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Quando la Bocconi va a Berlino come Nixon andò a Pechino

Poche cose mi rendono felice quanto vedere confermata l’idea che la goccia scava la pietra e che bisogna rimanere ottimisti che alla fine del tunnel c’è la luce. Tortuoso quanto possa essere il tunnel.

In America hanno un detto paradossale: “it takes a Republican to go to China”. E cioè: per avere successo in una questione rilevante di policy bisogna mandare avanti quello che a quella policy crede meno di tutti. Il conservatore anticomunista Nixon andò in Cina ricevuto con tutti gli onori, prima di Carter o di qualsiasi progressista più aperto al dialogo con i comunisti.

Così per noi: per vincere la battaglia sulla politica fiscale espansiva che serve all’Europa abbiamo bisogno del loro più acerrimo nemico come ambasciatore. Sì esatto, la Bocconi.

Ovviamente la Bocconi non è Francesco Giavazzi, è luogo di ampio e coltivato dibattito economico. Ieri Guido Tabellini, uno dei migliori economisti al mondo a mio avviso, ha scritto un lucido articolo sul Sole 24 Ore sulla questione europea e la BCE, anche se ci sarebbero tante cose su cui discutere. Non ora. Ora parliamo di un altro collega bocconiano.

Fausto Panunzi, della Bocconi, ha scritto su La Voce (luogo di dibattito prediletto dei bocconiani ma non solo) pochi giorni fa un importante articolo che vi consiglio vivamente di leggere. Il paradosso è che Fausto non è un macroeconomista, come li chiamiamo noi, è un ottimo microeconomista, ma visto che di paradossi è pieno e bello il mondo, è di gran lunga il miglior pezzo che è uscito in questo anno sulla questione della crisi europea da luoghi bocconiani. E merita di essere discusso anche per questo con grande attenzione.

Cosa riconosce Fausto?

1. Un fatto evidente negato da molti liberisti: “… le politiche di austerità, quasi inevitabilmente, sono seguite da contrazioni dell’attività economica che hanno a volte l’effetto di aprire altri buchi nel bilancio degli stati, in un esasperante circolo vizioso.” Ovvio? No. Bene che lo si stabilisca e riconosca.

2. Sulla base di ciò, e di recenti articoli di svariati autori di prestigio, si chiede: “si può guarire da una crisi di debito accumulando altro debito?” prendendo in considerazione politiche fiscali espansive (su questo aspetto, su cosa costituisca politica fiscale espansiva, torneremo poi) per uscire dalla crisi economica. Mamma mia ragazzi. Quando l’ho letto ho dovuto rileggere tre volte chiedendomi se sognavo o ero desto. C’è voluto un anno di spinta affinché si riuscisse, in ambienti liberisti (non dico che Fausto lo sia, non ne ho la minima idea, certo non è un keynesiano), solo a porre la domanda, talmente era da esorcizzare la questione. Finché (come si è fatto sinora)  si risponde con l’ideologia a domande scientifiche c’è poco spazio per scovare qual è la strategia giusta e quindi l’articolo di Panunzi che accetta di entrare nel dibattito è acqua pura di sorgente.

3. Panunzi sceglie di parlare di un ramo della teoria keynesiana, che abbiamo spesso illustrato su questo blog, ben sintetizzato dall’economista di Nomura Koh (mia traduzione): “nei Paesi in cui è scoppiata la bolla immobiliare, come gli Stati Uniti ma anche la Spagna, il settore privato (famiglie e istituti finanziari) si trova a fronteggiare un grado di indebitamento molto elevato. Questo porta le famiglie a cercare di ripagare il loro debito invece che a spendere e gli intermediari finanziari a ridurre la loro offerta di credito. L’effetto netto è una riduzione della domanda e una recessione (il termine tecnico usato da Richard Koo, chief economist di Nomura, è balance-sheet recession) … in altre parole, dato che il settore privato non genera domanda perché sta cercando di ripagare il debito, e dato che riuscire ad aumentare le esportazioni non è facile nel breve periodo, l’unico modo per non aggravare la recessione nel breve periodo è quello di lasciare che lo stato aumenti il deficit pubblico. Ecco il grafico di Koh sulla Spagna.

4. Panunzi esclude che la politica monetaria possa fare molto: “al livello dei tassi americani, è illusorio aspettarsi miracoli da questa politica. Quindi la politica fiscale espansiva resta, secondo questa prospettiva, la via più convincente per evitare una forte depressione.” Una delle ragioni per cui diciamo sempre su questo blog che la politica monetaria europea della BCE è condizione necessaria ma non sufficiente per suscitare crescita economica. Bene. Andiamo avanti allora.

5. Ed ecco la ricetta che Panunzi non si sente di rigettare a priori per gli Usa:  “Ovviamente il maggior debito verrà scaricato sui contribuenti che pagheranno le tasse in futuro, ma, per quello che riguarda gli USA, i tassi sono così bassi che quelli che Krugman chiama i bond vigilantes, cioè i mercati, sembrano non essere ancora preoccupati della sostenibilità del debito americano. Inoltre, se il deficit pubblico verrà utilizzato per finanziare investimenti pubblici in modo produttivo, le generazioni future avranno più debito, ma anche una maggiore ricchezza complessiva.”  Wow. E quindi eccoti sdoganata potenzialmente la politica fiscale espansiva. Già questa è notizia da festeggiare!

6. Qui si ferma Panunzi, passando subito a parlare d’Italia, su cui torneremo. Ma intanto fa un primo scivolone che non può passare inosservato: scivola talmente tanto che dagli Usa … atterra in Italia, senza fare scalo a Berlino. O a Madrid. E già. Perché per sua stessa ammissione, se tanto mi dà tanto, ci sono paesi europei che potrebbero adottare senza problemi questa strategia suggerita da Koh per farne beneficiare l’area dell’euro tutta: la Germania in primis. Come dice Koh stesso: “malgrado vi sia un’ampia disponibilità di risparmi privati (in Irlanda e Spagna), i gestori di fondi pensione spagnoli e irlandesi che non si fidano del debito pubblico locale possono tranquillamente acquistare bund tedeschi. Ciò lascia i governi spagnoli ed irlandesi incapaci di finanziarsi con i propri risparmi nazionali per combattere questo tipo di recessione “patrimoniale”. Se i governi di Germania ed Olanda prendessero a prestito attivamente e spendessero questi soldi provenienti da Spagna  e Irlanda ciò sosterrebbe l’attività economica in tutta la zona euro con un impatto positivo anche su Spagna ed Irlanda. Sfortunatamente i governi tedeschi e olandesi sono focalizzati esclusivamente sulla riduzione dei deficit pubblici come previsto dal trattato di Maastricht.” Quindi, seguendo la linea Panunzi, c’è immenso spazio e merito nell’euro del Nord per politiche fiscali espansive. Ma queste mancano. Vanno subito messe in atto.

7. E cosa fare in Spagna ed Irlanda, paesi dell’ “euro Sud”? Anche su questo Fausto tace. Ma non Koh, che propone politiche volte a ridurre lo spread assieme a politiche fiscali espansive: lui suggerisce di vietare l’acquisto di bond pubblici esteri da parte di cittadini spagnoli o irlandesi. Un altro modo di farlo ovvio: il sostegno da parte di BCE, o del fondo anti spread, condizionati a politiche fiscali … espansive, cioè l’esatto contrario di quanto richiesto ora da Draghi o dai paesi dell’euro Nord! Mettiamo in atto, subito.

8. Va bene. Andiamo avanti e raggiungiamo Panunzi e a dove arriva il suo ragionamento. Alle politiche espansive in Italia. Che Fausto considera una bestemmia vera e propria: “quando però si cerca di adattarlo alla realtà italiana, invocando maggiore spesa pubblica in Italia, si fa un grande salto logico. L’analisi delle politiche va adattata alla situazione di ogni paese e i paesi hanno problemi molto diversi. Negli USA, come in Spagna, il settore finanziario si è trovato, allo scoppio della bolla immobiliare, ingolfato di titoli tossici dal valore ridotto e quindi con un eccesso di debito … In Italia, per fortuna, questa bolla non c’è stata o, almeno, non ha avuto le dimensioni che ha assunto negli Stati Uniti, in Irlanda e in Spagna. Se le banche italiane hanno titoli tossici in bilancio, questi sono i titoli di stato dell’Italia, in cui il rapporto debito/Pil ha superato il 120 per cento.” E’ vero quanto sostiene Fausto? Assolutamente. Se guardiamo ai flussi finanziari dal 2006 al 2011 in Italia (da me elaborati su dati Bankitalia) emergono dati interessanti.

In verde vedete il moderato deficit pubblico italiano (su PIL) durante la prima recessione e il rientro dovuto alle recenti politiche restrittive. Più interessante appare l’andamento del settore privato, in primis le famiglie (viola) che dal 2006 come vedete hanno ridotto i loro risparmi attingendo alla loro ricchezza finanziaria. Una reazione diversa da quella delle famiglie affette da crisi finanziaria (Usa, Spagna ecc.) ma significativo: in una crisi economica percepita come temporanea le famiglie non riducono il loro consumo di tanto quanto si riduce il loro reddito, riducendo piuttosto i loro risparmi e la loro accumulazione di ricchezza finanziaria, aspettando tempi migliori. Ma a un certo punto, ecco l’avvertimento che pongo, se l’economia non riparte, le famiglie adeguano permanentemente i loro consumi al minore tenore di vita. A quel punto la recessione può avvitarsi ulteriormente per calo di fiducia. I dati fanno anche emergere un certo deleveraging delle banche italiane (blu scuro) negli anni 2009-2010 arrestatosi l’anno scorso. Interessante è invece  il comportamento delle imprese italiane non finanziarie (rosso) che durante la crisi  non hanno tanto ridotto i loro debiti ma (coerentemente con l’anomalia segnalata dalla BCE nel suo rapporto sulle PMI europee) con tutta probabilità, il loro attivo, come e più delle famiglie.

Insomma, per farla breve, l’Italia non è nello stesso tipo di recessione di Irlanda e Spagna. Merito va dato a Panunzi di averlo fatto emergere con chiarezza maggiore di quanto non avevo fatto io nei precedenti blog.

9. Ma ecco l’ultimo salto logico, sull’Italia. “I problemi italiani sono proprio quelli di un debito pubblico eccessivo che ci rende vulnerabili a quella che stoltamente viene chiamata la “dittatura dei mercati” nonché di una spesa pubblica eccessiva e improduttiva. Invocare maggiore spesa pubblica dopo avere letto degli sprechi della Regione Sicilia, delle forestali calabresi, degli squilibri nella spesa sanitaria tra regioni italiane per prestazioni equivalenti, in una situazione in cui lo Stato si indebita al 6%, non è essere keynesiani o krugmaniani: è divorziare dalla realtà.”

No. Il problema attuale italiano si chiama crisi da domanda aggregata infuocato da politiche austere, tanto quanto Spagna ed Irlanda. Basta guardare i dati su investimenti e consumi privati italiani. Non è crisi à la Koh ma è una tipica crisi keynesiana da mancanza di domanda aggregata. Questo circolo vizioso dell’austerità, esattamente come per Spagna ed Irlanda, sta mettendo in pericolo le finanze pubbliche ed aumentando il rapporto debito-PIL come da punto 1 sopra di Panunzi. Una crisi da domanda si cura con maggiore domanda. Punto. Non da domanda proveniente da maggiore moneta in circolazione per i motivi illustrati da Fausto (punto 4).  Non da minore tassazione che le famiglie italiane comincerebbero a risparmiare. Da maggiore spesa pubblica per acquisto di beni e servizi e lavori.  Studi di Banca d’Italia ampiamente descritti su questo blog mostrano come addirittura com maggiore spesa pubblica con appalti diminuisca il debito e non solo il debito pubblico su PIL: ma è ovvio, è l’altra faccia della medaglia dell’austerità che non funziona!

10. Vero è che l’Italia ha un punto debole nel suo debito e che maggiore deficit potrebbe preoccupare i mercati. Da 1 anno su questo blog per tutelarci da questo effetto sosteniamo: a) che l’Italia non può partire da sola ma deve agire assieme ad una strategia espansiva europea, b) che l’Italia non deve fare deficit per fare questa spesa pubblica: basta che i tagli agli sprechi (che domanda di beni non sono ma trasferimenti inutili ed il cui taglio non è recessivo)  o che le tasse attuali, stupidamente usati per ridurre il debito, siano usati invece per finanziare spesa pubblica (domanda pubblica, cioè appalti).

11. Sugli sprechi ho già dato una risposta. Il paradosso è che abbiamo chiesto a Monti di fare la spending review. Siamo convinti o no che la sappia fare? Che sappia tagliare gli sprechi? Sì? E allora chiuso. La nuova spesa pubblica sarà vera domanda e non spreco. Se Fausto non si fida che Monti sappia dire a Lombardo come spendere i soldi (e non a caso Lombardo non c’è più proprio ora!) allora mandiamo Monti a casa perché non assicura nemmeno la bontà delle riforme. Altrimenti, se pensiamo lo sappia fare, teniamocelo insieme alla maggiore spesa pubblica di qualità. Tertium non datur.

Aspettiamo ora che dopo la Bocconi segua anche l’Europa. La goccia scava la pietra. Vinceremo. Per il bene dell’Europa.

13 comments

  1. A proposito di come (ovunque nei paesi del capitalismo maturo) , il target del 2% di inflazione e la conseguente disoccupazione, stagnazione e poi caduta dei salari reali -e della domanda- non siano una risposta pertinente e razionalmente adeguata al “supposto” problema della Cina.

    E come, per simmetria, fare dumping salariale (per raggiungere un’inflazione anche inferiore al 2%), in una OCA, si colleghi a esigenze di export aggressivo – con restrizioni alle importazioni “per effetto equivalente” in violazione dell’art.34 tr.UE,
    - essenzialmente a danno dei partners…e non abbia molto a che fare con la stessa Cina (dati i corsi dell’euro perseguiti con “alti” tassi BCE fino a tutto il 2010).
    Ma deve essere un’epidemia “geniale” prendersela con l’occupazione e acuire l’abnorme distribuzione di redditi e ricchezza:

    http://blogs.ft.com/economistsforum/2012/07/the-feds-2-inflation-target-trap/

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    • Non ho nulla in difesa sul 2% d’inflazione. Non capisco se è d’accordo sul blog ft: se sì, beh basta che siamo d’accordo che l’inflazione di cui parla genera occupazione con minori salari reali, tipico modello keynesiano standard.

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  2. Insomma, non è proprio obiettivo keynesaino…
    “The Fed’s two per cent inflation target constitutes a backdoor way of forcing society to live with a “new normal” of permanent wage stagnation and unemployment far in excess of full employment. In effect, by adopting this target, the Fed has surreptitiously abandoned its legislated mandate to also pursue “maximum employment”.
    Tale mandato tra l’altro, per il rinvio dell’art.127 del tr. UE all’art.3 del tr. istitutivo sarebbe poi anche proprio della BCE…ma è cosa che nessuno riesce a “leggere”, probabilmente per un diffuso problema agli…occhi

    Ma il punto non era questo, ovviamente: per deflazionare passo sempre per una fase di accresciuta disoccupazione (o contrazione della domanda) che consente la riduzione salariale. E ovviamente, mi avvantaggio sui tassi di cambio reale anche in caso di moneta unica, cioè pratico svalutazione reale competitiva…violando l’art.34 tr. (effetto equivalente a restrizione alle importazioni) ove al di fuori di un obbligatorio coordinamento delle politiche economiche e di una giustificazione nel ciclo economico.

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  3. Professore,

    Ho una richeista da farle. Tengo in conto che potrebbe non avere tempo per soddisfarla.

    Ho trovato questo articolo (dove si fa il suo nome):
    http://www.bloomberg.com/news/2012-03-06/goldman-secret-greece-loan-shows-two-sinners-as-client-unravels.html

    Potrebbe brevemente spiegare il nocciolo della questione, visto che non ci ho capito poco o forse nulla. Mi sembra che in realta’ la Grecia non ha esattamente truccato i conti, ma ha fatto un’operazione finanziaria, permessa dall’Unione Europea, che per vari motivi tecnici ‘e andata male, e poi una mancanza di comunicazione fra le istituzioni greche e le istituzioni europee ha causato il diffondersi della notizia che la Grecia aveva truccato i conti.

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    • Aleardo buongiorno. E’ complesso e in effetti sono abbastanza esperto del tema. Sì sul “permesso dalla UE”. No sulla mancanza di comunicazioni: c’è stato un tentativo conscio e pianificato di nascondere informazioni rilevanti tramite operazioni derivate. Questa mancanza di informazioni ha permesso anche che i mercati e soprattutto i cittadini greci non potessero disciplinare il loro governo. E che il governo successivo abbia trovato impossibile procedere a politiche che permettessero una sana gestione del ciclo economico.
      La goccia scava la pietra anche in senso negativo: tutto quello che facciamo un giorno o l’altro ci torna indietro, e non sempre è una buona notizia.

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      • Professore penso di aver capito un po’ meglio il carattere generale del problema:

        Mi scusi se continuo sulla questione, ma il fatto e’ che ho trovato quell’articolo che le ho postato, e quest’altro:

        http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-04-29/atene-vittima-causa-crisi-143519.shtml

        E chi ha fornito i due articoli (su un altro blog), sosteneva che la Grecia non ha truccato i conti ma e’ stata vittima di un raggiro da parte di Goldman Sachs.
        Goldman Sachs non sara’ stata trasparentissima (come mi pare di capire dalla sua dichiarazione: “In secret deals, intermediaries have the upper hand and use it to squeeze taxpayers,” Piga said in an interview. “The bargaining power is in investment banks’ hands.” Pero’ il Governo greco o chi di competenza ha anche responsabilita’ perche’ non ha intenzionalmente segnalato il fatto.
        Ma perche’ la chiama secret deal se era un’operazione permessa, a quanto pare anche fatta dall’Italia?
        Perdoni se insisto. Ma questa crisi e’ un’evento importantissimo per il mondo, e avere a disposizione una fonte autorevole mi spinge a chiere chiarimenti per avere, non dico la verita’ assoluto, ma per lo meno un quadro un po piu’ completo.
        La ringrazio in anticipo per la disponibilita’ e la pazienza.

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        • I greci al governo hanno enormi responsabilità.
          Perché faceva parte di quelle cose “grigie” che se spiegate al pubblico sarebbero state vietate con regolazione apposita per fermarle. E non doveva essere fermata. Pensi che il mio libro, a cui seguì un silenzio di 10 anni, aveva denunciato il tutto e a quel punto se si voleva si sarebbe potuto fermare. Ma nessuno fiatò, stampa compresa. Così vanno le cose!

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          • E quando mai la stampa fiata, se non quando e’ troppo tardi, o per tirare acqua al proprio mulino.

  4. Professore,

    Ha una spiegazione del perche’ Monti si preoccupi del debito invece di espandere la spesa pubblica. Voglio dire l’italia rappresenta una grossa fetta dell’Unione Europea, e’ mai possibile che a fronte dell’evidente disastro Monti non riesca a imporsi su questo punto?
    Io ricordo che appena insediatosi fece due cose:
    1) Chiese di poter aumentare la spesa pubblica per cose tipo ospedali e scuole.
    2) Suggeri’ agli Italiani di comprare prodotti Italiani e non esteri.

    Perche’ non continua a spingere su cio’ invece di preoccuparsi di scudi anti spread?

    Lo so che non ha la palla di vetro e non puo’ sapere qual’e la verita’. Mi interessa semplicemente la sua opinione in merito.

    E ho un’altra domanda.
    Se questa situazione di blocco istituzionale a livello europeo si dovesse protrarre piu’ a lungo, con ancora piu’ austerita’ e conseguente danno economico e sociale, secondo lei varrebbe la pena smantellare per il momento il progetto moneta unica e rimandarlo a tempi migliori?

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  5. Roberto Boschi

    05/08/2012 @ 17:38

    Caro Professore,
    mi trova, nella stragrande maggioranza dei suoi interventi, perfettamente d’accordo con la linea che sta proponendo con questo blog.
    In particolare mi convince l’analisi sull’austerità che aggrava la recessione (a proposito, perché non chiede ufficialmente al Prof Alesina di aggiornare il saggio scritto con la dott.sa Ardagna, sulla “contrazione fiscale espansiva”, alla luce dei risultati che sta ottenendo David Cameron nella pedissequa attuazione di quella strampalata teoria?) e sulla necessità di sostenere la domanda con l’unico attore, lo Stato, che lo può fare perché può muoversi in maniera anticiclica.
    Questa volta, pur condividendo completamente quanto scritto negli 11 punti, mi sembra che lei, come Panunzi, dimentichi un pezzo importante della “cura” per guarire dalla crisi: il recupero della competitività del nostro sistema economico.
    Lei sa bene (e spero lo sappia anche Panunzi) che all’origine della situazione che ha portato alla profonda divaricazione dei tassi d’interesse nell’Euro Zona (e con essi alla crisi di fiducia che ha molto contribuito ad aggravare la recessione) c’è lo squilibrio crescente nella bilancia corrente, fra i surplus di Germania Olanda, Finlandia Austria ed i deficit dei paesi del Sud e della Francia.
    Con la moneta comune, ma con bilanci pubblici separati, questi squilibri non sono più sostenibili perché più nessun investitore estero si fiderà a sottoscrivere debito dei paesi in deficit perché troppo forte è il rischio che alla fine l’area valutaria comune si rompa e ci si ritrovi con carta svalutata.
    Oggi infatti i veri finanziatori del nostro deficit corrente (e di quello Spagnolo) sono le Banche Centrali dei paesi del nord, via BCE con il meccanismo del Target 2.
    Nella sostanza, quella che appare come una crisi dei Defict/Debiti pubblici è, prima di tutto, una crisi degli squilibri correnti fra paesi.
    Ne è controprova il fatto che l’Irlanda, 8 mesi dopo aver ritrovato il surplus delle partite correnti, fa registare tassi sui titoli decennali inferiori a quelli spagnoli e, da vari giorni ormai, anche ai nostri.
    Come si esce da questa situazione e si riesce ad annullare il deficit corrente?
    E’ utile una politica di spesa pubblica (in deficit o meno non è qui il punto) a questo fine?
    C’è, viceversa, anche una politica dell’offerta che può essere utile in questo senso?
    Mi sembra che siano queste le domande principale da porsi, sic stantibus rebus, pensando cioè di rimanere in questa Area Valutaria comune senza pensare, quindi, ad una sua dissoluzione (come il Prof Bagnai da tempo va tempo teorizzando, con logica ferrea ed altrettanta ironia).
    Certo, se ci si avvita nella recessione, la situazione non può che peggiorare e non soltanto perché ci impoveriamo (anzi, da questo punto di vista la diminuzione della domanda interna migliora il deficit commerciale via calo delle importazioni come testimoniano i dati istat dei primi 5 mesi del 2012), ma soprattutto perché, con la contrazione degli investimenti, si distrugge progressivamente il tessuto industriale e con esso la possibilità di competere sui mercati esteri. Insomma si riduce drammaticamente il nostro potenziale di crescita (a meno di non pensare che alla fine, via impoverimento, riporteremo in patria quelle produzioni labour intensive che abbiamo decentralizzato oltre 10 anni fa!). Siamo purtroppo a buon punto su questa strada.
    Spero di aver sollevato questioni ed interrogativi utili, la chiudo qui perché ho già molto abusato dello spazio e del tempo suo e dei sui lettori.
    Grazie mille

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    • Concordo al 100% Roberto. Il problema è solo che i tedeschi ci hanno messo 10 anni ad ottenere PIL dalle loro politiche di competitività, inizialmente recessive. Non dico che non vanno fatte, dico solo che sono meno prioritarie, perché non c’è tempo. E siccome comunque il campo dei favorevoli a queste politiche è ben ampio mentre il nostro piuttosto scarno … devo spendermi molto sulla spesa pubblica.

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  6. Fausto Panunzi

    06/08/2012 @ 06:52

    Gustavo, grazie per il commento al mio articolo. Un piccolo appunto sul titolo: la Bocconi è una istituzione pluralista e ognuno pensa con la sua testa. Quindi il mio punto di vista rappresenta solo me.

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