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Golden Nation

Pubblicato oggi sul Foglio.

C’è un paradosso nell’attuale discussione sulla disciplina della golden share in Italia, sorta per venire incontro ad una minaccia di deferimento alla Corte di Giustizia europea da parte della Commissione Europea, che vede in essa un ostacolo alla libera circolazione dei capitali.

Un paradosso che ha a che vedere con il rischio di andare controcorrente rispetto ad un trend chiaramente nazionalista che percorre e scuote in queste settimane tutta l’Europa. Sono questi i giorni in cui il Presidente Sarkozy chiede sia di rimettere mano alla costruzione europea con un Buy European Act negli appalti pubblici che la revisione degli accordi di Schengen. Sono i giorni in cui il governo della Cancelliera Merkel riduce la libera mobilità del lavoro nell’Unione europea eliminando i sussidi di disoccupazione per i lavoratori provenienti da altri paesi dell’Unione. In cui il Primo Ministro Rajoy mostra un qualche orgoglio e rinvia il rientro dei deficit pubblici al 2013 vista la grave recessione in cui versa il suo Paese. Sono anche i giorni in cui l’Irlanda se la prende comoda sulla data del necessario referendum sul Fiscal Compact, in attesa che – così sostengono gli esperti locali – le elezioni francesi, nel caso in cui venisse eletto Hollande, rimettano in discussione l’intera nuova costituzione fiscale recentemente approvata ma ancora da ratificare a livello dei singoli Stati.

Insomma sono giorni in cui i leader nazionali vogliono e possono discutere e imporre agende nell’interesse nazionale piuttosto che quello continentale e comunitario. Interesse che, nello specifico della golden share, molti hanno già avuto modo di rappresentare: la Germania con il caso Volkswagen, ma anche Spagna, Belgio, Francia, sinora debolmente contrastati dalla Commissione Europea.

Il ddl Moavero abbandona la protezione di aziende specifiche per concentrarsi su settori strategici (difesa, Tlc, trasporti, energia) , limita (se così dovesse ritenere di stabilire l’esecutivo allora in carica) il possesso azionario di queste società a quota 3%, concentra la sua attenzione su particolari attività rilevanti dell’impresa (approvvigionamento, sicurezza delle informazioni, fusioni, acquisizioni extra Ue) su cui esercitare un potenziale veto. Insomma, una proposta che mostra un certo attivismo non supino verso Bruxelles.

Eppure resta una perplessità. Una volta identificati i settori strategici, perché legarsi così tanto le mani limitando il numero di situazioni rilevanti su cui porre il veto, che in realtà potranno essere diverse, complesse e poco prevedibili? Perché non lasciare, come negli Stati Uniti, le decisioni chiave ad una Commissione (Cfius) che verifichi lo specifico di qualsiasi proposta di acquisizione in tali settori? E perché legarci le mani vietando le acquisizioni delle nostre aziende strategiche da parte della galassia extra UE mentre si autorizzano quelle all’interno dell’Unione, quando spesso i nostri partner europei hanno mostrato una chiusura nazionalista convinta e senza timori ed altri paesi non UE invece una disponibilità a reciprocare nostre aperture con la contendibilità delle loro aziende? Tanto più che la nazionalità dei singoli acquirenti è questione quanto mai complicata da stabilire, visto che investitori extra Ue possono “euro-vestirsi” con felicità tramite intermediari e fondi.

Finché le nazioni dell’Europa non si saranno mosse decisamente via da un’unione di Stati verso uno Stato Federale con obiettivi strategici europei condivisi, il Governo Monti avrebbe tutte le ragioni per mantenersi le mani pienamente libere sulla golden share, senza precostituirsi in un atteggiamento protezionistico ma senza neppure cedere a priori su decisioni che potremmo poi al dunque rimpiangere di non aver potuto valutarle fino a fondo nella loro specificità.

Il paradosso attuale di un’Europa delle nazioni sempre più forte e di una Nazione europea sempre più debole ci deve far capire che solo in un’Europa in cui ogni Stato si sente a suo agio, vedendo rappresentato il suo interesse, vi sarà la possibilità di arrivare un giorno alla costruzione di una casa comune basata su fondamenta solide e condivise. Insomma, la partita della golden share può essere il segnale forte e non solo simbolico che l’Italia è rientrata definitivamente al tavolo europeo come attore di primo piano nelle decisioni che contano.

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