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Chi salverà gli imprenditori?

Oggi vivono una mera lotta per la sopravvivenza, sia dell’impresa che personale. Perché sono ormai molti – troppi, maledizione! -  gli imprenditori italiani piccoli e grandi che schiantano di vergogna al pensiero di andar male, di non poter restituire i debiti, di dover licenziare le persone con cui hanno lavorato fianco a fianco per tutta la vita. Non riescono a trovare il coraggio di dirlo a nessuno, spesso nemmeno alle loro mogli, e allora avviano a vivere una vita di finzione durante la quale sprecano i loro ultimi risparmi per mostrare una prosperità perduta da tempo, e questa imitazione di vita dura finché durano i soldi, ma poi arriva il giorno in cui letteralmente non ce n’è più, e allora finiscono per perdersi d’animo, per disperare, si abbandonano a pensieri cupi e aggrovigliati dentro l’azienda muta e senz’ordini, e nel momento più nero, soli, si tolgono la vita. Per il lavoro.

Edoardo Nesi, scrittore, Le nostre vite senza ieri.

Ho finito di leggere un lavoro di 4 psicologi americani che lavorano in università di prestigio. Il titolo m’intrigava: “Class and Compassion: Socioeconomic Factors Predict Responses to Suffering”, “Classe sociale e compassione: fattori socioeconomici spiegano le reazioni alla sofferenza”.

Come reagiscono le persone meno abbienti di fronte a minacce? Con due tipi di possibili comportamenti. In alcune situazioni con una ostilità maggiore, in altre – quando un’altra persona sta soffrendo o è bisognosa – individui più poveri ma che sono, è così, più attenti all’ambiente circostante, si mostreranno più empatiche verso coloro che soffrono di quanto non farebbero persone più ricche.

In parte già lo sapevamo. Ci sono tanti studi che mostrano come i meno abbienti sono più generosi dei ricchi: i dati sulla beneficienza dimostrano che la proporzione di reddito donata è più alta tra i più poveri.

Ma qui non parliamo di generosità, ma di compassione, empatia, per chi soffre. Né di tristezza, né di ansia. Un sentimento “sociale” di vicinanza. Che può rivelarsi importante nei momenti di sconforto nelle organizzazioni, nelle comunità.

Ci interroghiamo oggi chi può aiutare gli imprenditori in difficoltà di fronte ad una politica che fa finta di commuoversi ma pare di fatto indifferente. Alcuni sottolineeano le organizzazioni di supporto (Terraferma è un buon esempio).

Eppure potrebbero proprio essere i lavoratori a diventare prima soccoritori e poi salvatori dell’Uomo in difficoltà chiamato imprenditore. Ci sta.

Come per George Bailey, ne La vita è meravigliosa di Frank Capra:

Quando arriva il finale e tutti cantano Auld Lang Syne mi rimetto a piangere come ogni volta, perché proprio non reggo – non ho mai retto, a dirla tutta – a vedere il mondo rimesso a posto e quell’esercito di allegri perdenti che corrono ad aiutare George Bailey perché si ricordano che lui ha fatto loro del bene, e ognuno di essi – anche la negra! si stupisce qualcunoè felice di depositare una parte dei propri risparmi in un cesto di vimini per salvare George e la sua banca.

Edoardo Nesi, imprenditore, Le nostre vite senza ieri.

 

 

4 comments

  1. Essendo stato dichiarato fallito nel 2004, mi sono attivato da allora con un blog per raccontare l’iter (da poco concluso) di un fallimento.Mi sono messo a disposizione per dare e ricevere consigli, scambiare pareri, dare e avere dritte. Posso dire che ho suggerito, nel caso dei commercianti, categoria cui ho fatto parte, di trovare il modo di consorziarsi per disporre di consigli legali, per trovare fondi di solidarietà affinchè le varie Equitalia e le stesse banche non fagocitino i beni ma, come scritto nell’articolo, la dignità delle persone.Prima che commercianti siamo persone, e ciò vale anche per l’ufficiale giudiziario senza cuore, per colui che quando chiedi pietà ti risponde “che è la legge, che lui applica il regolamento”. Ecco che pur sapendo che esistono, e mi hanno pure scritto, associazioni , non penso che sia disponibile una task force che permetta a chi lavora in proprio, quindi non solo ai commercianti, di vedere ridotto il numero di preoccupazioni già presenti nella propria esistenza. Per esperienza so che se sei preoccupato per la scadenza inps e non hai i soldi, spesso non pensi a vendere ma vai in banca per sapere se puoi sconfinare, o vai da chi pensi abbia denaro per chiedere un prestito: e ciò vale per tanti altri casi. Ora se ci fosse un modo per essere supportati, strategie commerciali a parte, forse si respirerebbe un po’ più di serenità. A me hanno distrutto la vita: mi sono spogliato per pagare gli stipendi , mi sono adoperato per trovare un altro lavoro ai dipendenti prima di licenziarli, e sto cercando di rientrare nel mondo dei vivi. Ho la coscienza a posto? Credo di sì.

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  2. Giuseppe Pizzino

    04/04/2012 @ 13:02

    “Vivere col nodo in gola, col capo chino per il peso dell’angoscia, smettere i sorrisi, sussultare ogni volta che arriva una lettera o una telefonata, perdere la fiducia e sentirsi umiliato perché la posizione è “debitoria” o c’è una “esposizione” eccessiva o perché si deve “rientrare”.
    E intanto le tue mani che hanno sempre lavorato si stringono in pugni sempre più deboli.
    Poi non ce la fai più. Per davvero…”

    Cordialità
    Giuseppe Pizzino

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  3. Giorgio Bolesan

    04/04/2012 @ 22:55

    Cordiale Prof. Piga,
    BASTA RETORICA!!!
    Che ne pensa dei commenti che precedono il mio?
    art. 18….. o 19, ecc.: bazzeccole!
    Io ho avuto il disonore, dopo aver dato lavoro per decenni a persone, con famiglia, senza aver il coraggio di licenziare, dati gli ultimi tempi di disastrosa
    contrazione del lavoro, di ricevere dai propri dipendenti la richiesta di “lettera di licenziamento”: tu, mio datore di lavoro hai difficoltà a pagarmi….. licenziami, così potrò avere “l’indennità di disoccupazione” e, in qualche modo, provvedere ai bisogni della mia famiglia. Non discutibile la richiesta………….
    Ma anch’io piccolo imprenditore, che 20 anni fa ho investito, ho lavorato, tre volte tanto i miei dipendenti, mi trovo nella situazione che:
    a) chiudo, perdo tutto, investimenti (il tfr non esiste!) e vado a casa, dove non avrò da mangiare per la mia famiglia e per me e presto sarò sfrattato, oppure
    b) continuo a tenere aperto (volevo scrivere “continuo l’attività”, ma non mi sembra appropriato) accumulando, però, debiti su debiti.
    Ecco questa è la mia situazone, come penso sia quella di moltissime microimprese italiane che davano lavoro a moltissimi soggetti familiari, con minori a carico. Da buon economista qual’è lei faccia le dovute proporzioni e considerazioni.
    Io non sono un economista ma penso che nonostante la pessima immagine subita dall’Italia dal precedente Governo (Berlusconi), la Lega è uscita solo recentemente con situazioni di “condotta italiana” ma penso possa influenzare meno l’opinione internazionale del suo ex alleato, abbiamo una considerazione molto positiva nella tecnologia, nel design, nell’enogastronomia, ecc. agli occhi della maggior parte del mondo.
    Sensibilizziamo le imprese all’internazionalizzazione. Sensibilizziamo i giovani allo studio delle lingue dei Paesi emergenti (soprattutto inglese).
    L’internazionalizzazione porterà occupazione e ricchezza (capacità di spesa e quindi di domanda necessaria alla produione).
    Aggredire i Paesi ricettivi con le nostre capacità produttive.
    Gli investimenti cinesi sono improbabili.
    Allettare, invece, le disponibilità di investimento nazionali. Anche forzatamente:
    hai un capitale superiore a x milioni €? Bene, il 50% o lo investi in industria, commercio, servizi, turismo, ecc. oppure lo paghi di imposta (destinata alla produttività).
    Altrimenti non ci resta che fondare il Partito per la Ridistribuzione della Ricchezza Nazionale.
    Auspicandomi un seppur breve commento la saluto molto cordialmente Prof. Piga.
    Giorgio Bolesan

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