“I politici – me compresa – avrebbero dovuto impegnarsi più duramente per ottenere il consenso del pubblico sulla manovra espansiva… E’ più di una mera questione di pubbliche relazioni. Le misure volte a restaurare la ripresa funzionano meglio quando ridanno fiducia – come ben capì Franklin D. Roosevelt nel New Deal degli anni trenta. Le sue trasmissioni radiofoniche alla nazione davanti al caminetto (fireside chats) ed il suo discorso d’investitura, dove proclamò che avrebbe combattuto la Grande Depressione con la stessa determinazione che avrebbe adottato per sconfiggere un nemico invasore, miravano a rassicurare gli americani. Ricerca economica recente suggerisce come i programmi del New Deal di fatto potrebbero avere avuto il loro maggiore impatto sull’economia influenzando le aspettative dei consumatori e delle imprese sul futuro corso della crescita e dell’inflazione … e a causa anche del nostro imperfetto modo di comunicare il Recovery Act obamiano ha generato solo una minima ripresa di fiducia. Di conseguenza non ha avuto quell’extra spinta (“kick”) rooseveltiana”.
Christina Romer, Advisor di Obama.
“A Berlino e Bruxelles pochi hanno capito che senza fiducia non si può agire sugli aspetti capillari del male che da vent’anni impedisce all’Italia di crescere. Ma senza fatti, anche la fiducia dopo un po’ si erode”.
Federico Fubini, oggi su Repubblica
“Il nostro Governo, nelle ultime settimane, ha lanciato una campagna, spesso contradditoria nel messaggio e nella comunicazione, per ottenere maggiore flessibilità nell’interpretazione del Patto di Stabilità. Finora questa campagna non ha portato grandi risultati e potrebbe rivelarsi controproducente”
Lucrezia Reichlin, oggi sul Corriere della Sera
“Il crescente nervosismo del premier si scarica nel rapporto sempre più teso con le strutture di Via XX Settembre, dove, ritiene, ci sia un manipolo di sabotatori che … mette zeppe al suo piano”.
Francesco Verderami, oggi sul Corriere della Sera
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Questa crisi non se ne va, semplicemente perché non la facciamo andare via. Non la scacciamo perché non sappiamo combattere i suoi fantasmi.
Questa, cari signori, è una crisi da domanda, se lo mettano in testa i riformisti che chiedono non meglio specificate riforme a tutto spiano. I consumi delle famiglie crollano, non si utilizzano addirittura più i risparmi per attutire l’impatto dei minori redditi, così come gli investimenti delle imprese, perché non c’è fiducia nel futuro.
E la fiducia si nutre di ottimismo. E questo a sua volta si esalta con la coerenza e la forza comunicativa di chi ha il bastone del comando, lo sa qualsiasi grande generale. Come insegna il grande operato di Franklin Delano Roosevelt descritto da Christina Romer.
Non c’è forza né coerenza della comunicazione da nessuna parte in Europa. Non ce n’è a Francoforte, dove Draghi sostiene che farà tutto quanto è necessario e in realtà non solo fa molto meno del necessario (l’inflazione dell’area euro è ben al di sotto del 2% previsto dal mandato per la BCE) ma soprattutto condiziona da sempre il suo aiuto a maggiore consolidamento fiscale (austerità) dei Governi dei Paesi in difficoltà; con una mano promettendo l’aiuto, con l’altra promettendo al contempo di toglierlo. Come pensare che le imprese italiane vadano in banca a chiedere un prestito se sanno che l’attività economica non sarà stimolata da maggiore domanda pubblica in assenza di quella privata? Che razza di messaggio di politica economica è questo?
Non c’è poi alcuna forza né coerenza della comunicazione in Europa per definizione, perché la Commissione europea è un branco di tecnici incapaci di parlare alla gente (in fondo non è il loro mestiere) e perché 27 leader politici non possono esprimere un messaggio forte, mediando come fanno le posizioni ampiamente eterogenee di ognuno.
Ma non c’è forza né coerenza, e questa è la novità forse di questi giorni, nella politica economica italiana. Come non rimanere strabiliati di fronte allo sforzo sovrumano (e da molti, come la Reichlin, criticato) del Premier Renzi di cercare di svegliare l’Europa dal suo torpore di ottusa austerità, e le parole solo pochi giorni dopo del suo Ministro più importante, Padoan, che al termine dell’incontro europeo con i suoi colleghi esclama come “consolidamento fiscale (cioè austerità) e riforme sono due facce (positive) della stessa medaglia”? Non posso pensare che Renzi e Padoan si siano messi d’accordo per fare, il primo, il Buono e, il secondo, il Cattivo. E se lo hanno fatto, beh, ne esce fuori una sola figura: quella del Brutto, quello che manda un messaggio ambiguo ed incomprensibile, che non fa certo bene alla fiducia ed all’ottimismo di famiglie e imprenditori.
Ma anche Renzi deve decidersi: per influenzare con decisione gli umori del Paese in bene, deve dare una coerenza nella sua politica economica e non limitarsi a parlar male dell’Europa. Gli crederemmo tutti di più, in Europa e qui a casa, se avviasse con determinazione la spending review che trova gli sprechi e che non taglia la spesa pubblica a casaccio. Perché, parliamoci chiaro, se a settembre con la legge di stabilità taglierà di 20 miliardi la spesa a casaccio, siamo finiti, e lui con noi, ovviamente.
Quello che va fatto è “semplice” e lo ha detto bene Roberto Perotti l’altro giorno sul Sole: fregarsene delle multe minacciate dall’Europa, svelandone il bluff, e rimanere col deficit incollato al 3% del PIL senza portarlo come chiede l’Europa all’1% nel 2016, e avviare, senza tagli folli e lineari ma con grande calma e instancabile precisione, l’individuazione di tutti gli sprechi là dove albergano massimamente, ovvero negli appalti pubblici. Un processo lungo e impegnativo, ma decisivo.
Come usare queste risorse? Perotti propone nella riduzione della tasse, io credo che si debbano fare investimenti pubblici. Renzi potrà fare il giusto mix. A quel punto gli italiani lo seguiranno con convinzione, l’Europa non potrà dire nulla, famiglie ed imprese torneranno a domandare, i mercati ci ridaranno fiducia abbattendo lo spread e, forse, a quel punto, anche Draghi potrà aiutarci come deve, senza se e senza ma.
13/07/2014 @ 08:56
“famiglie ed imprese torneranno a domandare”… prodotti esteri. Con risultati che conosciamo fin troppo bene.
Il brutto (che purtroppo è morto da pochi giorni, RIP) finisce il film in bilico su una croce di legno con il cappio al collo. Ma qui non c’è il buono che spara per spezzare la corda.
13/07/2014 @ 19:44
E se poi il brutto non fosse tanto brutto?
13/07/2014 @ 20:43
Sono d’accordo con Perotti nella necessita di fregarsene per diversi motivi. Il primo perché è la strada giusta per cercare di uscire ( anche se senza uscire dall’euro i problemi si ripresenteranno perché veri stati uniti di Europa la Germania mai lo accetterà). Secondo perché occorre mandare un segnale a Bruxelles: l’Italia è una grande nazione e nessuno deve bacchettarci come se fossimo scolaretti. Terzo perché occorre imporre una sterzata al bus guidato da una Europa del nord che non sa guidarlo.
17/07/2014 @ 08:56
sono stanco di sentire è ripetere le stesse cose. se non capiamo che siamo nel 2014. e la guerra è finita da quasi 70 anni non andiamo da nessuna parte. anzi sarebbe il caso di dire ci vorrebbe un’altra guerra? non finanziaria come siamo ora. tutto il resto sono quisquiglie parafrasando il grande Totò. tutti a chiacchiere hanno le soluzioni in tasca. ma quando si tratta di agire si comincia sempre dagli altri. per favore. lasciateci morire in pace, tanto nel momento del bisogno si è soli: