La Pubblica Amministrazione non deve andare in pensione

Ieri sul Sole 24 Ore con Antonio Naddeo

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La pubblica amministrazione italiana sta affrontando una transizione demografica senza precedenti: dei 3.738.171 (fonte INPS) dipendenti pubblici attualmente in servizio, circa 1,2 milioni lasceranno il servizio entro il 2034, configurando un turnover del 32% concentrato in un arco temporale estremamente ristretto. E’ una sfida che merita da subito la più alta forma di attenzione programmatica da parte del Governo.
Questa transizione non rappresenta infatti solo una sfida quantitativa di rimpiazzo del personale, ma solleva questioni fondamentali sulla preservazione del capitale cognitivo accumulato, sulla trasmissione della conoscenza tacita e procedurale, e sulla capacità del sistema di mantenere gli standard di efficienza ed efficacia durante una fase di ricambio generazionale così intensa.
Quando un dipendente con 30-35 anni di esperienza lascia il servizio, non porta via solo se stesso: porta via reti di relazioni, procedure non codificate, memoria storica delle decisioni, capacità di leggere contesti complessi. Uno studio dell’INAPP stima che il 42% delle competenze critiche nella PA italiana sia detenuto da personale che andrà in pensione entro i prossimi 5-7 anni. Ancora più preoccupante: solo il 18% di queste competenze è oggetto di trasferimento strutturato attraverso programmi di knowledge management o mentoring.
Di fronte a questo scenario, le risposte di policy appaiono inadeguate. Il turnover – per anni bloccato o limitato al 25-50% dai folli anni dell’austerità – ha creato un tappo generazionale che ora esplode. Le procedure concorsuali, pur digitalizzate e accelerate (dai 500 giorni medi del 2019 ai 120 attuali), faticano ad attrarre talenti. Il differenziale retributivo con il settore privato – mediamente del 20-30% per profili specializzati – rende la PA poco competitiva proprio sui profili più necessari: data scientist, esperti di cybersecurity, project e procurement officers.
La vera sfida non è solo quantitativa ma qualitativa. Non si tratta semplicemente di sostituire chi se ne va, ma di ripensare il modello organizzativo della PA in un contesto radicalmente mutato. L’intelligenza artificiale, i big data, la blockchain stanno ridefinendo il perimetro stesso dell’azione amministrativa. La domanda non è se la pubblica amministrazione italiana sopravviverà a questa transizione – sopravviverà certamente. La domanda è in che forma emergerà dall’altro lato: come un’organizzazione rinnovata capace di creare valore pubblico o come una struttura depauperata delle sue competenze chiave, costretta a rincorrere emergenze continue?
La risposta a questa domanda tuttavia non deve essere lasciata al caso o peggio, al continuare a sostenere processi di austerità che deprimono il Pil del Paese e la sua produttività: non esiste infatti, in nessuna parte del mondo, un settore privato dinamico e competitivo senza avere accanto una pubblica amministrazione scintillante. Si dovrà dunque entrare nell’ordine delle idee che questa c.d. spesa corrente per stipendi è piuttosto una spesa in conto capitale, capitale umano che, se ben effettuata, avrà ampi rendimenti futuri che permetteranno di più che recuperare lo sforzo iniziale. Andranno dunque, almeno per i profili critici, messe da parte risorse specifiche per colmare il gap salariale all’ingresso con il settore privato, assumendo, con modalità innovative, giovani non solo sulla base del titolo di studio e di prove scritte ma anche delle loro attitudini e soft skills. Essenziale sarà il coordinamento con scuole e università, identificando assieme quei settori strategici che avranno bisogno di nuovi e innovativi meccanismi di carriera, anche riservati per singola competenza (per esempio procurement, cybersicurezza, green officers), dedicando loro percorsi formativi con sbocco diretto nella P.A. e prevedendo anche massicci investimenti in formazione continua di qualità in presenza e non meramente on-line, con ridisegno dei processi in chiave digitale preservando la memoria organizzativa, tramite programmi strutturati di knowledge transfer.
Serve dunque un cambio di paradigma: considerare il ricambio generazionale non come un problema da gestire ma come l’opportunità – forse l’ultima – per costruire una PA capace di rispondere alle sfide del XXI secolo. Una PA dove esperienza dei senior e energia dei giovani si integrino in un modello organizzativo che superi la dicotomia tra conservazione e innovazione. E’ questa la vera spending review, la madre di tutte le riforme, che il Paese si merita sia immaginata per reimpossessarci del nostro futuro.

Opera: “Rebus Pascali”. Copyright opere Angela Maria Piga, all rights reserved.

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