Cosa avrebbe detto Keynes in questa e di questa crisi?
E che ne so.
Lo dico non solo per sottolineare l’ovvia impossibilità di dare una risposta, ma anche a causa del “mistero di Keynes l’imprevedibile”, economista capace di sfuggire a qualsiasi facile categorizzazione .
Sappiamo ad esempio che, scrivendo nel 1930, per il 2030 auspicava una società non più capitalistica, dove la contemplazione del bello avrebbe sostituito lavoro, risparmio, investimento, consumo (vedi Economic Possibilities for our Grandchildren, così come tradotto e commentato nel volume curato con Lorenzo Pecchi per MIT Press e Luiss University Press). Forse avrebbe sollecitato tutti noi a smettere di calcolare il PIL ed a misurarsi con sfide più ambiziose, come quella di dare peso alle componenti non economiche del benessere umano.
Non so cosa avrebbe detto di politiche fatte, come quelle che chiediamo da sempre su questo blog per vincere la sfida posta da questa crisi, di espansione della spesa pubblica per appalti finanziata da tagli di spesa pubblica chiamati sprechi.
Sappiamo che Keynes non era di per sé contrario alla spending review. Nella parte finale della sua vita, nel 1942, quando fu chiamato ad incarichi organizzativi e divenne Presidente del C.E.M.A., il Consiglio per l’incoraggiamento della musica e delle arti, non esitò a dichiararsi contro assunzioni a tempo indeterminato dello staff, temendo l’effetto “red tape” della burocrazia:
“Il minimo ammontare di burocrazia (red tape) sarà desiderabile. Non dobbiamo preoccuparci di garantire ragionevoli aspettative alle persone su cosa aspettarsi per i prossimi 20 o 30 anni. Porteremo per periodi brevi persone da tutte le professioni e vocazioni. Un sistema salariale rigido significherebbe pagare più del necessario in alcuni casi e molto meno di quanto necessario, se uno vuole attrarre il candidato ideale, in altri.”
Più di ciò forse l’avrebbe convinto a far parte del nostro campo la seguente rilevantissima variazione strutturale nelle società di mercato, ben sintetizzato dall’andamento dal 1900 del rapporto spesa pubblica su PIL negli Stati Uniti:
Il cerchio arancione mostra non solo la crescita della spesa pubblica nell’economia Usa durante gli anni duri della Grande Depressione ma anche come, paragonato al cerchio rosa del nostro ultimo decennio, quanto minore fosse questa comunque rispetto ad oggi e quanto è cresciuta la spesa con l’espandersi delle funzioni dello Stato.
Ed, inevitabilmente, lo stesso grafico vale per le tasse: molto più alte oggi di allora.
E siccome un aumento di 1% di tasse diventa sempre più costoso mano a mano che si tassa di più (non fosse altro che per i costi di combattere la crescente evasione che accompagna la crescita dell’imposizione fiscale), forse Keynes avrebbe condiviso come noi un sostegno all’economia in crisi tramite non tanto le maggiori tasse, presenti o future, ma tramite una vera spending review.