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Il Cattivo Governo della finanza, da Siena a New York

Dal banchiere Gerontius riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Alexandria, Santorini e Nota Italia sono i nomi delle transazioni oggetto dello scandalo che ha portato il Monte dei Paschi al centro del dibattito politico in questi giorni.

Nel 2005 Dresner Bank presenta al MPS un titolo denominato Alexandria che appare subito un buon investimento. Ha il massimo del rating, tripla A. E’ un CDO sintetico. Un titolo emesso da un veicolo che al suo interno ha titoli di elevato standing e contratti di tipo assicurativo che, a fronte di un premio, assicurano il rischio di default di altre obbligazioni emesse da società industriali o da altri veicoli di cartolarizzazioni. Strumenti complessi ma che in quel momento andavano di moda e venivano acquistati in modo massiccio dalle banche di tutto il mondo. E’ il business di quegli anni. Le blasonate banche d’investimento che strutturano queste operazioni fanno soldi a palate. Il Monte dei Paschi decide di investire in Alexandria per 400 milioni sottoscrivendo l’intera emissione.

Nel 2009, dopo il crack di Lehman, Alexandria come molti altri titoli di questa specie perde più di metà del proprio valore. Le stesse banche d’investimento che negli anni precedenti avevano venduto questi prodotti, adesso si presentano con un nuovo cappello, quello di “ristrutturatori.” Questa volta si fa avanti Nomura. La proposta che fa è molto allettante. Nomura acquista ad un prezzo fuori mercato i titoli Alexandria facendo così evitare al MPS di registrare una perdita di circa 220 milioni. Ma Nomura non è un benefattore. Chiede al MPS di entrare in un “asset swap” che ha come sottostante un portafoglio di BTP trentennali per un importo di circa 3 miliardi. Anche lo swap attaccato all’operazione non girerà esattamente ai valori di mercato per permettere a Nomura di recuperare la perdita e assicurasi un guadagno e al MPS di spalmare in 30 esercizi la perdita.

Quando Sadeq Sayeed, noto banchiere di Nomura, chiede a Mussari, nella famosa telefonata registrata, se è consapevole delle potenziali difficoltà contabili nel registrare un’operazione del genere, il Presidente del MPS gli risponderà che sono stati informati sia l’audit interno che il revisore i quali gli hanno assicurato che tutto avverrà nel rispetto delle regole. E c’è da credergli perché nell’ambito delle cosiddette “politiche di bilancio” non è impossibile far girare operazioni non propriamente a mercato.

Santorini, l’altra operazione oggetto dello scandalo, è nelle finalità identica a quella chiusa con Nomura: cercare di nascondere perdite finanziarie imbastendo altre operazioni finanziarie. In questo caso l’operazione originaria sulla quale si doveva registrare la perdita era stata effettuata nel 2002. Si trattava di un “equity swap” che aveva come sottostante una partecipazione del MPS in Intesa. L’operazione finalizzata con Deutsche Bank permetteva al MPS di finanziarsi a condizioni favorevoli mantenendo l’esposizione al rischio dei movimenti di prezzo dell’azione Intesa. A fine 2008 l’azione perde circa il 50% del proprio valore. Invece di registrare la perdita che ammontava a circa 367 milioni di euro il MPS decide di ristrutturare l’operazione con il supporto di Deutsche Bank. I dettagli di questa operazione non sono stati resi noti.

Sappiamo che una parte di questa ristrutturazione comportava di entrare in una scommessa sull’andamento dei tassi di interesse a breve sull’euro ed un’altra parte nel vendere protezione a Deutsche Bank su un portafoglio di 1.5 miliardi di titoli di Stato Italiani lasciando così esposto il MPS al rischio di rialzo del famigerato spread.
La terza operazione che è entrata nelle cronache di questi giorni è conosciuta come Nota Italia. Un’operazione realizzata nel 2006 da MPS con JP Morgan. La finalità era vendere protezione sul rischio Repubblica di Italia alla banca americana . Poiché il MPS non aveva lo standing per chiudere l’operazione direttamente con un semplice contratto di Credit Default Swap viene messo in piedi un veicolo che emette titoli che vengono acquistati dal MPS. Con i proventi rivenienti da questi titoli il veicolo a sua volta acquista titoli con rating tripla A. Questi costituiranno la garanzia per i contratti di protezione del rischio Italia offerti dal veicolo. In caso di default dell’Italia il veicolo potrà liquidare i titoli ed onorare i propri impegni. Come ci si può attendere i valori dei titoli emessi dal veicolo e sottoscritti dal MPS dovranno però risentire dell’andamento del rischio Italia ma è probabile che questi non venissero correttamente valutati.

Tutte queste operazioni hanno in comune quello di essere complesse ed opache per avere maggiore discrezionalità per le loro rappresentazioni contabili al fine di congelare rischi, nascondere perdite ed evitare una corretta valutazione di mercato. Hanno in comune anche quello di modificare i profili di rischi e nel caso specifico quello di aumentare il rischio della banca senese nei confronti della Repubblica Italiana per circa 5 miliardi.

A ottobre dello scorso anno il presidente Profumo e l’AD Viola hanno deciso di aprire il vaso di Pandora per liberare la banca di tutti i mali che segretamente custodiva. Per far fronte alle perdite di queste operazioni annunciavano che la banca avrebbe chiesto al governo italiano di sottoscrivere altri 500 milioni dei “Nuovi Strumenti Finanziari” i cosiddetti “Monti bond” in aggiunta ai 3.4 miliardi già richiesti.

E’ stato scritto che il peccato originale di questi comportamenti debba essere ricercato nel rapporto “ non sano” tra il management della banca e dell’azionista fondazione che è espressione del potere locale della città di Siena. Può darsi. Ma bisogna ricordare che negli Stati Uniti dove le fondazioni bancarie non esistono e ci sono solo azionisti privati dal 2008 sono fallite ben 406 banche. Certo sono fallite in conseguenza della crisi finanziaria. Ma non tutte le banche sono fallite e quelle che lo sono avevano tutte commesso errori analoghi a quelli del MPS. Aver investito in CDO, aver fatto un uso improprio dei derivati, aver camuffato i conti grazie ad operazioni complesse ed opache.

Purtroppo a più di cinque anni dello scoppio della crisi finanziaria la riforma che avrebbe dovuto regolamentare il sistema bancario non è stata fatta né in America né in Europa. Una riforma che separi in maniera netta e decisa le banche di investimento da quelle commerciali. Una riforma che vieti a queste ultime di fare attività di finanza che non è collegata al loro core business che è quello di vendere servizi finanziari alle imprese e alle famiglie. Così facendo si eviterebbe anche che le banche di investimento continuino a offrire a queste ultime pericolosi prodotti “esotici” che nulla hanno a che con il fare banca commerciale. Ma le potenti lobby finanziarie sostenute dalle grandi banche di investimento, vedendo svanire importanti mercati per i loro prodotti, hanno impedito che questa riforma venisse fatta.

4 comments

  1. Nulla da obiettare.
    Sono contenta che il caso MPS sia così eclatante (anzi lo sarei, se non fosse che lo pagheremo tutti noi). Quelli con il prosciutto dell’ideologia piddina sugli occhi non potranno più rispondere “In Italia non è mai stata salvata nessuna banca, i pigri e improduttivi italiani hanno vissuto sopra le proprie possibilità e adesso devono pagare i loro debiti.
    Lobby bancarie? (risolino di compatimento) Ah… ma sei complottista!”

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  3. ernesto buondonno

    03/02/2013 @ 15:43

    Egr. Professore mi sembra che sono diverse le lettere a lei inviate che individuano un problema che si agita nel paese reale ma che non riesce a passare, come messaggio chiaro nelle analisi e nelle azioni politiche.
    E evidente che sono ormai troppi anni che si è corso dietro a falsi miti della finanza senza rendersi conto dell’allontanamento dei capitali dalle attività produttive perché chiaramente allettati da guadagni senza lavoro ( lavoro intendo, impegno, fatica, rischio,organizzazione) per produrre e quindi realizzare prodotti e guadagni.
    E per la Pubblica Amministrazione di dover agire in favore dei cittadini e delle imprese come erogatore di servizi e non come sfruttatore di posizione di dominio.
    Questa mentalità che ha pervaso il sistema economico, e tale che è divenuto difficile invertire la tendenza, ossia come si riesce a convincere le banche, che anche loro hanno perso la capacità di fare impresa, di invertire la loro attività e ricominciare a fare le banche finanziando attività produttive vere e vitali facendo così un piacere al sistema produttivo e forse tentare di salvare anche la loro situazione (piena di crediti finanziari).
    Come si fa a far capire alla Politica che i costi della Pubblica Amministrazione sono da gestire come tutte le attività vere – non come finanza creativa – tagliando o non finanziando, ma riducendo gli sperperi, e finanziando dove si ottengono servizi e ricadute.
    Non credo che sia un contratto di lavoro più o meno flessibile a risolvere il problema della disoccupazione credo che sia più utile la possibilità di esistere di chi deve assumere, se emorragie della P.A. si trasformano in una finto servizio, se l’azione della P.A. risulta e percepita essenzialmente come un freno questo non può essere sostenuto da un mondo produttivo reale, ma se la P.A. nella sua azione produce servizi diviene addirittura uno stimolo alla crescita.
    Quello che mi preoccupa e la lontananza del dibattito politico da una analisi convincente, ma attento solo tra gli schieramenti a fare muro su categorie un po’ lontane da una aggiornata realtà.

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