Perché è necessario compensare la stretta sull’ecobonus

Mio articolo martedì 14 marzo sul Sole 24 ore.

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         Cosa è esattamente cambiato in queste ultime settimane, nell’economia italiana e alle sue prospettive di crescita, a causa delle modifiche avvenute sia al regime europeo di contabilità pubblica che alla normativa riguardanti ambedue l’ecobonus? Poco e tanto, ma è bene capire dove, come e quando.

         Grande risalto è stato dato al cambiamento (richiesto da Eurostat) di contabilizzazione dell’ecobonus, che ha avuto come conseguenza una modifica della misurazione, nel trascorso triennio (2020-2022), dei rapporti indebitamento pubblico-PIL. Questi sono stati modificati al rialzo per ciascuno degli anni, rispettivamente di 0,2%, 1,8% e 2,4% di PIL (per un totale di 4,4%, più di 80 miliardi di euro). Eppure qualsiasi giudizio avessimo avuto solo un mese fa sulla performance economica e sulla stabilità del Paese (così come misurate, rispettivamente, dalla crescita del PIL e dalla variazione del rapporto debito-PIL) non dovremmo alterarlo alla luce degli effetti di questa modifica contabile. E questo è dovuto al fatto che ai maggiori deficit dello scorso triennio dovremo obbligatoriamente registrare analoghi minori deficit (di circa proprio il 4,4% di PIL) rispetto a quelli previsti prima della riforma contabile, così da mantenere immutato a fine periodo il rapporto debito su PIL. Insomma, malgrado la dimensione notevole di queste cifre, nell’economia italiana poco cambia: è come cambiare il nome ad un file il cui contenuto rimane lo stesso.

         Qualcuno potrebbe argomentare che per il Governo Meloni, che parrebbe dunque “beneficiare” per il futuro di deficit pubblici minori di quelli negoziati a fine 2022 con l’Unione europea (prima dunque di questa recente riforma contabile), si creerebbero nuovi spazi fiscali con la possibilità di “spendere” maggiormente. In realtà questa opzione è da escludere: si deve infatti realisticamente supporre che quello che il Governo in carica ha veramente negoziato è un “certo” livello di medio periodo nel rapporto debito pubblico-PIL. E, data la nota fissazione delle autorità europee sul contenimento del livello del rapporto debito-PIL italiano, visto che qualsiasi aumento ulteriore della spesa pubblica (di qualsiasi tipo) o di riduzione di entrate comporterebbe un aumento proprio del debito-PIL, non c’è dubbio che questa opzione non sarebbe mai autorizzata da Bruxelles.

         Ora tuttavia in questo scenario qualcosa di invece rilevante per la nostra economia è avvenuto, che nulla ha a che vedere (come ha fatto anche notare Leonzio Rizzo su lavoce.info) con il cambio di regole contabili europee ma che ha piuttosto a che fare con la decisione del Governo Meloni di rivedere – di fatto riducendola – l’accettabilità delle cessioni del credito d’imposta legate all’ecobonus. In tal modo, tutta una serie di entità (cittadini, condominii, imprese) potrebbero trovare non più conveniente proseguire con i lavori. E’ questo che dunque spiega le forti rimostranze del settore delle costruzioni: un impatto reale certamente le imprese associate lo andranno a conoscere e non sarà un impatto positivo.

         Quello che qui interessa tuttavia rimarcare è che una tale misura, questa sì, modifica il percorso del debito pubblico-PIL negoziato con l’Unione europea a fine 2022 e messo a terra con la legge finanziaria. In che direzione? In assenza di manovre compensative di altre maggiori spese o minori imposte, il rapporto debito-PIL calerà ulteriormente rispetto a quanto previsto dalle prime determinazioni ufficiali del Governo (NADEF 2022) e questo per il tramite, appunto, della riduzione della possibilità di cessione del credito d’imposta da ecobonus.

         Tanto si è dibattuto sullo scarso moltiplicatore e impatto di questa misura dell’ecobonus e dunque nulla osta che il Governo – senza modificare il percorso di debito stabilito a fine 2022 con l’UE e alla luce delle proprie valutazioni proprio sull’efficacia dell’ecobonus – trovi altre misure espansive che sostituiscano il bonus: magari ulteriori investimenti pubblici che sostengano il settore delle costruzioni e diano lavoro alle classi meno abbienti del Paese. Tuttavia queste misure espansive alternative a compensare per la mancanza introdotta della cedibilità dell’ecobonus non appaiono all’orizzonte.

Se avevamo dunque, su queste pagine, fatto notare al momento dell’uscita della NADEF del nuovo Governo, a fine 2022, che non era appropriato – in una situazione economica così difficile – abbassare il deficit dal 5,6% al 4,5% del PIL per il tramite del congelamento nominale di stipendi pubblici e acquisti di beni e servizi in un momento di alta inflazione, ci troviamo ora a rimarcare come questa riduzione ulteriore della spesa (ultronea rispetto a quanto negoziato con l’UE da questo Governo) non può fare altro che indebolire ulteriormente l’economia del nostro paese, aumentandone in parallelo l’instabilità. E’ auspicabile che il Governo intervenga per rimediare a una tale mancata compensazione espansiva, per evitare di essere tacciato di ulteriore austerità distruttiva del Paese.

Opera: “Sole domestico a Cuglieri”. Copyright opere Angela Maria Piga, all rights reserved.

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