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Nel paese dei vecchi ecco come aiutare i giovani

Si dice che si vive di simboli. Che conta tagliare qualche centinaia di milioni di euro di costi della politica così da dare forza ed energia per la lotta contro i veri sprechi, quei 50 miliardi e passa che si annidano nel 16% di PIL dove si crea ricchezza con gli appalti.

Mah. Se i simboli veramente contassero, sarebbe stato allora scontato rendersi conto che, in un Paese che ha da tempo chiuso le porte ai giovani, la gara per la Presidenza della Repubblica tra due candidati ultra ottantenni, seppur stimati e stimabili, avrebbe mandato al mondo ed a noi stessi un segnale altrettanto potente, di chiusura definitiva, di disinteresse completo, per la questione anagrafica che attanaglia questo Paese, la sua classe dirigente e la sua pubblica amministrazione e che fa marcire la partecipazione e l’innovazione da parte dei giovani, relegandoli in serie B, dove spadroneggia il disincanto, l’indifferenza e la noia.

Ma siamo qui. E allora balliamo. Chiediamo per l’ennesima volta a questa politica così incompetente di guardare alla protesta nelle piazze come al segno più evidente di un enorme disagio di opportunità nonché economico, e di comprendere la necessità di cambiare paradigma.

Stancamente forniamo ai politici, che tutto sono meno che leader del cambiamento, l’ennesimo spunto, che appare dai dati del recente rapporto World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale.

Che mette in risalto come rispetto alle crisi globali del recente passato (in blu)  (1975, 1982, 1991) è la maggiore spesa pubblica (per appalti e stipendi) che pare scomparsa e che spiega  l’andamento di questo rientro dalla crisi attuale (in rosso) del PIL così lento ed anomalo.

Stranamente il FMI indica come il 2009 l’inizio della crisi (tempo 0), mentre per quasi tutte le economie occidentali la crisi è cominciata nel 2008 (tempo -1 nel grafico). Il cerchio verde mette in risalto la politica fiscale di spesa pubblica primaria statunitense, confermando che la reazione Usa a sostegno dell’economia  avviene nel 2008 (-1) e che è forte inizialmente e poi però sparisce rispetto alla gestione delle crisi passate (la linea rossa scende al di sotto di quella blu).

Guardate la differenza con la periferia dell’area euro (dove è ormai inclusa l’Italia … quando mai è successo che siamo diventati periferia mi chiedo?) che mostra l’enorme differenza con la gestione delle crisi passate negli stessi Paesi: siamo divenuti molto ma molto più austeri delle precedenti crisi. Con i risultati che conosciamo.

Le ragioni? L’assurdo ragionare?

Ovviamente una possibilità è quella che lo spazio fiscale a disposizione dei governi in questa ultima crisi sia diminuito, perché in questa crisi al suo iniziare il debito pubblico su PIL era ormai troppo alto per esserci  spazio per politiche anti-cicliche, ovvero più domanda interna grazie a più spesa pubblica. Un teorizzare assurdo, visto che il debito pubblico su PIL è cresciuto in questa crisi grazie alla recessione e visto che l’argomentare di Reinhart e Rogoff sulle soglie a partire dalle quali le cose vanno male è stato recentemente demolito.

Ma il FMI la verifica lo stesso. Il grafico che segue, del rapporto debito su PIL,  non distingue tra paesi euro e Stati Uniti, ma è comunque rivelatore.

Di nuovo, in blu l’andamento debito su PIL nelle precedenti recessioni globali ed in rosso l’andamento in questa recessione, con l’anno zero di nuovo il 2009 mentre dovrebbe essere il 2008 (che qui è il “-1″).

Guardate a cosa avviene dal 2007 (anno -2) alla distanza tra le due linee, la barra verticale che ho colorato in verde bloccandone la lunghezza a quell’anno: essa cresce.

Per capirci: rispetto alle passate crisi i Paesi occidentali hanno fatto molto meno uso di politiche fiscali espansive ed il debito su PIL è cresciuto molto di più di quanto non avesse fatto durante le crisi passate.

Ora noi non cascheremo mai nell’errore di Reinhart e Rogoff di dire che quelle due linee blu e rosse del debito su PIL crescono perché è il maggiore debito che genera la recessione. Sappiamo bene che crescono  perché il calo del PIL genera maggiore debito. A meno che …

A meno che non sia affrontato con politiche fiscali espansive, più spesa pubblica e meno tasse, per ridare fiato all’economia. Alt, mi direte, ti sbagli: la linea blu, quella delle crisi passate, mica scende, anche se nel passato gli Stati sono stati a ragione più spendaccioni.

Vero, ma nessuna crisi tra le 3 altre indicate è stata drammatica come questa. E noi sappiamo che quando la crisi è veramente forte, la politica fiscale diventa più potente: maggiore spesa pubblica genera maggiore crescita quando il settore privato ha un braccino ancor più timoroso di domandare (in gergo tecnico: il moltiplicatore è più alto quando le recessioni sono più dure).

E dunque viene il forte sospetto che l’avessimo fatta, questa benedetta politica fiscale espansiva, o la dovessimo fare, svegliando i nostri leader europei appisolati, la reazione dell’economia sarebbe tale da far sì che quella linea rossa, invece di continuare a crescere come teme anche il FMI (vedi le stime della linea tratteggiata rossa), cominci rapidamente a decrescere: la crescita via maggiore spesa pubblica  genererebbe anche maggiore stabilità dei conti pubblici.

La soluzione c’è. I leader no. Prendiamone atto e facciamo la cosa giusta.

One comment

  1. Eugenia Giampaolo

    28/04/2013 @ 06:00

    Ill.mo Prof. Piga,
    non mi intendo di economia ai suoi livelli seppur l’abbia studiata all’Università nel settore agroalimentare.
    Sono d’accordo con quello che lei dice su tutti i fronti.
    Ho sempre pensato, che così come in un’azienda la forza motrice sono gli uffici vendite e marketing, l’Italia avrebbe bisogno di fare ripartire la propria economia agendo sulle politiche di rilancio della stessa. E’ necessario ridurre le spese, ma quelle non necessarie e non quelle necessarie. Nessuno investe più nel nostro Paese perchè la pressione fiscale e le spese del personale sono troppo alte.
    Negli anni 80 molte aziende straniere erano presenti sul nostro territorio, ora si sono spostate verso altre nazioni più vantaggiose fiscalmente, il peggio è che anche le nostre aziende stanno facendo lo stesso. Se fossi nel governo farei pagare un sovra tassa per import/export a tutte quelle aziende Italiane che hanno spostato le loro fabbriche all’estero, dove la manodopera è a basso costo penalizzando così i nostri lavoratori e il nostro Stato (cassa integrazione) per poi rivendere in Italia e agli stessi italiani quei prodotti che i nostri lavoratori fabbricavano prima che le fabbriche venissero chiuse definitivamente (oltretutto hanno anche la faccia tosta di scrivere “Made in Italy”.
    Invece agevolerei fiscalmente quelle aziende che fossero intenzionate a rientrare in Italia a rilanciare i loro prodotti (veri) made in Italy. Penso che l’immagine dei prodotti italiani ne trarrebbe vantaggio.
    Sono sicura che questo nuovo governo possa fare qualche cosa per migliorare la nostra Italia, ma sarà veramente difficile per loro per via della corruzione che attanaglia ogni parte del paese.
    Cambiare mentalità è il primo passo che ogni italiano deve fare, ma ci vorrà tanto tempo. Saluti a lei Professore e continui a scrivere, i suoi articoli sono veramente interessanti.

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