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Risponde l’On. Cirino Pomicino e apre ulteriori scenari

Ho appena ricevuto via mail dall’On. Paolo Cirino Pomicino un commento che merita un post a sé. Anche perché illumina ulteriormente quel decennio (gli anni 80) così importante che può apparire irrilevante oggi ai più giovani ma che, concordo con lo scrivente, ha lasciato una positiva eredità per il nostro Paese, malgrado tutte le ombre che ancora restano,oscure e silenziose, che articoli e lettere di questo tipo aiutano a diradare. Grazie Onorevole.

Caro Piga,

grazie per l’interesse per il mio articolo sulla ricostruzione del debito pubblico ma, dopo aver letto il suo commento, ritengo dover aggiungere una ulteriore specificazione delle ragioni politiche per le quali, una volta attuato il divorzio Tesoro-Bankitalia, non si aumentò la pressione fiscale visto che nel 1982 era al 34,1% mentre la Germania era al 42,5 e la Francia al 4,5 e  la spesa primaria corrente era al 35,2%, peraltro un livello non drammatico. L’altissima inflazione (nel 1981 era ancora al 17 %) e il terrorismo brigatista con la sua omicida campagna elettorale furono, a mio giudizio, giustamente ritenuti gli obiettivi principali da combattere. In politica, infatti, è buona norma gerarchizzare i problemi quando non si possono affrontare tutti insieme. Se i governi dell’epoca (io non ero né al governo, né in commissione bilancio) alla fine del 1981 avessero fatto le “best pratices” della finanza pubblica aumentando le tasse e tagliando la spesa pubblica primaria (prevalentemente enti locali, pensioni, pubblico impiego) avremmo favorito un fronte sindacale unito e collegato alla sinistra politica che avrebbe impedito l’accordo di san Valentino del 1984 sul raffreddamento della scala mobile che fu possibile proprio perché  governo e maggioranza riuscirono a coinvolgere Cisl e Uil oltre che la componente socialista della Cgil tanto da sottoscrivere l’accordo prima e vincere poi anche il successivo referendum. Quell’accordo fu alla base del crollo dell’inflazione che nel 1988 si abbassò al 5 %. Senza questo risultato l’economia italiana, ma lo stesso Paese, sarebbe andato in rovina con la rincorsa salari-prezzi offrendo alimento gigantesco al brigatismo rosso. La “normalizzazione civile” costa sempre ed infatti costò ma il prezzo era ampiamente sostenibile tanto che nel 1991 già raggiungemmo,  dopo quasi  25 anni, il pareggio del bilancio primario.

Staccata la spina dell’inflazione nel 1984 si ridusse il gettito tributario drogato dagli effetti inflattivi che aumentavano i redditi nominali dei lavoratori dipendenti e il disavanzo crebbe. Infine nel triennio ’81-’83 non ci fu stagnazione ma solo una riduzione della crescita (0,8 nell’ ’81, 0,4 nell’ ’82, 1,2 nell’ ’83)i cui livelli negli anni ’90 e nel primo decennio del 2000 sarebbero stati apprezzabilissimi.

Uno stimolo finale. È certo che la ricchezza e il risparmio di una parte cospicua delle famiglie italiane non fu favorita anche da quella decisione di non aumentare la pressione fiscale da un lato e con l’abnorme emissione di titoli del debito pubblico dall’altro? Ci pensi e vedrà come in politica tutto si tiene per cui gli effetti di quella decisione ridussero l’inflazione, evitarono la rottura della coesione sociale, sconfissero il terrorismo, aumentarono il debito pubblico e favorirono il grande risparmio degli italiani. Negli ultimi 20 anni non c’ è stata né inflazione internazionale, né terrorismo, né altri “nemici” da abbattere e il debito pubblico è aumentato, la crescita si è fermata e gli investimenti sono stati ridotti. E’ inutile ricordare che da 19 anni l’economia italiana è stata messa nelle mani di tecnici autorevoli. Questi i fatti.  Le opinioni possono essere le più diverse.

05-01-2012

Paolo Cirino Pomicino

Odio i giornali quando alle lettere dei lettori aggiungono commenti per smentirli o farsene gioco. Nulla di tutto ciò nell’unica aggiunta che voglio fare. Ci sono tecnici e tecnici. Ce n’era uno, in particolare, che oltre ad essere un tecnico era un uomo. Un uomo pieno di passioni, debolezze forse ma di grandi ideali ed utopie coraggiose. Si chiamava Ezio Tarantelli e fu ucciso da qualche idiota della Brigate Rosse il 27 marzo 1985 nella sua Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Roma La Sapienza, dopo una lezione tenuta ai suoi studenti. Economista e consulente della CISL, venne ucciso per le sue idee. La stele che ricorda il suo barbaro omicidio riporta una sua celebre frase “l’utopia dei deboli è la paura dei forti”. Al Premio Nobel Franco Modigliani e suo maestro scrisse, al riguardo del tema dell’opposizione sul tema dell’indicizzazione dei salari: “Come puoi comprendere sto ricevendo varie e forti pressioni da dentro e fuori il sindacato per una modifica anche parziale di questa impostazione [...] Non ho alcuna intenzione di cambiare linea. Costi quel che costi ai miei rapporti col sindacato e fuori. In questo spero che riconoscerai qualcuno dei tuoi insegnamenti”. La battaglia di cui parla l’On. Cirino Pomicino sulla scala mobile fu vinta grazie anche alla forza ed al rigore delle idee di Ezio Tarantelli. Ci sono tecnici e tecnici, Onorevole, e sono certo che lei sarà d’accordo con me.

3 comments

  1. Giacomo Gabbuti

    06/01/2012 @ 13:00

    La mia generazione, di questi anni tutt’altro che irrilevanti, sa poco. Per ignoranza, per eccessiva vicinanza storica, ma soprattutto perché la sua comprensione è irrimediabilmente compromessa da mezze verità, segreti e omissioni di chi l’ha caratterizzata (un po’ quello che qui si rimprovera spesso alla BCE).
    Quel poco che testimonianze orgogliosamente parziali e studi approssimativi mi lasciano, non senza dubbio e criticità, è che l’equilibrio sociale che quella spesa pubblica difendeva fosse fortemente corporativo e clientelare. Come l’ha definito qualcuno, un “compromesso al ribasso”.
    E’ indubbio che la politica richieda priorità, che la “tecnica” non consente o non è autorizzata a selezionare: ma è altrettanto vero (e qui l’economia ci aiuta nella comprensione) che le rendite, politiche o economiche che siano, si adoperano per la propria conservazione, e che non è indifferente affrontarle nell’immediato o lasciargli il tempo di perpetuarsi a danno e dentro la cosa pubblica – la stessa che dovrebbe essere chiamata poi a sradicarle.
    Quel clima cui accennavo prima, così come l’enorme statura politica di chi affollava la politica in quegli anni, lasciano il dubbio che qualcuno, di questo, fosse pienamente consapevole.

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  2. Tommaso Sinibaldi

    07/01/2012 @ 11:18

    Nella sua breve ma efficace analisi sugli anni Ottanta l’on. Cirino Pomicino omette un elemento importantissimo, anzi determinante direi : l’andamento dei tassi di interesse reali. Qui prendo a riferimento il tasso di sconto in termini reali (tasso di sconto corrente – variaz. indice prezzi al consumo), quindi il tasso più basso, il tasso alla base della “piramide” dei tassi di interesse (ho fatto un grafico – assai interessante, mi sembra – per il periodo 1958-2008, che non riesco ad inserire in questo post).
    Negli anni Settanta (ultimi anni di Carli e Governatorato di Baffi) i tassi reali furono fortemente negativi. Dal 1980 fino al (udite, udite) 1997 il tasso di sconto in termini reali fu costantemente superiore al 5%, con un lungo periodo (84-90) sopra al 7%. Tassi reali a questo livello per tanti anni avrebbero strangolato qualsiasi economia : è un miracolo che l’economia italiana sia sopravvissuta.
    Il fenomeno ha una sola e chiarissima – a mio parere – spiegazione : l’adesione italiana allo SME (1980 appunto). Nei quasi vent’anni successivi la Banca d’Italia ha imposto tassi altissimi per “tenere” il cambio. Se non ci fosse stata questa “esigenza” il tasso di sconto reale poteva essere certamente assai più basso e di conseguenza il rapporto debito/Pil (a parità di tutte le altre condizioni : andamento del Pil, entrate e uscite al netto degli interessi) molto ma molto più basso.
    L’euro dunque (lo SME era la fase “propedeutica all’euro) ha cominciato a produrre danni già trent’anni fa.

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    • E’ vero che i tassi reali hanno giocato un ruolo fondamentale. I dati in mio possesso (tassi reali expost) dicono che diventano positivi nel 1985 ed è solo nel 1992 che schizzano al 5% (crisi di cambio) e vi rimangono (all’incirca scendendo un poco) fino all’ingresso nell’area dell’euro.
      Non credo necessariamente che dobbiamo ascrivere all’euro questi danni. Mentre restano aperte le critiche alla crisi del 1992, credo che la mossa del Governatore Fazio di stringere i tassi nella seconda metà degli anni 90 fu essenziale per impattare sulle aspettative di inflazione e permettere l’ingresso nell’euro.

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