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Viaggio a Beirut

Beirut.

Beirut domenicale appare come in un film di Brian De Palma, sospesa nell’attesa, dai movimenti allertati ma non allerti, nell’attesa che la storia – oggi siriana, domani chissà – si dipani di nuovo sopra le terre libanesi. I palazzi sventrati da schegge e proiettili hanno un loro fascino e sarebbero luoghi di vernissage in Occidente, qui sono testimoni e monito. Ma non rassegnazione.

A Place de l’Etoile, Downtown, la classe di bambini in uniforme si prepara ad intonare una canzone. Allo stesso tempo osservano – come i militari armati –  i SUV neri che sfilano  davanti ai loro occhi, le cui portiere liberano politici presto ingoiati dall’edificio di fronte. Il rumore dei cingoli dei carri armati che girano attorno alla piazza sopprime i canti ortodossi che salgono dalla chiesa antica.

A Place del’Etoile domina bianco e antico il palazzo Generali sovrastato dal suo leone alato. Un mestiere non come un altro qui, quello dell’assicuratore. La strada per l’aeroporto è stata ricostruita a tempo record dopo i bombardamenti israeliani, mi dice il tassista. “Coming soon”: si legge un po’ dappertutto il manifesto un po’ rovinato e senza età che annuncia nuova edilizia. Un uomo legge il giornale al terzo piano di un edificio in via di demolizione, di fronte
al 5 stelle Phoenicia.

La storia intricata del Libano, mi dice Adel che mi accompagna verso Byblos (vedi foto post in inglese sopra), che è snodo centrale del Risiko per l’egemonia del mondo, merita più interesse e più impegno finanziario da parte dell’Occidente. “Siete distratti, ed intanto, mentre le nostre frontiere sono aperte come una ferita, sentiamo e vediamo i cinesi, che vendono macchine e magliette a basso costo e comprano discretamente partecipazioni azionarie, avvicinarsi.”

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