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Il New Deal che apre la via

La barricade ferme la rue mais ouvre la voie.

Anonimo, slogan Maggio 1968.

 

 

 

 

E va beh. Le liberalizzazioni. Sarà…

Così mestamente ragionavo mentre me ne andavo stamane dal giornalaio. Per fortuna sulla via del ritorno mi sono letto traversando la strada (sono ancora qui, tranquilli) l’articolo di Luciano Gallino su Repubblica (che non è di solito esattamente il mio pensatore preferito) e mi sono trovato a condividere il di lui pensiero quando esclamava:

…  a ottobre 2011 il presidente Obama ha presentato al Congresso un altro piano in cui le politiche fiscali hanno ancora un certo peso, però accanto ad esse propone lo stanziamento di 140 miliardi di dollari per mantenere in servizio 280.000 insegnanti; modernizzare oltre 35.000 scuole; effettuare investimenti immediati per riattivare strade, ferrovie, trasporti locali e aeroporti e ridare così un lavoro a centinaia di migliaia di operai delle costruzioni. In sostanza, il governo Usa ha deciso di puntare meno sui tagli di tasse e assai più su interventi diretti “per creare posti di lavoro adesso” (così dice la copertina del piano). È un passo significativo verso un recupero da parte dello Stato del ruolo di datore di lavoro di ultima istanza, quello che durante il New Deal creò in pochi mesi milioni di posti di lavoro.

Uno Stato che voglia oggi rivestire tale ruolo assume il maggior numero possibile di disoccupati a un salario vicino a quello medio (intorno ai 15.000 euro lordi l´anno), e li destina a settori di urgente utilità pubblica; tali, altresì, da comportare un´alta intensità di lavoro. Quindi niente grandi opere, bensì gran numero di opere piccole e medie. Tra i settori che in Italia presentano dette caratteristiche si possono collocare in prima fila il riassetto idrogeologico, la ristrutturazione delle scuole che violano le norme di sicurezza (la metà), la ricostruzione degli ospedali obsoleti (forse il 60%). Significa questo che lo Stato dovrebbe mettersi a fare l´idraulico o il muratore, come un tempo fece panettoni e conserve? Certo che no. Lo Stato dovrebbe semplicemente istituire un´Agenzia per l´occupazione, che determina i criteri di assunzione e il sistema di pagamento. Dopodiché questa si mette in contatto con enti territoriali, servizi per l´impiego, organizzazioni del volontariato, che provvedono localmente alle pratiche di assunzione delle persone interessate e le avviano al lavoro. È probabile che non vi sarebbero difficoltà eccessive a farlo, visto le tante Pmi, cooperative e aziende pubbliche, aventi competenze idonee in uno dei settori indicati, le quali potrebbero aver interesse a impiegare stabilmente personale il cui costo è sopportato per la maggior parte dallo Stato.

La domanda cruciale è come finanzia le assunzioni il datore di lavoro di ultima istanza. Si può tentare qualche indicazione, partendo da una cifra-obiettivo: un milione di assunzioni (di disoccupati) entro pochi mesi. A 15.000 euro l´uno, la spesa sarebbe (a parte il problema di tasse e contributi) di 15 miliardi l´anno. Le fonti potrebbero essere molteplici. Si va dalla soppressione delle spese del bilancio statale che a paragone di quelle necessarie appaiono inutili, a una piccola patrimoniale di scopo; dal contributo delle aziende coinvolte, che potrebbero trovare allettante l´idea di pagare, supponiamo, un terzo della spesa pro capite, a una riforma degli ammortizzatori sociali fondata sull´idea che, in presenza di lunghi periodi di cassa integrazione, proponga agli interessati la libera scelta tra 750 euro al mese o meno per stare a casa, e 1.200 per svolgere un lavoro decente. Altri contributi potrebbero venire da enti territoriali e ministeri interessati dalle attività di ristrutturazione di numerosi spazi e beni pubblici. Non va infine trascurato che disoccupazione e sotto-occupazione sottraggono all´economia decine di miliardi l´anno. John M. Keynes – al quale risale l´idea di un simile intervento – diceva che l´essenziale per un governo è decidere quali scelte vuol fare; poi, aguzzando l´ingegno, i mezzi li trova.

Ecco. Io questa cosa qui, detta con tutt’altro linguaggio e da tutt’altra angolazione non solo la condivido ma penso sia la sola soluzione per cancellare il futuro nero – del realistico meno 2,2% di PIL per il 2012 (Fonte FMI) che, al netto dell’incredibilmente ottimistico 1% in più ogni anno per 10 anni dovuto alle liberalizzazioni (fonte Governo), ci da un bel disastroso meno 1,2% di recessione, portando il tasso di crescita medio italiano dal 2000 al 2012 ad un numero sotto zero – a cui ci stiamo condannando (senza per ora nemmeno parlare della fine dell’euro che queste performance disastrose rendono più probabile).

E’ una proposta bellissima. Bellissima. Che unisce politica per la piccole imprese e per la domanda pubblica. Così facile da fare e così utile per il Paese.

Per coloro che temono il ritorno della mano statale quando leggono Agenzia per l’occupazione, basta chiamarla Agenzia per la ricostruzione (forse a qualche mio masochista lettore, assatanato e ammirevole antistatalista, non basterà questo cambio di nome, credo). Non sarà lo Stato a fare l’idraulico nelle scuole, ma saranno le PMI grazie a delle semplici gare di appalto sotto soglia riservate proprio alle piccole imprese. Il finanziamento che cerca Gallino, 15 miliardi? Ma mi faccia il piacere, non cerchi nemmeno come finanziarla: in deficit ovviamente. Sta parlando di un mero 1% di PIL di spesa in più, che genererà tranquillamente (e sicuramente, non come le liberalizzazioni) un bell’1% di PIL in più!. Bazzecole. Bazzecole dal magnifico potenziale.

Insomma, se vi sembrano barricate, ok, ma pensatele così: che ci spingono verso nuovi  affascinanti sentieri.

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