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Chi ha paura della Direttiva UE sugli Appalti?

Da Formiche, questo mese.

Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria sono pari a quelle di sconfitta. Se non conosci né il nemico né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa”, Sun Tzu.

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Non sono 60 miliardi il costo della corruzione. Immagino questa cifra sia stata calcolata applicando una percentuale del 20% della “tipica” mazzetta al totale della spesa per appalti, poco meno del 20% di PIL, 300 miliardi circa. Per quanto lodevole l’invenzione del dato, che mirava ed è riuscita a generare maggiore attenzione dei media su tema, essa rischia di rallentare ed ostacolare le necessarie riforme utili per il Paese in tema di sprechi pubblici, per tutta una serie di motivi.

Primo, perché potrebbe far pensare che l’amministrazione sia in possesso di quella serie di dati sul fenomeno della corruzione che costituiscono condizione necessaria per “conoscere il nemico”, per avviare cioè una battaglia contro di esso senza quartiere. Sapere dove, come, quando si ripetono reati di corruzione dà al decisore le informazioni utili per concentrare i controlli nelle aree, geografiche ed ambientali, più a rischio. I dati invece languono nelle cantine polverose di qualche Ministero.  Purtroppo l’amministrazione pubblica italiana non è nemmeno desiderosa di conoscere se stessa: da anni non fa utilizzo dei dati sulla spesa pubblica per acquisti di beni e servizi che essa annualmente e meritoriamente genera. Sconfitta certa, dunque?

Secondo, perché la corruzione non “costa” al Paese il valore delle transazioni corrotte, ma ben di più. Dovremmo cominciare a contarla bene, la corruzione, come fanno ad esempio in Brasile, dove analizzando gli scandali nel mondo della spesa per istruzione emerge come nei comuni più corrotti in media l’11% in meno dei maestri riceve formazione pedagogica e dove, soprattutto, si scopre come, là dove la corruzione è più alta, minore è la bontà dei risultati scolastici dei ragazzi (15% in meno nel punteggio in matematica e portoghese) e la loro capacità di terminare gli studi (3% minore il tasso di coloro che si diplomano). Dovremmo cominciare a contarla, la corruzione, per il valore di tutto quello che distrugge, per quegli investimenti, privati e pubblici che non consente. Dovremmo combatterla, la corruzione, perché in questa crisi economica devastante macchia l’unico strumento che potrebbe tirarci fuori dalle sue sabbie mobili, gli investimenti pubblici che generano domanda alle imprese ed occupazione e che una retorica esagerata porta a non ricorrervi per paura che siano “soldi sprecati”.

“Esagerata”? E’ esagerata la dimensione della corruzione italiana? Ogni indicatore sembra dire il contrario, a cominciare dai famosi indici di “corruzione percepita” di Transparency International che ci relegano tra i primi Paesi del mondo avanzato. In realtà studi più seri basati su dati reali mostrano che una buona parte del problema degli sprechi italiani non risiedono tanto nella corruzione quanto nell’incompetenza prevalente presso le stazioni appaltanti (e se quest’ultima è ragione perché la corruzione filtri meglio, come dice qualcuno, ragione in più per battersi per la competenza!). “Conoscere se stessi” implica innanzitutto rivoluzionare la macchina organizzativa degli appalti pubblici, basandola non sulla rotazione dei responsabili che cancella sapere acquisito e repressione a valle con un aumento delle pene per chi compie atti illeciti che poco spaventa nel nostro Paese, tutt’altro. Come?

La nuova Direttiva europea degli appalti, approvata di recente dal Parlamento europeo e destinata ad essere recepita da tutti gli Stati membri, innova sensibilmente (anche se poteva essere decisamente più coraggiosa, senza dubbio), specie spingendo i Paesi a lasciare più discrezionalità alle stazioni appaltanti. Il Regno Unito ha già approvato la nuova legge e con grande entusiasmo ha già sposato la nuova filosofia europea, mentre l’Italia, sempre a rilento nel suo adeguarsi, teme – dando più potere decisionale ai singoli responsabili degli appalti pubblici, dove si concentra un terzo circa della spesa pubblica italiana – il rischio di vedere la corruzione materializzarsi maggiormente.  Una contraddizione solo apparente: il Regno Unito ha spinto in questi anni con decisione e convinzione sulla leva delle competenze dei dipendenti nel campo degli appalti pubblici, riconoscendogli anche progressioni di carriera e emolumenti, mentre in Italia è avvenuto di fatto il contrario. La discrezionalità accompagnata alla professionalità è leva di sviluppo, lasciata a se stessa è invece destinata a inviluppare il Paese nella morsa del declino.

Purtroppo è probabile che in Italia alla fine la discrezionalità abbinata alla competenza lascerà spazio alla consueta pervasività delle leggi. Un primo assaggio lo vediamo già nel dibattito nelle aule parlamentari sulla Legge Delega che dovrebbe dare le linee guida al Governo, sul tema del recepimento della Direttiva europea, volando in teoria “alto”: ecco invece che il Senato negli emendamenti ha inserito addirittura una clausola specifica “per quanto riguarda il settore dei servizi sostitutivi di mensa, salvaguardando una specifica normativa generale di settore”! Legge delega che già pare dare dunque poca attenzione alle esigenze della imprese di sburocratizzazione (nell’epoca di internet, ancora la pubblicità dei risultati delle gare sui giornali a costo delle imprese vincitrici del bando!) e tanta attenzione alla forma. Il rischio vero che corriamo è quello di accentuare le problematiche corruttive, portando le aziende sane a spostarsi verso l’estero e la domanda pubblica a restare in mano a quelle meno efficienti e più legate a doppio filo, in accordi poco leciti, con stazioni appaltanti non all’altezza della vera sfida, quella di contribuire a ridare competitività al nostro sistema imprenditoriale.

“Investire per risparmiare e risparmiare per investire” dovrebbe diventare il nuovo motto per combattere la corruzione in Italia. Investire con moneta sonante per permettere alla classe degli acquirenti pubblici italiani di diventare, come per diplomatici e giudici, una famiglia professionale in cui spendersi per tutta una vita grazie alle competenze accumulate al servizio del Paese è il modo migliorare per generare risparmi ed eliminare gli sprechi, altro che leggi ad oltranza. Risparmiare eliminando gli sprechi significa a sua volta  avere a disposizione le risorse senza far addizionale debito per quegli investimenti pubblici che il Paese, settore privato incluso, attendono da tempo per ridare slancio alla produttività del Paese ed innescare il circolo virtuoso della ripresa.

Leader disposti a cavalcare questa rivoluzione e vincere questa battaglia disperatamente cercasi.

3 comments

  1. Massimo GIANNINI

    05/05/2015 @ 09:02

    Come al solito il diavolo sta nei dettagli. Quanto alle direttive europee probabilmente se l’Italia applicasse anche quelle già esistenti (inclusa quella sugli appalti e gare pubbliche) con buon senso e evitando continue deroghe e “specificità” italiche corruttive, le cose funzionerebbero molto meglio. Il problema è fare entrare concetti come concorrenza e trasparenza (già presenti nelle direttive) nella testa di politicanti e amministratori pubblici.

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  2. Nella PA è molto più difficile porre per i vari tecnici l’obbligo alla formazione continua come invece è obbligatoria per i liberi professionisti. Avviene così che spesso molti appalti (almeno nella progettazione) pur costando di meno se fatte fare da tecnici in seno alla stessa P.A. In realtà devono per forza essere affidate ai Liberi Profesionisti Esterni perché semplicemente sono in grado di eseguire quelle opere.
    L’unico modo sarebbe rendere obbligatoria per i tecnici comunali lo stesso obbligo di formazione continua riservato a noi liberi professionisti.

    Ovviamente sto parlando di appalti di natura edilizia

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  3. La questione è che il lobbismo in Italia è potente ed ecco che il Codice degli Appalti è alla mercé dei vari rapporti di forza tra le diverse categorie interessate al mercato delle pubbliche forniture e dei lavori pubblici, che tirano, approfittando del ministro di turno amico e foraggiato, la coperta normativa pro domo loro. Da qui i continui rimaneggiamenti del Codice che creano confusione negli operatori e quindi ampia possibilità di errori e relativo contenzioso. I dubbi esegetici della giurisprudenza, poi, in contraddizione spesso con sè stessa (accade che un sezione del Consiglio di Stato dica l’esatto contrario di quella a fianco, che un Tar affermi cose diverse da quello della Regione limitrofa), fa il resto per impedire un sereno svolgersi degli appalti. Noi funzionari pubblici (lo scrivente è uno di essi), coinvolti in questo marasma, siamo i primi a soffrirne ed a risponderne in termini di risarcimento danni per un nonnulla (il mercato delle assicurazioni contro il rischio professionale se ne è avvantaggiato molto). Mettere insieme forma e sostanza non è cosa semplice e spesso è impossibile, sicché la scelta diventa tra un ricorso di un tipo e quello dell’altro cercando di prendere la “sberla” meno dolorosa. Infine metteteci gli assurdi ritrovati presuntivamente “anti-corruttivi” come l’avvicendamento del personale, con spreco di competenze come dice giustamente il prof. Piga, oppure l’invenzione recente (esiste solo in Italia) dell’ “AvcpPass”, ossia un sistema informatico con la pretesa di controllare tutte le operazioni di gara in corso mediante l’acquisizione on line della documentazione di gara ma con il risultato di allungare i tempi procedurali a causa delle difficoltà tecniche dello strumento in questione, e capirete perché mai noi italiani siamo portati a complicare quel che dovrebbe essere semplice. Il prof. Piga ha ragione: formazione degli addetti, discrezionalità competenza e professionalità della stazioni appaltanti, valutazione dei risultati in termini di costi/benefici per le stesse con conseguenti responsabilità, normativa semplice, lineare e leggera. Solo in tal modo si può essere operativi ed efficienti senza dover temere, ad ogni passo, ricorsi e contestazioni (spesso pretestuosi e miranti solo ai risarcimenti e non certo a vedersi aggiudicare l’appalto).

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