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Immobile sarai tu. Vendiamo Via XX Settembre e poi facciamo vera politica industriale

Ascolto sempre con grande attenzione Paolo Savona, spesso vede molto più lontano di altri.

Sugli immobili (intervista ieri al Corriere della Sera)? No.

L’idea che un Fondo Immobiliare, a cui conferire gli immobili di proprietà pubblica, ci salverà dalla crisi, è sbagliata, tout simplement.

Infiliamoci tutti gli immobili pubblici che vogliamo, qualcuno li dovrà pur sempre comprare. E dovrà ricevere un rendimento consono al rischio che corre.

Per semplificare immaginiamo che ci siano due tipi di immobili pubblici: quelli a valore pressoché nullo (perché in zone poco attraenti, con poco potenziale di mercato, troppo costose da restaurare) e quelli a valore positivo.

Per i primi, spesso anche se non sempre coincidenti con quelli ormai già in disuso presso la pubblica amministrazione, che siano venduti direttamente ai privati o via fondo, il Tesoro incasserà zero o giù di lì (il rendimento atteso sarebbe praticamente nullo in assenza di una valorizzazione altamente improbabile).

Per i secondi ovviamente incasserà qualcosa, o anche tanto. Per esempio il Tesoro potrebbe vendere gli immobili di una università. La vendita genererà risorse utilizzabili per la riduzione del debito pubblico. Diminuirà anche la spesa per interessi, migliorando il deficit pubblico.

Ma.

Ma ovviamente l’Università dovrà pur svolgere la sua attività da qualche parte. Ecco che il Tesoro negozierà con l’acquirente un affitto a costo del contribuente dei locali non più di sua proprietà per permettere l’attività di didattica e di ricerca.

Questo si badi varrà anche con l’acquisto di quote del fondo: l’acquirente sarà disposto a sottoscriverle se e nei limiti in cui esse generano ritorni. L’affitto pagato dal Tesoro per i locali dell’università andrà per una certa quota al gestore del fondo (una commissione di gestione) e per il resto, appunto, al cittadino-azionista del fondo. Quanto andrà pagato in affitto/dividendo da parte dello Stato? Beh, come minimo un tasso di rendimento pari quello su investimenti “sicuri” come i titoli di Stato; ma tenendo conto dei rischi di gestire un patrimonio immobiliare (affittuari che non pagano, mercato  volte inesistente, condomini ritardatari nei pagamenti) probabilmente di più, un tasso più alto.

Sorpresa: i nuovi costi che il Tesoro dovrà sostenere per pagare i detentori degli immobili saranno maggiori (se proprio va bene uguali) della minore spesa per interessi che deriverà dall’abbattimento del debito, a sua volta derivante dall’utilizzo dei fondi derivanti dalla vendita degli immobili.

Quindi facciamo subito i conti con gli effetti della proposta Savona:  meno debito su PIL subito, deficit su PIL uguale o superiore a prima (meno spesa per interessi più spesa per affitti).

Ovviamente siccome l’Europa pone tre vincoli, quello del debito, quello del deficit e quello della spesa pubblica, bisogna capire quello che diverrà più stringente.

Sul tetto di spesa va tenuto da conto che esso è calcolato senza guardare alla spesa per interessi: quindi i maggiori affitti renderanno ancora più vincolante e restrittivo questo vincolo, imponendo tagli ancora superiori a quelli attuali e quindi recessivi.

Sul deficit, prendo come sacre le parole di Savona che fa presente come quello che ci sta uccidendo oggi è la regola del deficit su PIL che impone  il rientro via maggiori tasse e minori spese a casaccio e che dunque “ucciderebbe la crescita dell’economia”. Quindi la sua stessa proposta non risolverà i problemi, lasciando infatti ancora ingessati i conti pubblici con valori del deficit pubblico altrettanto se non ancora più alti, richiedendo quelle manovre che giustamente Savona teme.

Sul debito, è vero che probabilmente che l’obbligo di far scendere il rapporto debito PIL verso il 60% sarebbe meno vincolante, ma mettiamo le cose in chiaro: lo spread sul minore debito pubblico italiano non calerà, perché l’Italia sarà percepito come un emittente altrettanto rischioso a prima della riduzione. Se un “cattivo debitore” va in banca e ripaga il debito grazie ad una inattesa eredità non per questo la banca gli farà nuovi prestiti a condizioni di favore: sempre cattivo debitore rimane.

Insomma, una proposta che cambia poco nel panorama italiano, specie se mirato alla risoluzione della crisi. Ma allora nulla rileva a tal fine quando parliamo di immobili?

Assolutamente no.

Perché il debitore cattivo non smuove la sua situazione negli occhi della banca? Perché non riesce a dimostrare  di aver saputo cambiare nell’unica dimensione che interessa appunto ad una banca, la propria capacità di crescita virtuosa, la bravura a tenere sotto controllo i costi ed a valorizzare il proprio attivo.

E’ questo che lo Stato  deve dimostrare, in tutte le sue dimensioni, ma anche quella immobiliare che qui ci interessa, per uscire dalla crisi: bravura, bravura, bravura.

La bravura nella politica immobiliare si gioca su due terreni, che poco hanno a che vedere con la riduzione del debito di per sé o la proprietà, pubblica o privata. Due terreni di “politica industriale degli immobili”.

Il primo, di valorizzazione dello stesso, senza cederlo al privato. Per esempio aumentando drasticamente il numero di dipendenti per metro quadro agendo su questa seconda variabile, oppure rendendone i consumi energetici per dipendente adeguati a quelli di un buon amministratore privato. Questo sì che assicurerebbe una riduzione di spesa, buona per il deficit e dunque per il debito e buona per i mercati che la premierebbero con minori spread riconoscendo la qualità dell’azione del debitore, esportabile anche in altri campi (vedasi l’esperienza della spending review inglese sugli immobili).

Il secondo, là dove l’immobile pubblico si dimostrasse ridondante o di migliore pertinenza di utilizzo da parte del settore privato, richiede pur sempre una intelligente azione pubblica: quella che rende possibile e fruttuosa la valorizzazione da parte del settore privato. Un contesto socio-economico rassicurante per l’investitore, poche regole e burocrazia legati all’acquisto dell’immobile, disponibilità a venire incontro ai progetti del privato con una classe di funzionari pubblici giovani, competenti e onesti. In queste condizioni la vendita avverrebbe a prezzi alti e generando sviluppo, le sole due condizioni per abbattere il rapporto debito pubblico PIl ma anche per uscire dalla crisi.  

E’ una battaglia già avviata, quotidiana, che richiede, come tutto quello che è vera spending review e non fuffa comunicativa, investimenti: non solo per adeguare gli immobili per esempio a nuovi standard più efficienti di consumo, ma anche risorse al team coinvolto nell’opera di valorizzazione e poi sostegno dei vertici politici, monitoraggio costante, una classe dirigente competente e ben pagata dedicata a questo lavoro.

Certo che essa si aiuterebbe con una qualche trovata mediatica coerente con il messaggio di fondo. Suggerisco a Padoan e Renzi di dare subito un segnale credibile di volontà di cambiamento: spostare il Ministero dell’Economia e delle Finanze da quell’enorme palazzo ottocentesco a soffitti alti e spazi per dipendente enormi ad un più morigerato, efficiente ed efficace (spazi comuni invece di stanze solitarie possono generare più produttività) immobile in area decentrata. E poi, lavorando come Sistema Paese assieme al Comune di Roma,  modificare la destinazione d’uso di Via XX Settembre e farne, vendendolo con tutte le attenzioni dovute ad investitori di rilievo, il primo hotel a sette stelle di Roma.

Ecco come generare PIL, PIL sostenibile, crescita sostenibile, abbattere debito, spread e far uscire il Paese dalla crisi.

Grazie a Patte Lourde.

10 comments

  1. claudia razzauti

    12/08/2014 @ 09:03

    Giustissimi appunti.Stesso atteggiamento di valorizzazione deve essere rivolto a TUTTE le attività della P.A.Solo in questo modo si può implementare una Spending Review credibile, in quanto efficiente, efficace e trasparente.

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  2. Premetto che ho apprezzato il suo intervento presso la assemblea annuale Federmanager Alessandria.
    Giuste le sue osservazioni sugli immobili di stato, peccato che le priorità dei vari governi non siano mai il bene comune ma la soddisfazione degli appetiti dei vari faccendieri che fiuteranno l’affare affitti.

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    • Buonasera Aldo e grazie. Probabile. Di nuovo, è questione politica. Unirci insieme per dire no, mai più, è difficile ed allo stesso tempo molto facile.

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  3. Nicola Martinelli

    12/08/2014 @ 21:39

    Condivido quasi tutto.
    Non condivido il punto sulla fee di gestione del fondo come costo aggiuntivo: oggi la non gestione, a fare bene i conti, costa giá di piú del fee del fondo senza contare i benefici della gestione. Il pubblico non credo che abbia un titolo privilegiato in termini di efficienza di gestione del Real Estate, anzi. Abbiamo tutti in mente esemplari sfaceli delle opere pubbliche in merito.
    Due integrazioni.
    1. Il beneficio principale relativo all’innovazione degli edifici pubblici é la produttività del personale. Lo spazio in cui su lavora incide significativamente sul comportamento del dipendente. Ti posterò articoli e studi a supporto. La riqualificazione della funzione pubblica non avverrà senza cambiare i luoghi fisici di lavoro!
    2. Il tempo è gli investimenti necessari ad una riqualificazione del patrimonio pubblico non sono nella disponibilità dello Stato Italia. Si deve e si può fare in fretta, facendo leva sul miglior pubblico e miglior privato esistente.

    Allo scopo allora sarebbe opportuna una operazione congiunta:
    1. ripensare le Policy di occupazione non solo orientata ad una densificazione, comunque necessaria, ma anche alla trasparenza produttività e versitalitá degli spazi. Come devono diventare i dipendenti pubblici.
    2. Realizzare i fondi immobiliari con obiettivi distinti.
    Il primo con l’obiettivo di trasferire gli immobili pubblici da riqualificare e riallocare alla PA, con il prevalente contributo della CDP. Molti investimenti saranno necessari ed il privato potrà partecipare nella riqualificazione e valorizzazione di questi spazi. Certamente l’efficienza e la tempestività né beneficeranno. In particolare il fondo dovrà locare gli spazi chiavi in mano. Fornendo un servizio pagato a postazione di lavoro. A prezzi di immobile efficiente. Il ROI di una operazione del genere é superiore al 30%. Anche su questo ho materiale a supporto. Al termine della durata del fondo gli immobili ancora in uso alla PA. potranno/dovranno rientrare in possesso dello Stato.
    Gli altri fondi dovranno essere costruiti su piani città a partire da Roma per ripensare l’uso del patrimonio pubblico in modo coerente. Il caso dell’edificio delle finanze voluto da Quintino Sella fa il paio con i palazzi dell’anagrafe e dei lavori pubblici del comune di Roma in via Petroselli. Ma abbiamo decine di opere d’arte massacrato da una gestione dissennata ed un uso impietoso verso la loro originaria funzione al servizio di uno Stato di altri tempi.

    Penso vivamente che se lo Stato vuole diventare quella organizzazione dinamica che serve per la competizione globale debba partire dall’aggredire l’immobilitá della gestione immobiliare.

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    • Tutto giusto quanto dice Nicola Martinelli. Concordo pienamente.
      Però per sviluppare un immobile bisogna poter realizzare un progetto di sviluppo in tempi certi. Non solo liberarlo da usi inefficienti, altrimenti si aggiunge costo al costo. Occorre quindi che il sistema Paese giri, e giri in modo tale che gli investimenti affluiscono per rimanere.
      Ps
      L’immobile vale per quello che rende!

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      • Nicola Martinelli

        16/08/2014 @ 20:04

        Condivido
        L’immobile vale quello che rende.
        Qui sta il punto.
        Condivido pure che prima di parlare di fondi o di vendite dobbiamo definire quanto rende l’immobile.
        Per farlo bisogna capire ad esempio quanto rende la funzione occupante.
        Il ministero economie e finanze a via XX settembre quanto rende?
        Renderebbe di più altrove?
        Io penso proprio di si, in letteratura abbiamo milioni di prove.
        Primo obiettivo quindi cambiare lo spazio di lavoro per far rendere meglio la macchina pubblica. Obiettivo riflesso nuovi spazi disponibili per funzioni alternative.
        I piani città devono partire da questo presupposto.
        Se poi come nel caso Roma abbiamo ottimi prodotti architettonici che si renderebbero disponibili ed una offerta scarsa di ospitalità a 5+ stelle penso la soluzione si debba trovare!

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  4. MIchele Forbicioni

    13/08/2014 @ 10:25

    Condivido l’articolazione della proposta, a me è particolarmente gradito l’atteggiamento piatto il vocabolario soft ma chiaro. Mi fa piacere aver rintracciato qualcuno in più con pensieri e capacità di azione SANI.

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  5. Pietro De Padova

    14/08/2014 @ 16:22

    Come tutti gli articoli interessante, e questo particolar modo perche esamina argomenti in cui opero. Mi sembra giusta la proposta di costituire un Fondo Immobiliare a cui conferire gli immobili di proprietà pubblica,ma la procedura deve essere completata per la vendita con un incremento di valore al migliore offerente. La gestione deve essere trasparente, onde evitare clientelismo e speculazione a favore di privati vicini a chi gestisce le operazioni di dismissione, approfittando dell’attuale situazione di mercato. L’incremento di valore va gestito in prima persona dallo Stato, in collaborazione con gli Enti Locali, che nel censire tutte le proprietà pubbliche da dismettere, analizza e valuta dietro un approfondito studio urbanistico di fattibilità la migliore destinazione d’uso degli immobili al fine di garantire il massimo realizzo di mercato. E’ più etico e giusto che l’incremento di valore degli immobili vada attribuito allo Stato per aumentare il valore del Fondo Immobiliare e non al privato vicino al politico di turno, trasformando l’operazione in una mera speculazione. Nel mio piccolo questa operazione e stata proposta , non attuata, il venditore era proprietario di una fabbrica che andata allontanata dal centro abitato. Comunque non voglio attribuirmi il merito della proposta in quanto la stessa e’ riportata nell’ultimo libro di Corrado Passera “Io Siamo”. “Se un cattivo debitore va in banca e ripaga il debito grazie ad una inattesa eredita’, non per questo la banca gli farà nuovi prestiti a condizione di favore, sempre cattivo debitore rimane” Consideriamo l’ipotesi che il Costruttore riesce a “svendere” gli immobili invenduti,rientrando delle esposizioni con le banche, riesce a dimostrare la propria capacita’ di crescita virtuosa tenendo sotto controllo i costi e a ripartire con una strategia più creativa, come si fa senza una adeguata domanda interna visto che l’immobile per gli Italiani non e’ più una priorità ? Gradirei un suo punto di vista. Grazie Prof. E Buon Ferragosto

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    • Ammettiamo che qualcuno riesca vendere un immobile inutilizzato a qualcun altro. Vuol dire che quel qualcuno (il secondo) ha un progetto di sviluppo su quell’immobile e ritiene di poter avere i necessari permessi e credito per realizzarla. Bene, è un caso. Positivo ma 1 caso. Ma moltiplica questo per l’ammontare proposto da Passera o altri, ovvero immagina questo per 400 miliardi di euro di valore! Non sarebbe più un caso, ma un sistema paese che attrae investitori. Un sistema Paese non un immobile. Vedi il caso, attuale, di termini imerese.

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