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Con le liberalizzazioni abbiamo fatto fuggire dall’Italia Diomira, città invisibile del bello pubblico.

Partendosi di là e andando tre giornate verso levante, l’uomo si trova a Diomira, città con sessanta cupole d’argento, statue in bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori s’accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, viene da invidiare quelli che ora pensano d’aver già vissuto una sera uguale a questa e d’esser stati quella volta felici.

Diomira, Le città invisibili di Italo Calvino

C’era una volta una bella legge, la LEGGE 29 LUGLIO 1949, N.717 NORME PER L’ARTE NEGLI EDIFICI PUBBLICI (Modificata dalla Legge 3 marzo 1960, n.237). Recitava, nei suoi primi 2 commi, così:

1. Le amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, nonché le regioni, le province, i comuni e tutti gli altri enti pubblici, che provvedano all’esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici ed alla ricostruzione di edifici pubblici distrutti per cause di guerra, devono destinare all’ abbellimento di essi mediante opere d’arte una quota non inferiore al 2 per cento della spesa totale prevista nel progetto (così modificato dall’art.1, L.237/60).

2. Sono escluse da tale obbligo le costruzioni e ricostruzioni di edifici destinati ad uso industriale o di alloggi popolari, nonché gli edifici a qualsiasi uso destinati, che importino una spesa non superiore a 50 milioni (di lire del 1960, aggiungiamo noi, circa 630.000 euro d’oggidì).

Che bella legge sul bello. Insomma c’era un tempo in cui si spendeva per il bello, così che era bello spendere.

Da oggi c’è una nuova legge sul bello, è all’articolo 48 del disegno di legge sulle liberalizzazioni (alla voce infrastrutture), in cui si spende meno sul bello così che è meno bello spendere. Ma soprattutto, quando dalla terrazza una voce di donna griderà: uh! saremo più invidiosi di chi visse prima di noi.

Eccola la nuova legge (in corsivo le aggiunte e sbarrate le eliminazioni):

1.Le  Amministrazioni  dello  Stato,  anche con ordinamento autonomo, nonche’ le Regioni, Province, Comuni e tutti  gli  altri enti  pubblici, che provvedano all’esecuzione di nuove  costruzioni  di  edifici  pubblici  ed  alla  ricostruzione di edifici  pubblici  distrutti per cause di guerra, devono destinare al loro  abbellimento mediante opere d’arte una quota della spesa totale prevista nel progetto non inferiore alle seguenti percentuali una quota non inferiore al 2 per cento della spesa totale prevista nel progetto:

- 2% per gli importi superiori ed uguali a 1 milione di euro ed inferiori a 5 milioni di euro;

- 1% per gli importi superiori a 5 milioni ed inferiori a 20 milioni di euro;

- 0,5% per gli importi superiori a 20 milioni di euro.

2. Sono  escluse  da  tale  obbligo  le costruzioni e ricostruzioni di edifici  destinati  ad uso industriale o di edilizia residenziale pubblica alloggi popolari, sia di uso civile che militare, nonche’ gli  edifici  a qualsiasi uso destinati, che importino una, spesa non superiore a 1 milione di euro 50 milioni.

Insomma ora per il bello dei nostri edifici pubblici non spenderemo mai “almeno il 2%” del valore dello stesso ma al massimo il 2%, per gli edifici più piccini, e mai più dello 0,5% per quelli grandi grandi.

E niente spesa per il bello per gli edifici che costano meno di 1 milione di euro. Peccato che prima prima, quando eravamo più belli, erano solo le case che costavano meno di 630.000 euro che potevano restare brutte.

Eccoci dunque qui. Diomira non sta in più in Italia, ha traslocato chissà dove, come fanno le città invisibili, in nome della visibile e triste austerità.

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