Quel Paese malconcio merita altro

Oggi sul Sole 24 Ore con Arrigo Sadun

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Esattamente 45 anni fa usciva nelle sale cinematografiche “I nuovi mostri”, un film ad episodi interpretati da alcuni dei più grandi attori italiani. Uno degli episodi – “Il Malconcio” – racconta le peripezie di un rampollo dell’aristocrazia romana (uno strepitoso Alberto Sordi) che tenta di soccorrere la vittima di un pirata della strada lasciato in fin di vita in una Roma notturna deserta ed indifferente alla tragedia. Gli sforzi del volenteroso e svagato sammaritano di ricoverare il Malcapitato in vari ospedali sono frustrati dal burocratico diniego di soccorso in un infinito rimpallo di responsabilità ed indifferenza.

Il Malconcio descrive con cinico realismo le disfunzioni di una società attraversata da una profonda crisi d’identità dopo il prorompente sviluppo degli anni sessanta a base di investimenti pubblici. Il disorientamento di larghi strati sociali generava una perenne instabilità politica; la mancanza di coesione nazionale e le carenze della classe dirigente impedivano al Paese di adottare efficaci strategie di sviluppo per rinnovare le proprie strutture.

Rispolveriamo “Il Malconcio” dalle sue teche perché ci appare – anche ma non esclusivamente alla luce della drammatica crisi di governo – una calzante metafora delle disfunzioni della società italiana odierna e del rifiuto di accettare le responsabilità della sua classe dirigente. Le attuali convulsioni della politica, che minacciano l’opera di risanamento che il PNRR ci permette almeno potenzialmente, sono l’ennesima prova di queste carenze. Tutti i tentativi per curare i mali profondi dell’economia italiana sono falliti. L’ entrata dell’Italia nell’euro le ha garantito una provvidenziale stabilità finanziaria, ma l’occasione non è stata sfruttata per ristrutturare l’economia. Oggi produciamo poco più del 13% del PIL dell’area dell’euro contro il 20% di quando vi entrammo.

La Grande Recessione del 2008 è stata un’altra occasione perduta per modernizzare il Paese. La crisi è stata arginata al prezzo di un prolungato periodo di eccessiva austerità fiscale che ha ulteriormente debilitato l’economia ed imposto gravosi sacrifici soprattutto alle categorie sociali più fragili. Il diffuso disagio nel Paese ha alimentato un’ulteriore perduta di fiducia nella classe dirigenti generando pericolosi fermenti di rigetto del progetto d’ integrazione europea. Più recentemente gli impatti della pandemia COVID ed il conflitto in Ucraina hanno assestato altri shock ad un’economia strutturalmente fragile e particolarmente vulnerabile.

Proprio la crisi provocata dalla pandemia ha finalmente convinto i partner europei a lanciare un ambizioso progetto per rilanciare le economie continentali nell’era post-COVID ed accelerare la transizione ecologica. Purtroppo sembra che l’Italia abbia gravi difficoltà a cogliere anche quest’ultima occasione di rinnovamento. Il PNRR sta incontrando prevedibili difficoltà di realizzazione: il Ministro Franco ha confermato che a fine 2021 solo un terzo dei fondi preventivati sono stati spesi (e non conosciamo ancora come!), a conferma che la pubblica amministrazione italiana non appare in grado di assolvere il compito affidatole.  Per contro la politica fiscale italiana rimane restrittiva, come richiesto dall’Europa per i paesi ad alto debito-PIL, imponendo al nostro Paese tagli di risorse (e rientri di deficit) che avrebbero avuto ben altri effetti se dedicati ad ulteriori investimenti pubblici, compresi quelli in capitale umano con l’immissione nelle nostre stazioni appaltanti di personale giovane, competente, da professionalizzare ulteriormente sul campo, ben remunerato.   

La Commissione europea stima che nel periodo 2020 al 2023 l’Italia sarà lo stato membro col più basso tasso di crescita dell’area euro: l’ 1,4%, cioè la metà della media europea. Alla fine del periodo l’Italia avrà dunque a malapena recuperato i livelli pre-Covid. Neanche il PNRR sembra in grado di assicurare una soddisfacente crescita economica. Anche lo spread pare averne preso atto, ritornando ai livelli di pre-PNRR anche prima della caduta del Governo Draghi.

Come se non bastassero questi sconcertanti risultati, minacciose nubi si stanno addensando sull’ economia internazionale. Probabilmente gli Stati Uniti sono già entrati in una fase di recessione che rischia di trasformarsi in un prolungato periodo di stagflazione. In Cina la gestione della pandemia ha imposto severe restrizioni alle attività economiche ed il Paese stenta a ritrovare un ritmo di crescita sostenuto. La Banca Mondiale ed altre istituzioni internazionali hanno lanciato preoccupanti segnali di allarme sulle prospettive dell’economia globale nel breve e medio-periodo.

La storia del Malconcio si concludeva con una tragica e prevedibile fine. Il cavaliere bianco, Gian Maria Catalan Belmonte, rinuncia alla sua generosa quanto ingenua missione di salvataggio e riporta la vittima esattamente dove l’aveva trovata. Nel congedarsi dall’ormai agonizzante Malconcio, il nobiluomo offre un’ultima cinica consolazione; dopotutto forse è meglio cosi, perché un eventuale ricovero ospedaliero probabilmente lo avrebbe esposto a rischi ancora maggiori.

E qui vorremmo abbandonare la nostra metafora. Le dimissioni del Premier Draghi rappresentano una ulteriore occasione perduta per affrontare in maniera decisiva i malanni cronici dell’economia italiana; eppure è necessario insistere per trovare una via di uscita. L’ alternativa non è soltanto il prolungamento della stagnazione economica ma il rischio di una pericolosa involuzione che ci allontanerebbe ulteriormente dal resto dell’Europa. La prossima campagna elettorale dovrebbe essere l’occasione per proporre una strategia di sviluppo basata sulla ripresa degli investimenti (soprattutto quelli pubblici), sulla riqualificazione di una burocrazia che soffoca il naturale dinamismo degli imprenditori italiani e sul ricambio generazionale. Insomma i tentativi di salvare il Malconcio devono continuare.

Opera di Angela Maria Piga, Il mezzo salvato.

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