Il mio amico e collega Stefano Manzocchi così scriveva ieri sul Sole 24 Ore:
Il perimetro dell’industria italiana si contrae, a motivo di un mercato interno regressivo compensato solo in parte dalla dinamica degli sbocchi all’estero: non inatteso ma comunque allarmante, questo riporta l’Istat su fatturato e ordini industriali a gennaio 2012. Beni strumentali ed intermedi sono le vittime principali della sfiducia diffusa tra gli imprenditori, che l’Istituto ha già fotografato nelle stime preliminari riferite al 2011 dove gli investimenti e le scorte segnano un calo molto significativo su base annua, e ancor più forte se consideriamo solo il secondo semestre. La sequenza è nota: la crisi finanziaria di agosto e settembre ha spaventato famiglie e imprese; le misure emergenziali del governo Monti hanno ridotto il potere d’acquisto e continueranno a farlo; la minor tensione sui titoli del Tesoro stenta a tradursi in maggior credito e maggior fiducia “reale”.
È possibile che tra pochi mesi si assista ad una inversione di tendenza, se gli acquisti di beni durevoli riprenderanno e con essi le scorte e gli investimenti. Il 2012 potrebbe chiudersi con un “meno uno virgola” come spera il Governo. Ma non si può escludere, invece, che si realizzino le previsioni che parlano di un “meno due virgola”, e allora il rischio di perdere molti altri pezzi significativi del patrimonio produttivo diventerà alto. Tre giorni fa, al convegno “Cambia Italia” è stato mostrato il grafico di come la crisi attuale stia scavando un solco più profondo della crisi del ’29 nell’economia italiana, a differenza di quella mondiale. La produzione industriale è quella che ne sta pagando le conseguenze peggiori. È lecito quindi chiedersi in cosa consisterà la nostra struttura produttiva una volta completato il deleveraging che gli analisti finanziari prevedono proseguire. Un indizio ci parla di un nucleo forte di imprese esportatrici, ma se questo non si espande non compensa né la debolezza del mercato interno, né le importazioni. Secondo indizio è che in futuro si produrrà con più “conoscenza” e meno “lavoro”, e che prima ci si adegua a questo paradigma meglio ci si posiziona per mantenere o conquistare le posizioni.
Che fare? I cantieri aperti delle riforme lavorano per il medio periodo, al netto del pur rilevante effetto sulle aspettative. La soluzione del problema dei crediti incagliati delle imprese è importante ma ha i suoi tempi, mentre la ripresa del flusso del credito bancario è decisiva ma rischia di scontrarsi con la debolezza della congiuntura. Le opere infrastrutturali procedono con troppa lentezza per dare sollievo in questa fase. Un segnale importante sarebbe dar corso alle richieste avanzate da questo giornale con il Manifesto per la cultura, e destinare qualche rilevante risorsa aggiuntiva per l’istruzione e la cultura. Si può forse utilizzare il quadro della strategia Europa 2020 per negoziare conla Commissione un piano straordinario di edilizia e di informatizzazione scolastica, magari lasciando che i Comuni fiscalmente più virtuosi partano prima e utilizzando al Mezzogiorno i fondi europei mal e poco spesi. Altrettanto importante sarebbe il segnale di una serie di interventi straordinari sulle porzioni più malandate del nostro patrimonio archeologico, architettonico e naturale, con un potenziale impatto di volano per il turismo. A tal fine si potrebbero destinare sin da ora i proventi futuri di altre dismissioni immobiliari pubbliche.
Per la ripresa degli investimenti privati nel nostro Paese, italiani ed esteri, sarebbe poi auspicabile un decreto che attribuisca al Ministero dello Sviluppo, opportunamente riorganizzato per agenzie e non coi vecchi e consunti Dipartimenti, un potere di “facilitazione” che consenta di superare gli ostacoli burocratici e amministrativi che ne impediscono la realizzazione. Una sorta di decreto “Investi in Italia” che utilizzi tutta la leva concessa al Ministero anche nei confronti delle Regioni dal Titolo V della Costituzione, e consenta a chi vuole scommettere sul futuro produttivo del nostro Paese di farlo e non scappare dopo il primo round di incontri coi “funzionari”.