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Panebianco sa cosa è la spesa pubblica, ma non ne parla

Articoli come quelli di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera fanno grande male alla causa dell’Europa.

Per due ordini di motivi.

E’ vero che, come lui dice, esiste un partito della spesa pubblica, che si oppone al taglio degli sprechi, ma è largamente sbagliato pensare che la sua causa prima sia all’interno dell’infrastruttura amministrativa (alta burocrazia, magistratura amministrative) che indubbiamente gode di rendite di posizione considerevoli. La sua causa prima è là dove si trova il denaro che la alimenta. Ovverosia, nel mondo degli appalti pubblici che arriva a sfiorare il 20% del PIL. Esattamente come, all’incirca, in qualsiasi altro Paese europeo.

Ed ecco dove arriva il secondo errore di Panebianco: nel fare di tutta l’erba un fascio e di pensare che quel 20% di PIL sia tutto spreco e non, piuttosto, che una gran parte (circa l’80% di essa, secondo studi scientifici rigorosi) sia essenziale, come in ogni Paese del mondo, per il rilancio del settore privato.

Non insegna forse Panebianco presso l’Università di Bologna, uno dei bastioni della qualità dell’insegnamento e della ricerca italiani? Non è forse conscio che la spesa per acquisto di beni e servizi nel suo Ateneo permette a quest’ultimo di competere da pari a pari con gli altri luoghi internazionali della formazione, attraendo migliaia di studenti vogliosi di pagare per formarsi a Bologna, e così sostenendo il valore delle nostre esportazioni tramite la vendita di servizi intellettuali a cittadini non italiani? E non si rende forse conto che una spending review che, come quella attuale, blocca a praticamente zero la spesa per l’ammodernamento delle aule, comporta un crollo dell’entrata di risorse da parte di giovani che preferiranno andare in quelle Università fuori dall’Italia che queste aule ammodernano costantemente?

La soluzione contemporanea a questi due problemi è semplice: pretendere immediatamente quello che si fa in ogni Paese del mondo. Fare sì che la quota di sprechi all’interno di quel 20% di PIL (il 20% di spesa circa in Italia) sia minimizzata. E qui le responsabilità non sono più da addebitare a una fantomatica infrastruttura amministrativa ma a tutti coloro che non la sanno governare e dominare, indicando con leadership, coraggio e continuità la via per la riorganizzazione del sistema degli appalti con una spending review che è rivoluzione basata su competenze, performance, riconoscimento dei risultati raggiunti.

I risparmi derivanti dal taglio di quella che incorrettamente Panebianco chiama spesa pubblica ma che è solo trasferimento di denaro dai contribuenti alle “sue” infrastrutture amministrative ed agli imprenditori conniventi, verrebbe usato senza toccare le figure contabili che tanto spaventano i burocrati della politica europea, deficit e debito, e messe a disposizione di addizionale spesa che può far tornare a splendere il nostro Paese, aule dell’Università di Bologna comprese, con una crescita economica che ridarà fiducia anche al settore privato e ci permetterà di restare nell’euro, uniti e forti per affrontare la globalizzazione e le sue immense sfide, abbassando sì a quel punto la pressione fiscale grazie alla riduzione delle aliquote che il maggiore gettito permetterà.

Che il Governo non abbia ancora nominato Mr. Spending Review e non gli abbia ancora allocato poteri  e risorse straordinarie non per tagliare la spesa ma per riqualificarla la dice lunga sul percorso durissimo che ci attende nell’autunno caldissimo che seguirà il caldo di Agosto.

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