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I conflitti d’interesse. Rendere visibile l’invisibile

Ho chiesto al mio bravissimo collega Emiliano Di Carlo, docente, di raccontarci della sua bellissima esperienza, che va avanti da alcuni anni, di discutere assieme al personale della Pubblica Amministrazione - in sessioni che prevedono anche questionari – del rilevantissimo tema del conflitto d’interessi. E’ questione in cui, come al solito, tramite professionalizzazione e coinvolgimento si fanno passi da gigante verso una Pubblica Amministrazione al servizio di imprese e cittadini. Lo ringrazio per l’entusiasmo e l’attenzione che sa suscitare in aula: il suo contributo al PIL non va sottostimato ed ecco perché uso tutti questi superlativi.

Nei giorni scorsi ho tenuto alcuni interventi di docenza sul tema “conflitto di interessi” (CdI). Prima di iniziare le lezioni ho somministrato un questionario sui rimedi di gestione del CdI. In particolare, ho chiesto ai discenti di immedesimarsi in alcune situazioni di CdI e di scegliere i rimedi più opportuni per affrontare il fenomeno. L’obiettivo del questionario era di comprendere le motivazioni che portano gli individui, posti di fronte a situazioni concrete di conflitto, a scegliere taluni rimedi e ad escluderne altri.

Tra le situazioni di CdI previste nel questionario, indubbiamente la più interessante è la seguente:

Cerca di immedesimarti nella seguente situazione:

Sono proprietario di un’impresa farmaceutica multinazionale, in cui sono anche amministratore delegato. Un giorno, l’incaricato di formare il nuovo governo, dopo la fine del mandato del precedente, mi propone la carica di Ministro della salute, in virtù delle mie comprovate competenze nel settore sanitario (che quindi posso mettere a servizio del Paese) e della mia integrità morale. Quali tra i seguenti rimedi ritengo adeguati per gestire l’interferenza che potrebbe presentarsi in futuro, vista la presenza di un interesse finanziario rilevante nella mia impresa farmaceutica? Posso scegliere anche più rimedi (segnare con una X il rimedio scelto):

1) Nessuna regola scritta, in quanto sono in grado di autodisciplinare il mio comportamento grazie alla mia professionalità e integrità morale;

2) Prima della mia nomina devo comunicare ad un’Autorità di vigilanza la presenza dell’interesse finanziario nella mia società farmaceutica, sarà poi tale Autorità a decidere il rimedio più opportuno da applicare (cioè i rimedi 1 e da 3 a 7);

3) Posso mantenere il mio incarico da amministratore delegato (ipotizzando che non sottragga tempo all’incarico di Ministro) e la proprietà della mia impresa, ma devo astenermi dalle decisioni che possono avere effetti sulla stessa, anche nelle situazioni in cui le mie competenze sono preziose;

4) Se decido di accettare l’incarico, devo dimettermi da amministratore delegato, perdendo quindi la possibilità di gestire la mia impresa, ma posso mantenerne la proprietà;

5) Se decido di accettare l’incarico, devo dimettermi da amministratore delegato e devo cedere la proprietà, se voglio anche ai miei figli;

6) Se decido di accettare l’incarico, devo dimettermi da amministratore delegato e devo cedere la proprietà a soggetti esterni alla mia famiglia o comunque a me non correlati;

7) Deve essere proibita la possibilità che io possa essere nominato Ministro della Salute.

Premesso che la legge Italiana sul CdI (L. 215/2004) consentirebbe, come noto, all’imprenditore di mantenere la proprietà dell’azienda, ma non la carica di amministratore delegato, la tabella seguente evidenzia i rimedi scelti dai 53 rispondenti.

Rimedio 1

Rimedio 2

Rimedio 3

Rimedio 4

Rimedio 5

Rimedio 6

Rimedio 7

0,0%

39,6%

5,7%

11,3%

1,9%

34,0%

13,2%

Il rimedio 2 (comunicazione all’autorità di vigilanza dell’interesse privato) è quello che ha trovato maggior consenso da parte del campione, seguito dai rimedi 6 (vendita della proprietà), 7 (proibire all’imprenditore di essere nominato ministro) e 4 (dimissioni da amministratore delegato). Nessuno, almeno in prima battuta, ritiene adeguato il rimedio 1 (autogestione del conflitto).

Ai soggetti che hanno scelto il rimedio 2 è stato poi chiesto di immedesimarsi nell’autorità di vigilanza e di scegliere uno tra gli altri rimedi previsti (cioè i rimedi 1 e dal 3 al 7). Di seguito le risposte:

Rimedio 1

Rimedio 3

Rimedio 4

Rimedio 5

Rimedio 6

Rimedio 7

3,8%

7,5%

15,1%

1,9%

7,5%

3,8%

È interessante notare che in questo caso il rimedio più utilizzato è il 4, seguito dal 6 e dal 3. Possiamo quindi affermare che circa metà del campione utilizzerebbe rimedi preventivi molto forti (rimedi 6 e 7), mentre l’altra metà, tollerando maggiormente il CdI, rimedi ben più leggeri.

I risultati evidenziati nelle tabelle e, soprattutto, il commento in aula del questionario hanno fatto emergere una serie di considerazioni:

1) gli individui valutano il CdI dell’imprenditore/potenziale ministro in modo diverso, in quanto diversi sono i rimedi che applicherebbero;

2) Alcuni ritengono ingiusto che un imprenditore debba vendere la proprietà nella sua impresa farmaceutica per poter diventare ministro della salute (sono quindi allineati con la nostra legge sul conflitto di interessi). Insomma, sembra che la correttezza nei confronti del singolo pesi più del rischio che la collettività si assume accettando un palese conflitto di interessi;

3) Una percentuale molto bassa del campione proibirebbe all’imprenditore di essere nominato ministro (rimedio 7). Dalla discussione in aula è emerso che chi ha scelto tale rimedio pensa che il ministro non possa non essere influenzato dal suo forte interesse privato, anche quando egli dichiari di essere obiettivo e indipendente nelle proprie scelte. Inoltre, alcuni sottolineano che l’interesse della collettività impone che il ministro non solo sia indipendente ma appaia indipendente; in altri termini, considerano rilevante non solo il conflitto di interessi reale, ma anche quello apparente;

4) Tra chi non ha scelto il rimedio 7, c’è chi afferma che proibire all’imprenditore di diventare ministro potrebbe essere un danno per la collettività, visto che nel questionario veniva sottolineato che l’imprenditore ha competenze rilevanti che possono essere messe a servizio del paese. Tuttavia, è opportuno considerare che è pressoché impossibile stabilire se e quando il ministro riceverà interferenze dal suo interesse privato (il conflitto di interessi offusca la competenza!), inoltre non può non essere richiamata la necessità di avere un ministro affidabile e credibile agli occhi di osservatori esterni. In altri termini, si dovrebbero minimizzare le condizioni che generano sospetto in coloro cui le decisioni sono indirizzate, a prescindere dall’influenza che l’interesse privato può aver avuto;

5) Alcuni ritengono che il CdI possa essere risolto con le dimissioni dalla carica di amministratore delegato, non considerando che il mantenimento della proprietà non fa cessare l’interesse privato agli utili che l’impresa è in grado di generare. E se un giorno il Ministro si trovasse nella situazione di dover decidere sulla necessità di acquistare un vaccino dall’impresa di cui è proprietario, trovandosi quindi da entrambi i lati della transazione come venditore e acquirente? È possibile pensare che tale scelta non determinerà alcun condizionamento?

6) chi sceglie il rimedio (5) dell’astensione dalle decisioni in CdI non considera che il tipo di interesse privato dell’imprenditore (la scelta dell’impresa farmaceutica per il potenziale ministro della salute non è casuale) amplifica la portata del conflitto (nel senso che si presenterà più volte nel suo processo decisionale, e quindi dovrà astenersi un numero eccessivo di volte) e quindi la portata delle conseguenze per la collettività. L’elevata portata del conflitto rende quindi inapplicabile il rimedio dell’astensione;

7) Coloro che hanno scelto il rimedio 6, ritengono che la vendita del patrimonio elimini definitivamente il CdI, senza considerare che l’interesse economico potrebbe essere la punta di un iceberg di altri interessi economici e non economici (soprattutto interessi relazionali) invisibili agli occhi degli osservatori esterni. Pertanto, anche la vendita del patrimonio non consente al ministro di apparire indipendente; non eliminando il conflitto apparente.

8) In generale, il campione non si considera che la credibilità del ministro si estende alle istituzioni che egli rappresenta.

In conclusione, non voglio arrivare a proporre una risposta su quale possa essere il rimedio da applicare alla situazione prospettata nel questionario. Non è però possibile negare l’elevata gravità del CdI dell’imprenditore e la necessità di utilizzare rimedi non leggeri per affrontarlo.

Emiliano Di Carlo 

I risultati del questionario e le discussioni avute in aula evidenziano un problema culturale: c’è ancora molta strada da fare per rendere visibile l’invisibile

4 comments

  1. Sandro Brunelli

    26/04/2012 @ 09:30

    Grandissimo Emiliano come sempre…
    il passaggio più interessante è quando viene giustamente sottolineato che “sembra che la correttezza nei confronti del singolo pesi più del rischio che la collettività si assume accettando un palese conflitto di interessi”… il punto è che quando decidi di metterti al servizio del paese devi stare al servizio del paese e basta… e invece no… è un pò come (e sempre Emiliano Di Carlo docet) il fenomeno dell’interlocking directorship che avviene nei grandi gruppi quotati: si fa la collezione di quante poltrone, più o meno prestigiose, si riescono a presiedere… ecco, io credo che in sistema fatto di corporazioni come l’Italia (ma anche fuori non vedo di molto meglio) la soluzione ottimale non c’è…ma una cosa su tutte va fatta, e ad ogni livello della PA ed è molto semplice, sta scritto nel titolo di questo articolo: rendere visibile l’invisibile – più che si può aggiungo io -.
    C’è chi ha voglia, interesse, competenze ed entusiasmo per portare avanti ciò…che ci venga – provo a mettermici dentro pure io nel mio piccolo- dato spazio per portare avanti queste idee…non servono rivoluzioni, servono freschezza e libertà da condizionamenti per portare avanti queste idee…
    Saluti!

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  2. Giorgio Zintu

    26/04/2012 @ 11:25

    Non è solo un problema “culturale”, è una questione morale. E’ bene dirlo.

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  3. A me pare che le risposte siano indicative di quanto avanzato sia il degrado culturale dei funzionari della pubblica amministrazione, che non potranno non aver risposto sotto il peso del timore reverenziale dato dalla sicurezza di trovarsi vertici politici in costante conflitto di interessi a condizionare pesantemente le loro carriere.
    Dal punto di vista giuridico andrebbero tutti bocciati: il conflitto di interesse (interesse personale diretto nella questione da trattare, per Costituzione e relativo giuramento, con imparzialità) sussiste per il solo fatto della proprietà propria e dei propri familiari (e prestanome). L’astensione di un ministro su un singolo affare è una buffonata: la sede deliberativa diretta (consiglio dei ministri o firma di un DM), infatti, è solo l’atto finale, la “esternazione” di un intero processo decisionale che l’intera struttura competente del ministero avrà svolto secondo un inevitabile pesante influenzamento del ministro-dominus delle carriere e delle posizioni dei dirigenti che istruiscono e gestiscono il caso. Insomma una foglia di fico.
    Come una foglia di fico è, in radice, dare per scontato che la professionalità acquisita nella gestione di un’impresa sia un oggettivo titolo di merito per gestire l’interesse pubblico di settore: il concetto di meritocrazia italiano è irreversibilmente disfunzionale (conoscere il mercatodei prodotti da acquistare, i costi e le tecniche finanziarie e di marketing per massimizzare i profitti, nulla dice sull’attitudine a gestire un’organizzazione pubblica orientata a massimizzare il ben diverso interesse della collettività, ma veramente nulla)…

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