite correnti. Lei mi dice che non è possibile trovare accordo tra Paesi? Può darsi. Ma intanto le dico che i rapporti di forza politici non dipendono da un prezzo, in particolare dal cambio: se un Paese è più debole politicamente, si inchinerà sempre. E quindi con cambi flessibili gli si ordinerà di fare politiche ancora più restrittive e nulla cambierà. Anzi, cambierà che non si godrà nemmeno del vantaggio di far parte di una unione forte politicamente, divisa come sarà dal trauma politico del fallimento della valuta unica. Il nemico si deve guardare negli occhi, senza aver paura di nominarlo: altro che euro, è l’austerità.

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      • Gentile Prof. concordo con lei quando afferma che “se un Paese è più debole politicamente, si inchinerà sempre”. Ma la debolezza politica non è correlata alla debolezza economica? I dati ci dicono che ci stiamo indebolendo sempre di più. E non sembra ci siano le condizioni per un cambiamento delle politiche europee. A Cernobbio ad esempio l’economista Weder Di Mauro, consulente della Merkel, ha detto chiaramente che la Germania non cambierà rispondendo a chi confida nelle elezioni tedesche per un cambio di rotta. A questo punto la domanda è: visto che il nemico è l’austerità (giusto!) come la si combatte? Non c’è più tanto tempo per aspettare l’avvento del leader carismatico che faccia ravvedere l’europa. Quando non si può sognare bisogna fare i conti con la realtà. E l’abbandono dell’euro non può essere più un tabù ma una opzione da considerare nell’ottica di limitare i danni.

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        • Weder Di Mauro risponde così perché da per scontato che l’Italia sarà sempre guidata da chi non rappresenterà la volontà politica degli italiani. E quindi non si attende il cambiamento. Abbandonare l’euro non darà meno debolezza economica: sarebbe folle perdere l’euro e non guadagnare nulla.

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  4. paolo di leonardo

    12/09/2013 @ 11:44

    A mio parere non si centra il problema e attendo una sua smentita al mio pensiero: presupporre che la spesa pubblica sia da aumentare in Italia in cui rappresenta più del 50% pil mi sembra poco coerente.
    La chiave di volta, a mio parere, del suo discorso sta in un inciso “se è spesa buona”. La spesa pubblica è storicamente soggetta a moral hazard e adverse selection che ne pregiudicano una efficiente allocazione. Non sono ideologicamente contrario alla spesa pubblica ma ritengo che in Italia sia allocata malissimo benché sia molto consistente tanto da poter stimolare una crescita forte se riallocata con efficienza.

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    • La spesa pubblica di cui io parlo è quella per stipendi e appalti, i trasferimenti ovviamente non li includo non rilevano molto per PIL, specie in questo frangente. La spesa in Italia è allocata male e io concordo con lei.

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  5. Fabio Fraternali

    28/09/2013 @ 00:50

    Creare una moneta unica doveva (e ci è riuscita!) mettere in luce i nostri veri problemi di competitività rispetto ad altri, non permettendo la svalutazione. E ci si affidava, credo, al malcontento dei popoli affinchè i loro politici riportassero i paesi in condizioni di competitività.
    Come si può pretendere che un paese col debito/pil al 126 abbia una bassa tassazione, riesca a fare gli investimenti, sia competitivo con un altro il cui raporto debito/pil è all’80%?

    Come si può pretendere che un paese in cui vince gli appalti chi fa il prezzo più alto e la qualità più bassa (perchè gli appalti non sono puliti) – scaricando ciò sulle altre aziende che vedranno tasse più alte per pagare quei servizi pubblici troppo costosi e inefficienti . possa competere con paesi in cui le tasse sono più basse e i servizi migliori perchè gli appalti sono puliti?
    Come si può competere con paesi in cui i processi durano 1 anno?
    Come si può competere con paesi in cui gli investitori possono portare liberamente il loro denaro perchè non dovranno mantenere e sottostare a nessun guappo locale ma soltanto alla legge dello Stato? – del resto vorrei capire quali prospettive diamo ai ragazzini che spacciano droga a 100 euro al giorno per mantenere i loro genitori disoccupati…quella di laurearsi per trovarsi disoccupati? -.
    Forse prima di creare una moneta unica era necessario fare i compiti a casa!
    Creata così facciamo correre paesi zoppi con atleti professionisti, col risultato che gli zoppi resteranno sempre più indietro ed i professionisti sempre più avanti.
    A Berlino il Caviale e lo Champagne, ad Atene i cibi scaduti nei supermercati!!!!! Questo sa molto di neoimperialismo, di voglia di schiacciare gli altri e di asservirli; non invece di una leadership benevolente che costruisca un mondo in cui, ognuno nel suo piccolo, stiamo tutti un po’ meglio.
    Abbiamo bisogno di ingenti capitali per ridurre il debito, rimettere in piedi le scuole, potenziare le infrastrutture, impedire che i teatri dell’opera chiudano (credo che Verdi e Rossini si stiano rivoltando nella tomba), fare una nuova politica industriale, rimettere in piedi la giustizia…dove trovarli?
    Continuare a vendere i nostri gioielli di Stato non mi sembra una soluzione lungimirante..questo Stato che conta sempre meno mi spaventa.
    Stampare moneta oggi ridurrebbe il debito e farebbe ripartire il pil, facendo sì che il tasso di crescita dei redditi sia maggiore del tasso di crescita dei debiti (meno rischio default, minori interessi; possibilità degli stati di rifornirsi non solo sui mercati, monore possibilità dei mercati di dominare la vita degli stati).
    La costruzione europea è troppo rigida e se andiamo avanti così qualcosa si spezzerà.
    Gentile Professore, cosa pensa professore della possibilità di tornare a stampare moneta come salvataggio dell’Euro?

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  6. Fabio Fraternali

    28/09/2013 @ 02:49

    Ed infatti la liberale Inghilterra non si è fatta prendere per il naso: è entrata in Europa ma non nell’Euro! Quando necessario, senza eccessi, gli inglesi stampano sterline. Non sono costretti dal capestro dei mercati e della RIGIDITA’ dell’Euro.
    Se vogliamo salvare l’euro, l’Europa, la pace sul continente
    bisogna salvare la Grecia. Bisogna ridare un futuro all’Europa del Sud. L’Europa si imponga per sconfiggere la corruzione, le mafie non per diventare la agiata casa di alcuni e la misera prigione di altri.

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