Sul Sole 24 Ore di oggi, con Gaetano Scognamiglio
Arrivare preparati alle grandi sfide è una condizione necessaria – anche se non sufficiente – per vincerle. Il Recovery Plan Italiano (o Pnrr) una grande sfida lo è sicuramente per l’eccezionale quantità dei fondi a disposizione, per il riferimento europeo e non solo nazionale con il quale confrontarsi, per la difficoltà di realizzare i progetti nei tempi dati, dimostrando che le ricadute corrispondono alle attese.
Se ci si domanda anche se siamo preparati come Paese, la risposta l’ha data il Presidente Draghi ed è un chiaro no perché, come affermato recentemente, “noi non abbiamo credibilità per la capacità di investire, l’abbiamo persa tantissimi anni fa… Bisogna cambiare tutto per diventare credibili, per superare gli ostacoli a livello politico, istituzionale, amministrativo, contabile e financo giudiziario”.
Se si condividono – come chi scrive – queste parole del Presidente Draghi, ci si trova di fronte a un impegno epocale, sia per la dimensione, sia per i tempi stretti in cui il cambiamento dovrà essere attuato e dunque occorre riflettere sulle priorità da affrontare.
La prima e forse la più importante è ridare fiducia a quella struttura portante di ogni Stato che è la sua burocrazia, che sicuramente ha la responsabilità di molte inefficienze ma non le può avere tutte. Infatti essa è lo specchio della regolamentazione: più instabile, complessa, ipertrofica è quest’ultima più questi difetti saranno ribaltati, magari aumentandoli, su cittadini e imprese da una burocrazia sfiduciata e vista con sospetto, che ripiega sull’atteggiamento difensivo di fuga dalle responsabilità, ben evidenziato nell’ultimo rapporto sulla dirigenza di Promo Pa Fondazione. Analoghi riscontri vengono dalla recente ricerca dell’Agenzia della coesione dalla quale risulta che il 37% dei responsabili unici del procedimento ammette la “necessità di cautelarsi con interpretazioni restrittive della norma”, il che è come mettere sabbia negli ingranaggi già farraginosi delle procedure di appalto e realizzazione delle opere.
Certamente si deve semplificare in modo stabile e non a termine, come si è fatto fino ad oggi, ma è soprattutto sulla governance che bisogna intervenire, in particolare sull’aggregazione con giudizio delle stazioni appaltanti e sulla loro qualificazione, attesa ormai da anni. Buoni risultati in questo campo li hanno dati le Province, con una capacità di servizio ai territori che dimostra la superficialità di una riforma frettolosa, fatta a suo tempo con un intento esclusivamente abrogativo, basata su proiezioni rivelatesi infondate.
Una ricerca dell’Università Tor Vergata per l’Accademia delle Autonomie sull’utilizzo delle tecnologie dimostra ad esempio che le stazioni uniche appaltanti provinciali sono già abbastanza strutturate per poter gestire gli acquisti in logica di area vasta contribuendo a razionalizzare la raccolta dei fabbisogni.
Sono proprio questi Enti che potrebbero svolgere una preziosa funzione di cerniera fra le Regioni e i soggetti aggregatori regionali e i Comuni di medie e piccole dimensioni (che sono la stragrande maggioranza). Le proposte fatte l’8 aprile con un documento dell’UPI al Governo in questo contesto da un lato rivendicano un’attenzione sulle materie di stretta competenza, rilanciando un piano di messa in sicurezza e modernizzazione delle scuole e delle strade, che gestiscono direttamente, dall’altro prospettano la possibilità di erogare servizi su larga scala, non gestibili dai singoli comuni.
Lo stesso documento evidenzia il problema delle risorse umane, problema peraltro generale che riguarda tutta la Pubblica Amministrazione e che rientra senz’altro fra le priorità. Alcuni strumenti per affrontare il problema sono offerti dal recente patto per l’innovazione nel settore pubblico e dal DL 44/2021, che semplifica e velocizza le procedure di concorso come richiesto dal ministro Brunetta. Nel frattempo bisogna investire, come sottolineato di recente dal Ministro Giovannini, sull’aggiornamento permanente come leva immediata di rafforzamento delle capacità professionali, specie nel mondo degli appalti, dove il concetto di competenza deve ritornare ad essere centrale rispetto a quello di “procedura” e dove l’investimento in formazione va concentrato anche nelle fasi a monte e a valle dell’affidamento, cioè in fase di programmazione del fabbisogno e controllo dell’esecuzione.
Con tale priorità delle competenze affrontata, sarà anche possibile e doveroso venire incontro alla giusta esigenza sottolineata di recente dalla nostra Autorità Antitrust nel suo rapporto annuale al Presidente del Consiglio, in cui si afferma come si debba “nell’ottica di semplificare le procedure applicabili, lasciare maggiore spazio alla discrezionalità delle stazioni appaltanti”, una rivoluzione organizzativa e culturale basata sulla fiducia nella nostra P.A., che può solo essere innescata dal circolo virtuoso che parte dalle competenze.
Per fare tutto ciò, tuttavia, è necessaria una pre-condizione a monte: è infatti impensabile non stanziare significative risorse in “capacità amministrativa” come richiesto dalla stessa Unione europea, ben di più dei 700 milioni, 0,3% dei fondi del Recovery, 200 euro a dipendente pubblico, previsti dal Pnrr del precedente Governo.