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Spariscono i Michelangeli.

Quando nel 1547 Michelangelo Buonarroti venne nominato da Paolo III sovraintendente alla Fabbrica della basilica di S. Pietro, succedendo ad Antonio da Sangallo, non poteva certo immaginare che, di lì a poco, sarebbe rimasto senza il suo potentissimo committente e protettore. Papa Farnese moriva infatti il 10 novembre 1549. Nell’attesa del nuovo pontefice, il 22 novembre di quell’anno, con decreto dei responsabili della Fabbrica, vennero interrotti i lavori in S. Pietro ed il cantiere e i materiali di lavoro confiscati e chiusi a chiave.

La nuova situazione determinò, come ovvio, la sospensione dei salari per tutti gli artigiani, carpentieri e muratori che a quella impresa stavano lavorando. Il Buonarroti dunque si trovò in gravi difficoltà economiche e, preoccupato anche della sorte dei suoi collaboratori, fu costretto a ricorrere all’aiuto dei suoi mecenati ed amici. Tra questi, scelse di rivolgersi anche a Cristoforo Spiriti, allora vescovo di Cesena e futuro patriarca di Gerusalemme, al quale, in una breve lettera, espose le circostanze che avevano portato ad una situazione per lui tanto umiliante e difficile.

Da Lux in Arcana, L’Archivio Vaticano si rivela, nel IV° centenario dalla fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano, Musei Capitolini, Roma.

Continua, il volume della mostra: “Non potendo egli stesso provvedere alla paga, temeva che dalla situazione ne potessero derivare un “danno di parechi migliaia di scudi” e un probabile “scandolo“. La lettera di Michelangelo è lì, ogni lettera appare come incisa da uno scalpello leggero che lavora il foglio con tratti precisi e forti.

Ecco, penso. La ditta Michelangelo & Co. con un problema di liquidità a causa di ritardato pagamento. Un imprenditore, lui, che si dà da fare per porre rimedio con finanziamenti per non generare disoccupazione tra i suoi operai e per non nuocere alla reputazione della sua azienda.

Come oggi.

La differenza? 1 mese dopo, eletto Giulio III “la vicenda trovò soluzione”. Il bello per la città fu salvato, gli operai non rientrarono a far parte dei numeri che gonfiano il tasso di disoccupazione, Michelangelo poté continuare senza danno per la sua reputazione con quella ed altre commesse.

No allora, non come oggi. Oggi non ci sono committenti pubblici disposti a pagare per il Bello, e dunque abbiamo sempre più disoccupati e sempre meno Michelangeli. Quei Michelangeli che rimangono a galla, comunque, si battono ogni giorno per i loro operai e per loro stessi e continuano a gridare allo scandalo, con voci sempre più flebili. Gridano “pagateci per il bello fatto” e “fateci lavorare per il bello”.

Ma non ci sono né Paolo III né Giulio III. E il bello svanisce. E con esso un nuovo Rinascimento.

2 comments

  1. Buongiorno Professore,
    esco da casa, mi metto in macchina e percorro pochi chilometri in una direzione e trovo il bello promosso dai committenti pubblici di qualche secolo fa; le opere di Michelangelo, Bernini, Borromini per non parlare di quelle di qualche sconosciuto architetto antico romano – non si conosce il nome di neanche uno di loro -, l’Arco di Costantino, il Colosseo, i Fori. Mi metto in macchina nella direzione opposta e trovo il “bello” dei committenti pubblici moderni, Corviale.
    Se mai uno vuole cercare una ragione per cui i cittadini non si fidano più del pubblico, la trova su una collinetta a lato della Via Portuense dove, subito dopo inizia un tratto miracolosamente incontaminato di campagna romana.

    La mia compagna è architetto, ha sempre votato a sinistra ma nonstante ciò ammette che l’ultima architettura mossa da un’idea, per quanto sbagliata essa fosse, fatta in Italia è quella di Mussolini. Triste, no?
    Le auguro una buona giornata, sperando che la sua auto questa mattina vada nella direzione giusta.

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