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Da Raphael Rossi a quella domanda pubblica di consulenze che purtroppo vietiamo

La storia di Raphael Rossi è fuori dal comune. Chi la vuole percorrere nella sua interezza riveda Report di allora.

Oggi Rossi è nuovamente e maggiormente al centro della bufera dopo la sua nomina a Presidente presso Asia azienda raccolta rifiuti di Napoli, e il suo abbandono pochi mesi dopo una controversia con il Consiglio comunale di Napoli. Accusato da alcuni, ha visto bene di difendersi in tempo reale, rinviando correttamente le spiegazioni là dove si è aperta una inchiesta.

Qui vorrei aprire però una finestra laterale sulla questione. Avrete notato come parte delle accuse/diatribe/illazioni/fandonie su Rossi riguardino il fatto che abbia dato delle consulenze. Delle consulenze vorrei parlare. Delle consulenze nella Pubblica Amministrazione.

In Italia hanno un connotato negativo. Sono considerate tangenti. E’ una idiozia totale, come fa capire anche Rossi nella sua replica. Servono eccome, le competenze specifiche per la P.A. che non sono spesso disponibili all’interno della P.A. e che non significano per nulla che la P.A. non funzioni, ma semplicemente che non ha bisogno permanentemente di certe competenze o che non può spendere permanentemente quelle risorse per ottenere servizi qualificati.

In tutto il mondo le Pubbliche amministrazioni domandano servizi di consulenza per migliorarsi. Nel fare ciò si ottiene un ulteriore vantaggio a livello di sistema Paese: si crea una domanda pubblica per servizi di consulenza che crea una forte industria nazionale che riuscirà ad imporsi col suo export, generando ricchezza e occupazione. In questo modo in Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti sono nate grandi multinazionali delle consulenze. Case di consulenze che sono le vere Sette Sorelle del mondo occidentale del XXI° secolo, che aiutano le loro imprese nazionali ad ottenere lavoro all’estero, scatenando un virtuoso e sofisticato schema di successo come Sistema Paese.

Ma tant’è. Con tutto l’ingegno che abbiamo in Italia, con tutta la necessità che abbiamo, per resistere alla crescente concorrenza asiatica sul manufatturiero, di essere forti sui servizi, vietiamo o rendiamo la vita impossibile a chi desidera consulenza nel settore pubblico. I dati parlano chiaro, per esempio, li traggo dall’ultimo rapporto Assoconsult sul Management Consulting:

… questo quadro pone l’Italia come fanalino di coda, assieme alla Spagna, rispetto ai paesi dell’Unione Europea analizzati dalla ricerca FEACO – Federazione Europea delle Associazioni di Management Consulting (ovvero Germania, UK, Francia, Spagna e Italia); in Italia il contributo del Management Consulting al PIL è pari allo 0,20% rispetto a 0,74% in Germania, 0,61% nel Regno Unito e 0,32% in Francia.

Il PIL che perdiamo è dovuto al fatto che in Italia non si sta sviluppando un’azienda forte della consulenza. E il divieto e la strumentalizzazione che si fa del consulente nella Pubblica Amministrazione deprime un mercato strategico.

Certo che parte della corruzione in Italia passa per i contrattini per gli amici, e allora? Vogliamo buttare il bambino con l’acqua sporca solo perché facciamo finta di non avere gli strumenti per identificare quali contratti di consulenza sono veri e quali sono finti? Allora vogliamo bloccare tutte le autostrade d’Italia e le loro manutenzioni? O vogliamo piuttosto finalmente fare esplodere la domanda pubblica di consulenze, mettere al lavoro e far crescere tanti giovani che escono dalle università con migliaia di idee per come migliorare la P.A. facendo nel contempo crescere le loro aziende, e mettere invece la Corte dei Conti e chi deve farlo alla ricerca della vera qualità nelle forniture di beni, lavori e servizi senza per questo vietarla a priori?

5 comments

  1. Nicola martinelli

    09/01/2012 @ 11:27

    La miopia della PA sull’approccio al mercato é drammatica per le consulenze che sono inquadrate come ulteriore finanziamento della politica e quindi usate strumentalmente per foraggiare gli amici e per accusare i nemici di farne uso per lo stesso motivo. Un problema risolvibile con la trasparenza, perché solo la pubblicazione delle consulenze e dei relativi risultati potrebbero aiutare a comprendere se le 300.000 euro stanziate prima di Rossi per la comunicazione hanno una minima utilità comparate con le attività ordinate da Rossi.
    Un tema ancora piú drammatico lo vedo sulla autorefenzialità della PA in merito ai sistemi informativi.

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  2. maurizio campolo

    09/01/2012 @ 11:46

    E chi vuole che si prenda la briga (e la responsabilità…) di distinguere, in un Paese in cui si preferisce fare di tutta l’erba un fascio e vietare “puramente e semplicemente” – almeno sulla carta – ciò che non si riesce a tenere sotto controllo?
    Detto questo, è un dato di fatto che il settore delle consulenze si presti, nel pubblico come nel privato, ad abusi e che la lotta a determinati comportamenti non virtuosi passi, anche all’estero, attraverso misure che spesso si rivelano rimedi peggiori del male (vedi, ad esempio, alcuni aspetti della Sarbanes-Oxley).

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  3. Stefano Caiazza

    09/01/2012 @ 14:00

    Sono d’accordo.
    Il vero nodo è il criterio con il quale vengono assengate le consulenze. Andrebbe anche creata una angrafe dei consulenti della P.A. da cui rilevare eventuali abusi e i compensi percepiti. La trasparenza è il miglior antitodo per le frodi.

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  4. massimo ciuffini

    10/01/2012 @ 11:49

    L’assenza di competenza interna alla PA non è una deficienza puntuale o temporanea dunque integrabile con le consulenze ma è strutturale e pervasiva. Il punto oggi non è come creare un mercato della consulenza ma come si possa al contrario ridurlo costruendo una cultura dell’amministrazione pubblica come si deve. Negli ultimi decenni cosa è accaduto? Da una parte una PA sempre più imbelle ed incompetente e che risponde solo a sè stessa (altro che costi della politica ….altro che spoyling system), una miriade di finte società pubbliche, il ricorso massiccio a società di consulenza tipo Deloitte, Mckinsey etc che 9 volte su dieci producono “FUFFA” e 10 su 10 “IDEOLOGIA” sottoforma di grafichetti colorati ammiccanti. Detto in altre parole, si rompe la macchina ed invece di aggiustarla capendo dove si è rotta se ne compra un’altra che ha poi lo stesso motore difettoso anche se un colore diverso, poi, rimasti di nuovo a piedi, si acquistano in maniera forsennata corse taxi (e che continuano a non portarci a destinazione). Proprio il tema dell’investimento improcrastinabile nell’aggiornamento della PA dimostra come sia impossibile e velleitario pensare di uscire dalla crisi riducendo la spesa pubblica semplicemente migliorando ed implementando la qualità nell’acquisti di beni e servizi dello stato (in questo caso consulenze esterne) ma ribaltando completamente gli schemi mentali dominanti degli tultimi 30 anni.

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