Ieri alla Sapienza le 7 università romane (unite ne la “Costellazione”, la cui nascita è stata stimolata dalla Fondazione Manlio Resta) si sono incontrate per discutere di economia italiana con i loro bravi ricercatori. E’ stata un’occasione utile, di fronte al Presidente Zingaretti che ha promesso la sua attenzione a questa rete romana da allargare a Cassino e Viterbo, per ragionare anche su cosa manca all’università italiana. Tanto, nell’assenza generale della politica nazionale che taglia taglia taglia e non costruisce niente per il futuro dei nostri ragazzi. Ecco le mie riflessioni introduttive, a futura memoria.
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Ci sono molti modi per essere un professore universitario. Alcune condizioni necessarie per esserlo con la P maiuscola.
Il primo è quello più difficile, di compiere il proprio dovere ogni giorno, in aula, con i ragazzi. Per far entrare la forza delle idee nei gangli più vitali della società, i giovani.
C’è poi quello altrettanto nobile e sfidante di lasciare una traccia con la ricerca. Spesso con ricadute importanti nel mondo delle imprese e sulla vitalità del tessuto economico.
C’è poi quello che sul sito di Manlio Resta fa riferimento al suo periodo dal 1959-66 in cui si “è cimentato in questioni di economista applicato nell’intento di ricercare un riscontro fra teoria e realtà empirica, scendendo a livelli inferiori di astrazione nei suoi studi di economia”; in particolare il Prof. Resta si dedicò ad alcuni incarichi di programmazione economica come consulente economico dapprima per l’Organizzazione delle Nazioni Unite, e poi come esperto di programmazione regionale per le aree del veronese. Per far entrare la forza delle idee nelle istituzioni.
Vi è infine l’impegno politico, per chi ritiene di coinvolgervisi, così essenziale per creare dibattito intelligente all’interno della società civile: nel 1985 Federico Caffè – che qui insegnava – aderisce al referendum promosso dalla CGIL sull’abrogazione della norma che comporta un taglio dei punti della scala mobile; collocandosi così su un fronte opposto al suo allievo Ezio Tarantelli, che quella riforma aveva vivacemente sostenuto. Ambedue Professori con la P maiuscola, anche per questo.
L’iniziativa della Costellazione della Fondazione Resta ha uno scopo ulteriore. Essa unisce per la prima volta 7 facoltà o ex facoltà di economia in un dialogo comune. Intendiamo rifarlo, speriamo con una cadenza più frequente di quella annuale, per parlare al nostro territorio, con il nostro territorio, anche del territorio.
Vi è anche a mio avviso una piccola speranza ulteriore, che andrà coltivata. Quella di avviare qualcosa che assomigli all’inizio di un’aggregazione di eccellenze.
Nelle nostre riforme mancate dell’università italiana spesso indichiamo gli atenei di eccellenza come una necessità. Ci sono negli Stati Uniti, accanto a tantissime università con ottima didattica, e si reggono endogenamente sulla loro reputazione. Ci sono in Europa. Spesso nascono con afflato dirigistico da decisioni governative, come in Francia, o da schemi complessi e perfettibili ma efficaci come quello britannico, fatto di valutazione e riconoscimento economico e di carriera ai più bravi.
In Italia non ci sono. Forse ci saranno.
Auspicare atenei di eccellenza non significa chiedere meno università, anzi.
E non vuol dire essere a favore di pochi atenei. Va condiviso quanto diceva Luigi Einaudi: “Poiché in Italia gli studenti universitari dagli attuali 150 mila circa dovranno in qualche decennio giungere al milione, sarà d’uopo, senza gonfiamento di quelli esistenti, crescere gradualmente il numero degli istituti universitari dai 20 o 30 attuali a 50 e poi a 70 e poi a cento e più. Né, con un milione di studenti e con cento istituti universitari crescerà la disoccupazione falsamente detta intellettuale; anzi diminuirà, perché non si è mai visto che il possesso del sapere – cosa ben diversa dal possesso del pezzo di carta – cresca la difficoltà di trovar lavoro.”
Guardare i numeri dell’università, che parlano di crescente declino di immatricolazioni nelle università italiane, genera dentro di me rabbia e un po’ di sgomento. Perché vi è la schizofrenia di chi ci governa, che da un lato, quello europeo, ci chiede di arrivare entro il 2020 al 40% di studenti laureati tra la popolazione di giovani tra i 30 e 35 anni, e noi che oggi, a causa di politiche universitarie stanche e poco ambiziose e di politiche economiche di tagli lineari, siamo al terz’ultimo posto nell’Unione con un tasso inferiore al 25%.
In attesa che arrivino gli atenei di eccellenza (vicino a tantissime altre università che formano per il lavoro con una grande didattica), in attesa che si rispetti davvero Europa 2020, ci si deve ricordare del perché in tutto il mondo si cerca di concentrare i migliori cervelli in un solo luogo anziché disperderli: perché parlano tra loro, magari a pranzo, e parlando, ricercano e inventano.
In attesa che arrivino, la Fondazione Resta ha voluto riunire le diverse scuole romane per far entrare aria di diversità, ma soprattutto di confronto tra eccellenze in ognuna delle nostre Facoltà o Macroaree, a tutto vantaggio della ricerca, dei giovani, delle istituzioni, del territorio, del dibattito economico, della crescita culturale di ognuno di noi e dei cittadini. Nel fare ciò la Fondazione pensa di avere contribuito nel suo piccolo all’avvio di una grande opportunità. La disponibilità della Regione e del suo Presidente rappresentano uno stimolo ulteriore importante. I prossimi passi che compiremo saranno decisivi per capire se abbiamo avuto ragione.
Rimanendo in scorata attesa che il Governo e l’Europa si sveglino e ridiano all’Università il ruolo centrale che dovrà avere se veramente vogliamo ricostruire questo Paese e questo continente.