Quel 60% che chiede nuove regole europee, lo si rappresenti

Oggi su il manifesto

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Nel 2018 gli italiani mandarono col loro voto in Parlamento 944 senatori e deputati. Il 60% di loro apparteneva a tre partiti (5 Stelle, Lega, Fratelli d’Italia) che esprimevano uno spiccato dissenso verso le politiche economiche dettate dall’Europa. Nel 2013, alle precedenti elezioni, questa percentuale arrivava a mala pena al 22,5%. Nei sondaggi odierni siamo posizionati, aggiungendo i sovranisti di Italexit ed i verdi-sinistra italiana distanziatisi dall’agenda Draghi, al 57% in media.

La vera anomalia è dunque questa: in dieci anni un Paese sicuramente europeista sul fronte economico come il nostro è divenuto fortemente scettico delle politiche economiche imposteci da Bruxelles. Che si vada consolidando questa maggioranza anti-europeista – malgrado l’approvazione del PNRR – indica che stiamo sbagliando qualcosa nel gestire (dall’interno e da Bruxelles) l’economia italiana e che il PNRR non si è rivelato sufficiente a rimediare a questi errori.

Il 2013 segnò il consolidarsi dell’austerità del Fiscal Compact, ormai da tutti (anche dal conservatore Fiscal Board europeo!), considerata un errore sado-masochistico. Il voto del 2018 diede un segnale chiarissimo che le politiche europee dell’austerità non erano ritenute tollerabili per l’Italia. Se oggi quelle maggioranze dissenzienti non sono mutate nella loro dimensione complessiva, anche se si sono profondamente ricomposte al loro interno, vuol dire che tale percezione non è mutata.

Ed è evidente perché sia così. Il PNRR ha reintrodotto un meccanismo austero analogo al Fiscal Compact, di rientro rapido del deficit sul PIL a valori stringenti, obbligando tutti i vari governi ad adeguarvisi: chi più (Draghi) e chi poco meno (Conte 2). Queste politiche hanno generato una crescita ancora oggi insufficiente rispetto a quella dei nostri partner dell’euro e una crescente insoddisfazione che si riflette nelle attuali intenzioni di voto.

Questi due governi hanno cercato in tutti i modi di far diventare il minoritario 40% dei voti “pro-Europa” prima maggioranza assoluta (con il tentativo del PD di aggregare e moderare i 5 stelle) e poi coalizione quasi unanime nel Paese: tentativi tutti finiti male. L’ultimo tentativo del PD, quello di alleare Azione con Sinistra Italiana e Verdi, ha conosciuto una morte ancor più rapida, mostrando chiaramente i limiti di esercizi strategici di questo tipo in mancanza di una base elettorale maggioritaria e veramente coesa in termini di agenda economica.

Che fare? Abbiamo poche alternative, riassunte dal c.d. “trilemma dell’austerità”, che afferma quanto segue: non si possono avere simultaneamente austerità (la perdita di possibilità di utilizzare la politica fiscale con maggiore domanda pubblica per contrastare shock avversi e aiutare i più deboli), democrazia e una valuta comune con conseguente permanenza in Europa. Dobbiamo scegliere due tra i tre. Ed ecco perché.

Con austerità e valuta unica non si può avere democrazia. Le troike di Fondo Monetario Internazionale e Commissione europea comandano, come hanno fatto in Grecia. In Italia assistiamo a meccanismi tecnocratici o artificiosi che cercano di prevaricare la volontà della maggioranza pur di avere politiche austere.

Con austerità e democrazia non si può avere l’euro: in quegli stati dove vi sono popolazioni sofferenti e non aiutate a causa dell’austerità, dall’euro se ne esce di certo con voto di maggioranza in un referendum. Il rischio che corrono Italia ed Unione europea (Ue) se continueranno a non rappresentare la volontà dell’elettorato di sbarazzarsi dell’austerità è questo: la fine dell’Italia nell’Ue e dunque la fine dell’Ue.

Infine, con democrazia e una valuta unica non si può avere austerità ma, quando necessario, una politica fiscale espansiva per tutelare occupazione e assicurare la solidarietà – e dunque l’unione – nell’Unione: la democrazia richiede che si ascolti l’urlo di dolore di chi soffre e vi si reagisca.

Praticare la fine dell’austerità non è un appello a consegnarsi alle destre, tutt’altro. Una sinistra vera che abbia a cuore l’Europa dovrebbe essere l’alveo naturale da cui dovrebbe partire questo spirito di New Deal del XXI secolo dove investimenti pubblici in deficit, sostenuti da una Pubblica Amministrazione di qualità, generano finalmente ripresa e dunque abbattimento del rapporto debito-PIL via crescita. Sarebbe una sinistra capace di salvare l’Italia e l’Europa, non di metterle a rischio come sono oggi.

Un Roosevelt dunque cercasi.

“Tacita Muta”, Copyright opere Angela Maria Piga, all rights reserved.

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