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Della follia delle tasse per il terremoto alla bellezza dei giovani al lavoro nelle zone colpite

Sento ora circolare l’idea: “si spende di più per i terremoti, ci sono meno soldi da spendere per il resto” oppure “tassiamo per trovare le risorse per pagare le spese alle zone colpite”.

C’era un signore, un economista. Mica l’ultimo arrivato. Si chiamava Ricardo. E diceva una cosa che è diventata così importante da dargli un nome importante: “l’equivalenza ricardiana”. La insegno con gusto all’università. E’ un teorema intelligente, semplice e raffinato, che dice pressapoco così: “non importa come la compri la camicia, se con la carta di credito o col contante”, conta che sia buona la camicia. Tradotto: non conta come finanzi la spesa pubblica, con debito o con tasse, conta cosa ci fai con la spesa, se la fai di buona o cattiva qualità.

La bellezza del teorema dell’equivalenza è che vale solo sotto certe condizioni. Se queste saltano, allora salta l’equivalenza e conta come ci si finanzia. In particolare, quando le tasse hanno dei costi sociali e riducono l’attività economica, si dimostra che, per assicurarsi un certo gettito a fronte di spese impreste e temporanee, è meglio farlo con piccoli aumenti di tasse prolungati nel tempo piuttosto che in una sola volta. Intuitivo abbastanza. Sapendo che vi devo levare 100 euro dal portafoglio preferite che ve li levi tutti subito o 1 euro al mese per i prossimi 100 mesi? Spesso rispondereste: “la seconda”!

Il che significa anche, per tornare a noi, che quando dovete fare una spesa pubblica transitoria (come quella per fronteggiare i danni del terremoto), tutto il mondo sa che per finanziarla è meglio aumentare le tasse meno di quanto aumenterà la spesa, cioè fare deficit pubblico, e poi continuare a tenere le tasse quel poco più alto di cui c’è bisogno anche dopo che la spesa temporanea è finita, così rientrando nel tempo dal debito creatosi. Non è essere a favore del debito, è essere a favore del benessere dei cittadini tenendo conto dei vincoli finanziari, avrebbe detto Ricardo.

Ecco. E’ assurdo, assurdo, aumentare le tasse oggi per finanziare le spese dei terremoti, o ridurre altre spese, dello stesso ammontare. Fa male all’economia.

Altrimenti come aiutiamo le imprese delle zone terremotate se con una mano le aiutiamo e con l’altra inginocchiamo i loro mercati di sbocco (parlo con ciò non solo dei territori colpiti dal sisma)?

Ha ragione il Ministro Clini quando chiede comprensione alla Commissione europea per permettere l’aumento del deficit in questi momenti. Io non chiederei nemmeno il permesso e la comprensione, appellandomi alle circostanze eccezionali previste dal Trattato europeo.

Se non lo facciamo, non chiediamoci perché l’euro salterà: la stupidità europea non paga, la gente ha bisogno di idee giuste per adeguarvisi e sostenerle.

PS: E, già che ci siamo, metterei subito i giovani disoccupati e scoraggiati del nostro appello a lavorare (pagati) nelle zone colpite per aiutare imprenditori, ospedali, scuole, uffici, chiese ecc. Non solo servono e sono soldi ben spesi, ma cresceranno dentro, più donne, più uomini, esaltando così i loro enormi valori interiori così poco messi a disposizione del Paese. E non torneranno mai più disoccupati. Altro che PIL.

3 comments

  1. Non serve una laurea in economia per capire che la spesa pubblica, indipendentemente dal suo ammontare, dovrebbe essere di buona qualità affinchè il sistema funzioni. In Italia purtroppo non è così, e nonostante l’altissima tassazione i servizi sono scadenti: le strade sono dissestate, molte città sono invase dai rifiuti, gli ospedali inadatti ad accogliere una moltitudine di pazienti, e i tempi di ricostruzione dopo un terremoto sono eccessivi. Mi sta venendo in mente la differenza tra l’intervento statale dopo il terremoto del 1930 del vulture, quando il governo Mussolini intervenne prontamente e in pochi mesi rimosse tutte le macerie ricostruendo interamente le zone sinistrate secondo criteri anti-sismici; e quelli del 1980 e del 2009, per i quali la spesa è stata molto piu ingente e senza importanti risultati. Ciò deve far riflettere: se è stato possibile nel 1930 ricostruire in pochi mesi, com’è stato possibile che nel 1980 e nel 2009 (con nuovi mezzi tecnologici) non si sia riusciti a fare lo stesso?

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    • Ottima domanda. Mancanza di leadership, mancanza di processi, mancanza di controlli, mancanza di passione, mancanza di gratificazione, mancanza di investimenti in professionalità, eccessivo sindacalismo di bassissima qualità, pressioni di mafie e corruzione.
      Tutte erbacce da estirpare, a cominciare dal manico.

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  2. Giacomo Gabbuti

    31/05/2012 @ 06:03

    “[...] In fondo, sarebbe molto più originale se, in luogo delle loro sollecitazioni melense, le autorità comunitarie proponessero all’Italia una articolata “soluzione finale”: che i terremotati, che i giovani disoccupati, che le imprese in crisi, oggetto di trasferimenti (che andrebbero definiti di sopravvivenza, anziché assistenziali) siano lasciati al loro destino, indipendentemente da ogni considerazione politica e sociale. Dire in sostanza la stessa cosa, in termini apparentemente paludati, realizza una non commendevole fusione di banalità e ipocrisia.”

    Federico Caffè, 8.07.1981 – a commento di una “sollecitazione” della CEE che, in sostanza, ammoniva l’Italia riguardo un provvedimento permesso dai trattati di allora, comportamento che C. non esitava a paragonare alle “capitolazioni” negoziate dagli stati semi-coloniali nell’800

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