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Non c’è piu’ la spesa pubblica di una volta. E perché

“Le incognite sulla prosecuzione, sull’intensità e sull’ampiezza della ripresa di oggi sono riassumibili guardando alle caratteristiche riassuntive di quelle del passato.

In poche parole, i dati del passato suggeriscono che le riprese nell’economia italiana di oggi non sono più quelle di dieci o quindici anni fa.

Alla fine degli anni novanta, a metà degli anni duemila e anche nel 2009-11, il ritorno alla crescita fu agevolato da una rapida crescita dell’economia mondiale (vicina al +5,5 per cento annuo in ognuno degli episodi). Oggi invece il mondo – malgrado il petrolio basso e il denaro che non costa – cresce solo del 3,5 per cento annuo, e così il volano della crescita mondiale è meno efficace.

La minore intensità e ampiezza della crescita di oggi ha una pesante implicazione, e cioè che per un bel pezzo la ripresa non porterà la fine della crisi.”

Francesco Daveri, La Voce (e l’Adige).

http://www.lavoce.info/archives/36460/non-ci-sono-piu-le-riprese-di-una-volta/

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Girando qua e là per le montagne mi imbatto sull’Adige che riporta l’interessante articolo del collega Francesco Daveri sulle ultime 4 riprese italiche: quella avvenuta dal primo trimestre del 1999 al primo del 2001, quella dal secondo trimestre 2005 al secondo trimestre 2007, quella dal terzo trimestre 2009 al secondo 2011 ed infine quella appena avviata attuale (ringrazio Francesco per avermi fornito queste precisazioni).

E’ una interessante e bella intuizione quella di studiare le precedenti riprese per capire di più il potenziale di questa appena avviata. Sulla quale Daveri esprime un forte pessimismo: lo stanno a confermare sia oggettivamente i minori valori della crescita odierna rispetto a quella degli altri tre periodi nei primi due trimestri di avvio (0,25% questa, 0,3%, 0,7%, 0,5% le altre) sia il sospetto che la minore crescita mondiale di questo periodo possa pesare non poco. Ma Francesco chiude con una nota di speranza affidandosi all’impatto sperabilmente positivo delle riforme (uno strano argomento visto che l’articolo è basato sull’analisi di elementi ciclici di breve periodo e non strutturali di lungo periodo) e rapidamente menzionando la possibilità che si possano sfruttare “gli scarsi margini sul deficit pubblico consentiti da Bruxelles (inevitabilmente risicati per un paese con il 132 per cento di rapporto debito-Pil)”.

Ecco, appunto. Il sospetto che sorge immediatamente leggendo l’articolo di Francesco è che non ci sia soltanto il commercio mondiale a spiegare la differenza tra oggi ed allora (anche perché uno potrebbe sostenere che tassi d’interesse e prezzi del petrolio così bassi oggi rispetto alle altre riprese del passato dovrebbero consentire di fare quantomeno tanto bene quanto allora), ma soprattutto le finanze pubbliche ed il loro sostegno all’economia. Forse che la debolezze della ripresa attuale possa essere spiegata da un minore peso di quella parte della spesa pubblica che impatta sul PIL e cioè stipendi, appalti ed investimenti pubblici?

Ricostruire l’andamento della spesa pubblica al netto dell’inflazione sulla base dei dati Istat per i periodi individuati da Daveri è cosa abbastanza rapida, seppur tediosa, da fare. E ne vale certamente la pena.

Riassumiamo qui i risultati più significativi, tenendo conto che per parlare nell’ultimo periodo (la ripresina attuale) del contributo della spesa pubblica abbiamo utilizzato i dati dal secondo trimestre 2013 al primo trimestre 2015, gli ultimi disponibili.

Cominciando dagli stipendi pubblici: che come andamento medio di crescita trimestrale sono passati dal +2,5% del 2000-2001 al +3% del 2005-2006 ante crisi al -1,2% del 2009-2010 del picco della prima crisi. E questi ultimi 2 anni? Anche qui, -1,2%. Le manovre Berlusconi, Monti, Letta, Renzi che hanno depresso questa componente trascinandone gli effetti nel tempo hanno chiare responsabilità.

Argomento meno chiaro per i consumi intermedi strettamente intesi che dopo un +5% irripetibile del 2000-2001, si attestano ad un tasso medio reale che va da -0,5% a +0,5% a +1% nell’ultimo periodo.

Non a sorpresa, sono gli investimenti pubblici a demarcare la netta frattura tra questa ripresa e le precedenti: crescenti del 3% nel 2000-2001 ed addirittura dell’11% nel 2005-2006 (non a caso l’avvio di ripresa più forte nei dati di Daveri è proprio riferito a questo periodo con un +0,7%), nel 2009-2010 crollano del 6,75% e, con l’introduzione dell’idiotico Fiscal Compact, scendono ulteriormente del 5,4%.

Queste sono le ragioni che spiegano la ripresa che non c’è: la spesa pubblica che non c’è. E non c’è debito pubblico su PIL che tenga per escluderne un uso sostanzioso per uscire da questa crisi: sappiamo tutti benissimo che il debito pubblico è alto rispetto al PIL perché nel momento in cui la domanda privata si è ritirata indietro, ostaggio di un pessimismo permanente, non si è osato far entrare la domanda pubblica in gioco come si fece negli anni Trenta, e con ciò deprimendo il PIL e con esso le entrate e facendo salire il debito. L’Europa non c’entra: se questa sbaglia il Governo Renzi ha il dovere di andare avanti lo stesso, spiegandone le ragioni, accelerando gli investimenti pubblici in maniera ben superiore ai numeretti che circolano oggi.

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Ma questo Governo non ha nessuna intenzione di aumentare gli investimenti pubblici di quanto il Paese (il Meridione in particolare, ma non soltanto esso) necessiterebbe per far ripartire la ripresa creando i posti di lavoro che, toh ma che strano, non paiono arrivare malgrado tutte le riforme del mondo.

E la prova migliore di questo disinteresse sta nel modo in cui questo Governo interpreta la spending review.   Nessun Governo “onesto” potrebbe continuare ad affermare di essere capace di eliminare gli sprechi e al contempo rifiutarsi di fare gli investimenti. Ha ragione da vendere, sul Corriere della Sera di martedì scorso, Gerardo Villanacci, quando esclama “è assurdo, e deprimente, rinunciare a realizzare un’opera pubblica solo perché questa insiste su un’area geografica a rischio infiltrazione e corruzione. Se un’opera serve alla collettività, non è inutile ma porta sviluppo, la si fa e basta, nel rispetto delle leggi e della trasparenza”. Soprattutto, lo ribadisco, la fa un Governo che dice dalla mattina alla sera di saper mettere fine agli sprechi come il nostro.

Se non la fa, quest’opera, la ragione è una sola: una motivazione nascosta ed ideologica votata a ridurre il peso del pubblico nell’economia a favore del privato, facendo credere che questi due siano sostituti e che il privato sappia fare tutte le cose meglio del pubblico. Apparentemente non lo pensa nemmeno il settore privato, che in attesa di veder riapparire gli investimenti pubblici (per esempio nel settore dell’edilizia) non si azzarda nemmeno un po’ a investire da solo. Si metta in pace questo Governo: in nessun Paese al mondo che sia prospero e sappia ben utilizzare i denari pubblici “privato” e “pubblico” sono avversari; sono piuttosto alleati strategici per la ripresa e lo sviluppo dell’occupazione e del benessere.

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