Da Patte Lourde riceviamo e volentieri pubblichiamo
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La storia è fatta di cicli. Giambattista Vico avrebbe detto di ‘corsi e di ricorsi’. È finito anche il ciclo dell’Europa colonialista, il modello nel quale pensavamo di poter insegnare tutto a tutti. Non lo vogliamo ammettere. Chi ha costruito l’Europa così fragile alla crisi, nella convinzione che il modello europeo fosse immune alle crisi, oggi cerca di guidarci fuori dalla crisi.
Da troppo tempo sentiamo parlare di austerità e crisi, di riforme strutturali necessarie per rilanciare l’economia e ridurre la spesa pubblica; contemporaneamente si parla di salvataggi delle banche, di investire in infrastrutture, di pagare i debiti pregressi delle amministrazioni, di riformare le istituzioni pubbliche, nazionali ed europee.
Nel dibattito sembra evidente la riproposizione di vecchi problemi e di vecchie ricette, con parole nuove. È inoltre chiara la difficoltà a riconoscere che il nostro modello di crescita non può essere comparato con quello cinese o dell’America Latina, così come non è più adeguato alla situazione economica e sociale.
Ricordiamo la legge del consumo di Engel. Man mano che il reddito cresce, le spese destinate alle diverse voci di bilancio familiare cambiano in percentuale; quelle che erano destinate ai bisogni essenziali (l’alimentazione, per esempio) diminuiranno, mentre aumenteranno le spese per gli ‘articoli di lusso’. A questo concetto di beni di lusso diamo qui il significato di “tutti quei beni che non sono per bisogni essenziali”. Se si guarda la pendenza della curva che descrive il comportamento dei consumatori all’aumentare del reddito disponibile, si nota che è fortemente positiva, ovvero a una data percentuale di aumento del reddito corrisponderà un aumento più che proporzionale del consumo del bene.
Ora però proviamo a porci due domande.
1. Cosa succede se non ci sono più beni di lusso da comprare?
2. Cosa succede se per gli acquisti di beni di lusso se si è raggiunto un elevato livello di consumi, basandosi sul debito?
Risposta: il sistema si ferma. Nel nostro modello di crescita abbiamo pensato che potessimo vivere senza industria, semplicemente basando la nostra produzione sui servizi. La crescita dei fattori produttivi, i vantaggi della divisione internazionale del lavoro conferiti all’occidente, le massicce migrazioni e gli spostamenti hanno permesso un aumento delle disponibilità e della scelta di prodotti. Parallelamente il potere di acquisto è aumentato come conseguenza del rialzo dei salari e della diminuzione dei prezzi, grazie ai guadagni di produttività dovuti alla divisione internazionale del lavoro. Questo ci ha illusi.
Non c’è stata attenzione alle esigenze delle imprese: istruzione, ricerca, internazionalizzazione. Non c’è stata attenzione alle grida di aiuto che le PMI mandavano. Si è lasciato scivolare nel buio istruzione e ricerca.
Ora chi ha scritto le regole di quest’Europa, che non ha fatto attenzione alla deindustrializzazione, parla di dotare l’Europa di politica industriale, senza lasciare l’austerità, fissando delle percentuali target.
Non possiamo basare la ‘riscossa europea’ sugli automatismi e sulle regole matematiche. Dobbiamo riappropriarci della politica economica, capire cosa non funziona più nel sistema e reagire.
Dobbiamo ritrovare un nuovo modello di crescita, non più basato sul debito pubblico, ma sull’iniziativa privata, senza aspettare la prossima rivoluzione industriale.
Forse con le politiche di austerità è stato salvato l’euro, ma l’economia è stata messa nello stato stazionario che Smith vide per la Cina a fine 800.
La disoccupazione giovanile è il principale problema da affrontare; sono i giovani a portare innovazione. L’Innovazione porta crescita economica.
A maggio 2014 si vota per il Parlamento europeo. Ricordiamoci di votare per il futuro dell’Europa.
10/09/2013 @ 06:58
“Dobbiamo ritrovare un nuovo modello di crescita, non più basato sul debito pubblico, ma sull’iniziativa privata”.
Ma tutte le misure finora prese (maggiore flessibilità del mercato del lavoro, liberalizzazione dei mercati finanziari, riduzione dell’intervento pubblico) e che hanno guidato la politica economica europea negli ultimi 20 anni non erano forse tutte a favore “dell’iniziativa privata”?
Il debito pubblico è stato utilizzato per ripianare le perdite e offrire opportunità di guadagno al sistema finanziario che, liberato da vincoli e controlli (sempre nel nome di una fideistica superiorità dell’iniziativa privata sul benessere pubblico), è stato solo capace di generare la più grave recessione dal ’29.
Forse è arrivato il momento di mettere in discussione certi luoghi comuni sulla superiorità del mercato.
Questo è il mercato: crisi e disperazione per i più deboli e trasferimento di ricchezza verso i più forti.
10/09/2013 @ 19:44
Caro Giorgio, Il punto che voleva fare non è che il mercato è superiore tout court. Il tema è che ‘nel nostro paese è difficile fare iniziative privata. Viene scoraggiata l’iniziativa con una serie di vincoli che occorre rivedere. Occorre ridare fiato alle nostre piccole e medie imprese.
Solo questo
11/09/2013 @ 08:23
Mi dice quali sono questi vincoli?
11/09/2013 @ 16:06
Negli Usa, ove il mercato del lavoro non può certamente definirsi pieno di vincoli tali da ostacolare la libera iniziativa privata, i lavoratori autonomi solo il 6,6% del totale degli occupati. In Italia sono il 24,8%.
Che poi in Italia tra gli “imprenditori” ci siano anche le false partite iva è un altro fenomenale risultato delle “riforme del mercato del lavoro” attuate in questo paese: trasformare i dipendenti in imprenditori di se stessi, dovendosi in tal modo pagare l’inps, non avere diritto a ferie o malattia, pagarsi il commercialista per poter lavorare ed essere “licenziati” a piacere senza alcun costo aggiuntivo. Eppure, nonostante tutto questo, non cresce il pil, la precarietà aumenta e la disoccupazione pure.
12/09/2013 @ 07:41
Condivido in pieno: ogni qual volta si scende dal piano teorico (“ci sono i vincoli”) a quello pratico (“quali sono questi vincoli”) le risposte latitano. Classico artificio retorico quello di indicare dei mitici “vincoli” che in realtà non esistono