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La claustrofobia che ci attanaglia e ci uccide

Molto molto spesso continuo a sentirmi dire (non dagli ideologi liberisti), “sì, hai ragione, c’è bisogno di più spesa pubblica, più domanda interna, per rilanciare l’economia e ridare bellezza e vita al nostro patrimonio nazionale ed alla nostra capacità di sostenere col settore pubblico la produttività ed occupazione del settore privato, ma…

… Ma non ci sono i soldi.”

Un ritornello, premetto, già diverso da quello predominante e sempre più minoritario del “tagliare la spesa”, a conferma che pian piano si riconosce la bontà di quel che abbiamo sostenuto – un po’ minoritari ;-)   – in questo anno di blog. Ma non c’è spazio.

Anche oggi economisti di valore e non prevenuti come Tito Boeri oggi su Repubblica: “vero che oggi ci sarebbe bisogno di politiche di sostegno della domanda per rilanciare l’economia, ma purtroppo queste a noi non sono consentite per le dimensioni del nostro debito pubblico e la crisi di credibilità che attraversiamo”.

Non c’è spazio. Non c’è spazio. Non c’è spazio. Quanta claustrofobia in giro.

Quanti modi abbiamo per smontare la credibilità di questa litania?

Oh, tanti. Tantissimi. Perché tantissimi sono i vizi logici del ragionamento dei claustrofobici.

1)   Il vizio dell’ “impotenza europea”. Prendiamo (non sarà l’ultima volta) la fotografia di Boeri. Sembrerebbe dunque, analizzandone il negativo, che sia ovvio e giusto che perlomeno l’area dell’euro Nord persegua tale politica fiscale espansiva, visto che “non ha problemi né di debito né di credibilità”. Così facendo, perseguendo il suo stretto egoismo di rilancio della domanda interna, creerebbe, l’area del Nord, tantissimo spazio fiscale e di crescita per l’area del Sud via maggiori esportazioni. La crescita che ne seguirebbe, in Italia ed in Grecia, migliorerebbe i conti pubblici stabilizzandoli, creerebbe un senso di unità europea e farebbe dunque abbassare gli spread, e soprattutto abbatterebbe direttamente il rapporto debito-PIL, riducendo le ragioni à la Boeri che a suo avviso bloccano le possibilità di rilancio della domanda interna all’area euro Sud. La interessantissima intervista di oggi di Le Monde al Presidente greco  Samaras, tradotta  da Repubblica, è un ritornello costante: “la nostra priorità deve essere accelerare la ripresa economica e uscire dalla recessione”. Mi piace pensare che quel “nostra” si riferisca all’Europa nel suo complesso. Ma se così è, cosa impedisce a Monti e a tanti economisti claustrofobici perlomeno di chiedere a alta voce che siano i paesi dell’euro Nord a creare spazio per quelli del Sud? Spazio ce n’è. Sta di fatto che anche Samaras è vittima della claustrofobia imperante se chiede anche lui, testualmente, ”un po’ di respiro”.

2)   Il vizio della “circolarità del ragionamento”. Siccome il debito è alto, non si può rilanciare? No, il mancato rilancio rende “il debito” alto. Perché ho messo tra virgolette il debito? Perché non è vero che il nostro debito pubblico è alto. Non è vero. Non a caso in Europa non ci sono regole sul debito pubblico ma sul rapporto debito-PIL, indicatore della capacità di ripagare il debito che ha il debitore. Il ché significa che, anche se volessimo crearci un vincolo esterno di mancanza di spazio, imposto dai mercati, è quello di un PIL che non cresce. In fondo lo stesso debito pubblico italiano non preoccupava NESSUNO dei claustrofobici (né nessuno nei mercati finanziari) nel mitico primo quinquennio di vacche grasse dell’euro, quando c’era la crescita (drogata) e lo spread era a zero malgrado il debito italiano fosse in valore assoluto simile a quello odierno in valore reale (3,7% circa l’aumento in termini nominali da fine 2006, 1,7% circa in termini reali). Il problema del rapporto debito-PIL è dovuto al fatto che crisi finanziaria ed austerità autoimposta hanno generato un crollo del PIL ed un suo rallentamento tale da preoccupare i mercati della sostenibilità del debito stesso. Soluzione? In una crisi che è ciclica, bisogna mettere le mani sul ciclo, riavviando il “PIL congiunturale”, prima ancora di quello “strutturale”. Lo capisce bene anche un politico conservatore come Paul Ryan, candidato repubblicano alla Vice Presidenza Usa, che nel suo programma tutto orientato alla riduzione del rapporto debito-PIL avverte tutti che la soluzione non è certo la stupida austerità pro-ciclica europea che peggiorerebbe le cose, come è avvenuto in Grecia. Detta in un altro modo: è il maggiore PIL congiunturale che genera oggi un minore rapporto debito-PIL. E questo, come ha spesso ricordato Stiglitz, anche senza finanziare la maggiore spesa pubblica con maggiori deficit pubblici: il c.d. moltiplicatore del bilancio in pareggio, pari aumento di spesa e tasse, fa aumentare il PIL. “Aumentare le tasse, ma sei pazzo??” Non si può crear spazio con maggiori tasse, le maggiori tasse uccidono. Oh, davvero. Beh sappiate che le maggiori tasse le avete già davanti agli occhi, sono il frutto di manovre assolutamente folli fatte in questi anni di crisi, che hanno avuto come conseguenza che il Tesoro italiano abbia sbagliato le sue aspettative sulla crescita di ben 3,8 punti percentuali per il 2012. Un’inezia. L’effetto sul PIL e sui conti pubblici sarebbe stato ben migliore se quelle tasse che abbiamo alzato fossero state usate, in questa fase del ciclo, per espandere la spesa invece che ripagarci il debito, 50% del quale a investitori residenti all’estero che certamente con quei soldi non ci hanno fatto domanda di beni alle nostre imprese. Lo spazio c’era.

3)   Il vizio dell’”impotenza italica”. Che vuol dire quando Boeri parla di “mancanza di credibilità” che impedisce politiche espansive? Che il Governo Monti non è credibile? Ma allora a che serve? “Ma non è Monti che è poco credibile, è l’Italia coi suoi vizietti, sono i politici, con i loro sprechi”, mi si risponde. Ah, ecco, continuo a non capire. La credibilità la usiamo dunque a fini politici: c’è quando Monti è in difficoltà, non c’è quando Monti potrebbe usarla per fare di più di quanto si sia mai fatto in Italia, compreso per i tanti fondi europei finora tralasciati o lasciati scadere. Bella logica. Il che mi porta all’ultimo vizio dei claustrofobici.

4)   Il vizio del “qualunquismo”. Lo so, lo so, non ci credete al moltiplicatore di Stiglitz. Fate male. Incredibile che alcuni di voi credano ancora che l’austerità ci salverà dopo tanti fallimenti nostrani, mentre non siete disposti nemmeno a curiosare attorno ad un tentativo di politica fiscale espansiva  che non aumenta il deficit. Mah. Comunque, di voi claustrofobici ad oltranza, mi irrita solamente una cosa: l’assoluta indifferenza che mostrate verso la lentezza dell’adozione dell’unica manovra che, anche a vostro avviso, creerebbe spazio fiscale, quella della spending review e del taglio degli sprechi. Ma come, noi e voi concordiamo che dal taglio degli sprechi possa essere scovato un incredibile ammontare di risorse che si libererebbero senza tagliare il PIL e senza creare recessione, soldi che possono trasformarsi in maggiore domanda pubblica, generando maggiore PIL e migliori conti pubblici. Sembrerebbe dunque che attorno alla spending review dovremmo accentrare tutti i nostri sforzi, tutto il meglio della pubblica amministrazione, della stampa, degli economisti che dovrebbero essere dedicati a svolgere, monitorare, supportare questo compito. E invece siamo tutti qui, al Braccobaldo Show: inerti, qualunquisti, vaghi, compassati, ipocriti.

Di quanto sono stati aumentati i fondi per lo staff della Consip per supportare Bondi nella spending review? Ho il sospetto che questi soldi siano addirittura diminuiti e comunque, certamente, non aumentati. Andrebbero raddoppiati: robetta per noi contribuenti, immensi per la Consip e per l’individuazione degli sprechi e la qualità delle gare. Quanti ispettori abbiamo sguinzagliato per tutta Italia per verificare gli sprechi? Non mi risulta sia stato fatto nulla. E il non sapere cosa si stia facendo, badate bene, influenza i comportamenti degli spreconi, che finiscono per non preoccuparsi di sospendere il loro comportamento inefficiente. Quante stazioni appaltanti (sono un’infinità in Italia) sono state chiuse, accentrando un minimo i centri di spesa, d’imperio? Perché non è ancora vietato alle amministrazioni di fare appalti pubblici se non si è prima vidimato l’esito della gara raffrontando tra stazioni appaltanti prezzo e qualità? Perché non abbiamo ancora accentrato informaticamente tutte le informazioni sulle gare, con una spesa di qualche decina di milioni di euro? Perché non abbiamo ancora risolto la questione dei ritardati pagamenti per far crollare i prezzi delle gare pubbliche che ci caricano le imprese che sanno di essere pagate a babbo morto?

Poi oltre ai claustrofobici, certo, ci sono gli sventratori. Quelli che pur di creare spazio abbattono foreste e radono al suolo tutto quello che hanno intorno, quelli che dicono che si arresta il declino e si trovano le risorse abbattendo la dimensione dello Stato, facendo di tutta l’erba un fascio e ovviamente distruggendo gli incentivi dei migliori. A noi ci basta accontentarci di leggere il povero Sergio Rizzo (povero perché non ha ovviamente dati a supporto proprio perché i dati … forse non li ha ancora nemmeno Bondi) sulle pagine del Corriere dire che tutte le regioni e gli enti locali spendono che è uno schifo, e il giorno dopo leggere la bellissima lettera di risposta del sindaco di Bolzano che gli ricorda che non è assolutamente vero, che ci sono tantissime realtà locali (non solo a Nord ovviamente) che fanno l’eccellenza degli acquisti rispetto anche allo Stato e che implicitamente con la sua lettera conferma che nessuno sta controllando in maniera seria e non generica dove si spende bene e come si possono imitare queste gestioni di eccellenza, che ovviamente stanno sia al centro che in periferia, assieme agli sprechi.

Ma sì, continuiamo a dire che non ci sono i soldi, che non c’è spazio, ed a morire così di crisi, di panico o di asma, senza respiro. Oppure buttiamo giù tutto, creiamo spazi abbattendo senza riguardo per quanto di bello ed utile finora costruito con pazienza dalle generazioni che ci hanno preceduto.

Eppure i soldi ci sono, sono una marea, bisogna avere la forza ed il coraggio di lottare ed organizzarsi in tutte le diverse sedi, europee, statali, locali per scovarli ed usarli bene, per il bene del Paese. Tutto il resto è uno sterile e triste show di fine agosto.

10 comments

  1. Gentile Professor Piga,
    ha spiegato e motivato perfettamente come smontare il luogo comune “sarebbe bello, ma non ci sono i soldi”.
    Condivido in pieno, ma le regole europee (dal Fiscal Compact in giù) permettono di fare quello che Lei dice?
    Italia, Grecia, Spagna e Portogallo hanno ancora un’autonomia politica tale da consentire di fare simili richieste?
    Crede che sia possibile che Monti, Merkel, Samaras (ed economisti, politici e giornalisti in generale) non riescano a comprendere delle cose tanto semplici quanto evidenti e comprovate dalle conseguenze disastrose che provocano qui e ora in Europa, ma da sempre nel mondo?
    Grazie

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  2. Rudy Colacicco

    25/08/2012 @ 15:42

    Alcune domande provocatorie?

    Assumiamo che in Italia (ma anche in altri paesi UE) ci sia un governo disposto ad applicare politiche keynesiane di maggiore spesa pubblica per far ripartire la crescita.

    Assumiamo che il moltiplicatore funzioni con certezza.

    1) Questa crescita sarebbe drogata come quella dei primi anni dell’euro?

    2) Una volta che l’effetto moltiplicativo finisce, dove saremo arrivati? Nuova crisi? In quel caso, la spesa pubblica (sprecata) sarebbe giustificata?

    Prof. lo sa che sono un sostenitore del suo programma di crescita. Comunque mi viene da chiedermi se gli apparati italiano ed europeo siano pronti per una politica keynesiana di maggiore spesa pubblica, senza aver modificato il quadro normativo comunitario che ha causato la ricaduta economica del 2011 dei debiti sovrani. E quindi

    3)Una politica keynesiana ora darebbe dei vantaggi (es. crescita) che si autososterrebbero una volta che il moltiplicatore finisce il suo?

    Il razzo lo possiamo anche sparare, va su. E su. E su. Ma ci arriva fuori dall’atmosfera così da volare da solo o ricade un’altra volta sulla terra?

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    • SALVE Rudy.
      1) certo che no, siamo ben sotto capacità produttiva
      2) vedi sopra
      3) ma no, politica keynesiana deve sparire appena sopra capacità…

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  3. Sono ovviamente d’accordo, ma anche ammettendo ci fosse la volontà politica di fare come lei suggerisce (dal nostro Caro Leader finora gli accenni alle misure di crescita sono stati molto vaghi mentre i richiami alla necessità del rigore sono continui e perentori), non ci siamo già legati definitivamente le mani con l’Europa approvando il fiscal compact? Abbiamo o no contratto il vincolo di abbattere la quota di debito eccedente il 60% del PIL in 20 anni al ritmo di 40-45 miliardi l’anno? Se sì, allora trovare le risorse che coprano il rientro obbligatorio del debito, la spesa per interessi e quella per stimolare la ripresa sono davvero enormi; diciamo 200 mld l’anno prossimo o sono ottimista?

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    • Mi pare ci sia un accordo a non far nulla fino al 2014 (saremmo già … delinquenti). Ora vorrei capire meglio questa storia del Redemption Fund.

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      • Redemption Fund?
        Non trova inquietanti questi termini religiosi? Questa continua mescolanza e confusione tra dati economici e moralità? (es il debito non dovrebbe essere un semplice dato economico di per sé moralmente neutro? Il surplus è virtù anche quando si ottiene con mezzi immorali, come ad esempio la guerra? ecc. ecc.)

        A proposito vorrei anche segnalare questo articolo di Da Rold sul Sole 24 Ore
        (non lo legga con il cappuccino in mano, mi raccomando)
        http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-08-24/dieci-punti-imitare-germania-125923.shtml

        Ho letto la sua risposta, non le sembra paradossale che quello che è il bene di un’Unione di Paesi (circa mezzo miliardo di persone), lunica possibilità di uscire dalla crisi forse sia proibito dalle stesse leggi/regole/trattati che la governano? (ci tenga aggiornati) E che invece di “ammorbidire” questi vincoli insensati, ne stiano aggiungendo altri sempre più stretti? Che non ci sia mai stato alcun dibattito pubblico intorno all’accettazione di questi vincoli?

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  4. Condivido in pieno la critica ai claustrofobici.
    Sulla spending review però, prima ti lamenti della lentezza (vera) con cui viene portata avanti, poi dici (giustamente) che in realtà si tratta solo di una spending cut e che non aiuterà le amministrazioni a spendere meglio.
    Se deve essere una spending cut (come è realmente) più è lenta meglio è.

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  5. Roberto Boschi

    25/08/2012 @ 21:59

    C’è sicuramente bisogno di interrompere il circolo vizioso dell’austerità depressiva. E va fatto velocemente perché l’avvitamento mi sembra nei fatti: dopo -0,7% del PIL II° trimestre, ci sono molti segnali (dai PMI, alle indagini sui consumatori, ai sondaggi sul mercato turistico interno) che fanno intravedere un III° trimestre forse peggiore.
    Come riuscirci? Con quali armi?
    Per un verso mi sembra indispensabile attivare spesa pubblica anticiclica, per un altro verso, visto che ci manca la leva del cambio, dobbiamo (continuare a) trovare spazi perché domanda netta positiva arrivi da fuori, tramite l’export.
    Per non vanificare questo seconda fonte di domanda, la spesa pubblica deve essere fatta in modo assolutamente mirato: va tutta quanta indirizzata agli investimenti che, nel frattempo, sono precipitati a poco più del 1,4% del PIL, uno dei valori più bassi da decenni.
    Ci sono almeno 2 ragioni che dovrebbero spingere per un sostegno alla domanda interna attraverso gli investimenti pubblici.
    Il primo è strutturale: aumentare il livello di dotazione inrfastrutturale e con esso la capacità competitiva delle ns imprese.
    La seconda ragione ha a che fare con la tipologia di ripresa che ci si deve attendere nell’immediato: deve essere una ripresa che, comunque, non peggiori nel breve, di nuovo, i nostri conti con l’estero, ma anzi li sostenga. Cerco di spiegare il ragionamento.
    La vera criticità all’interno dell’Area Euro, ed è una cosa su cui sono ormai d’accordo tutti, è costituita dagli squilibi nelle bilancie dei pagamenti che, in mancanza di un bilancio federale e di debiti pubblici comuni, scaricano sui tassi di interesse dei singoli paesi i differenziali di segno dei conti esteri e, in termini contabili, sui conti recirpoci del sistema Target 2 delle banche centrali i segni + e – (prima della crisi erano le banche dei paesi Core, Germania in testa, che, detenendo i titoli di debito degli stati in defict estero e/o erogando credito a famiglie o imprese di quegli stati, finanziavano questi deficit).
    Ora l’Italia ha accumulato negli anni 2000 un ingente debito estero perché la sua bilancia corrente è andata progressivamente peggiorando, accumulando deficit annuali crescenti esplosi dopo il 2008. E’ solo dagli inizi del 2012 che il trend ha cominciato ad invertirsi fino al dato molto, ma molto importante uscito il 17 agosto scorso, quando Banca d’Italia, nel consueto bollettino mensile, ha segnalato che le partite correnti di giugno sono tornate ad essere positive. Giugno è sempre stato un mese molto critico e l’ultima volta che il segno era nero correva l’ammo 2007, prima della Grande Recessione. Sembra, insomma che si stia lentamente superando la più forte criticità che rende instabile la nostra situazione finanziaria. Questo riequilibrio dei conti esteri avviene perché si è consolidato un trend moderatamente crescente delle exportazioni, ma, soprattutto, sono in forte caduta le importazioni, a seguito essenzialmente della caduta dei consumi e della recessione in atto.
    E’ sempre più diffusa, fra economisti ed operatori finanziari, la convinzione che mantenere e consolidare un saldo attivo nella bilancia corrente sarebbe un segnale molto rassicurante per i mercati finanziari perché starebbe ad indicare che l’Italia, che ha già un saldo primario positivo dei conti pubblici, non sta più accumulando, per ragioni economiche, debiti vs l’estero e quindi lo Stato è, o ritorna ad essere, in condizioni di solvibilità.
    Scongiurata (e ben comunicata ai mercati) la possibilità di insolvenza, saremmo ad una svolta nella corsa dello spread, che tornerebbe a scendere con convinzione, rimettendo in moto quel “clima positivo” che è la condizione indispensabile per ritrovare la fiducia e con essa la molla per far ripartire gli investimenti delle aziende.
    Quale è il più forte rischio per ri-perdere il surplus corrente? La ripresa dei Consumi interni oltre, ovviamente al calo della domanda estera.
    Sul secondo aspetto non possiamo fare gran che (o no?), solo “sperare” che l’Euro si mantenga debole vs USD soprattutto. Ma sul primo punto, i consumi che generano import, si può incidere, almeno nel breve periodo. Ecco quindi perché il sostegno al PIL da parte della spesa pubblica deve assolutamente avvenire lato investimenti, perché, quando questi si tradurranno dopo un pò di tempo, come sempre, in maggiori consumi, il sentiment sulle sorti dell’Italia sarà tornato stabilmente in area positiva, la fiducia avrà rimesso in moto anche gli investimenti privati e, speriamo, le riforme strutturali avranno contribuito a rendere più competitiva la ns offerta e quindi i conti esteri si saranno definitivamente consolidati.
    Certo, e concludo, di maggiore domanda c’è assoluto bisogno perché la spirale va fermata. Non ci basterà la domanda estera per tornare a crescere: lo Stato deve fare politica anticiclica, non in deficit come dice Stigliz, ma senza cercare soluzioni lato consumi, essenzialmente riattivando gli investimenti.

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