Conosco Lorenzo Bini Smaghi da anni e apprezzo il suo europeismo. La sua difesa del Fiscal Compact pubblicata da Formiche (testo in corsivo qui sotto) è utile per chiarire le diverse posizioni. La mia convinzione è radicalmente diversa dalla sua: l’Europa si salverà se saprà fare una serie di passi non più rinviabili; tra questi (non vi è l’uscita dall’euro) la morte dello scellerato Fiscal Compact è uno dei più essenziali.
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La fallacia dello sforzo che va a sparire
1.Il Fiscal Compact stabilisce che ogni anno il debito deve essere ridotto di 1/20 della distanza tra il livello del debito e il 60%. Quando il debito è al 130%, il ritmo di riduzione del rapporto debito/Pil è di 3,5 punti, ossia (130-70)/20, ma quando il debito scende al 110% del Prodotto la riduzione annua richiesta cala al 2,5%, ossia (110-60)/20. Nel caso di una crescita del Pil nominale del 2,8%, come sopra, non c’è più bisogno di un saldo di bilancio in pareggio per raggiungere l’obiettivo ma basta anche un disavanzo dello 0,5%. In sintesi, l’aggiustamento richiesto per soddisfare il Fiscal Compact, in termini di saldo di bilancio, avviene soprattutto all’inizio del processo. Una volta raggiunto il saldo primario necessario, basta mantenerlo immutato per continuare a soddisfare il requisito della riduzione del debito. Dopo qualche anno è addirittura possibile allentare lo sforzo.
Argomento interessante quanto errato. Senza entrare per ora nel merito se lo sforzo richiesto dal Fiscal Compact sia utile o meno al Paese, quello che va puntualizzato è che il Fiscal Compact richiede uno sforzo e soprattutto che questo sforzo non “sparisce” dopo il primo anno in cui si fa quanto richiesto. Se al primo anno esso richiede di alzare le tasse e diminuire le spese di “X”, non è che al secondo anno il mantenere le tasse al nuovo, più alto, livello, o le spese al nuovo, più basso, livello, non implica un eguale sacrificio. “Basta mantenerlo immutato” non è per niente facile.
La fallacia della crescita (e dell’inflazione) che non c’è
2. Una obiezione che viene spesso avanzata è che non è facile ridurre il rapporto debito/Pil del 3,5% all’anno, soprattutto quando la crescita è bassa. Ma se la crescita dell’economia reale è più elevata di 1 punto (1,8% reale e 2% d’inflazione), il surplus primario necessario per raggiungere l’obiettivo è solo del 4,7%. In altre parole, più alta è la crescita, minore è lo sforzo necessario per raggiungere l’obiettivo del Fiscal Compact.
1.8 di crescita reale? Oggi siamo allo 0,6%. 2% d’inflazione? Oggi siamo allo 0,5%. Ben lontani da quelle soglie indicate d Bini Smaghi (e da Visco), ragione per cui il Fiscal Compact ci deve terrorizzare per lo sforzo che richiede (e ragion per cui, come vedremo sotto, Renzi e Padoan chiedono avanzi primari del … 6% del PIL). C’è di più tuttavia: “più alta è la crescita minore lo sforzo”, fa sembrare che la crescita caschi dal cielo e non dipenda anche dall’impatto che le attuali restrizioni di bilancio richieste dal Fiscal Compact generano sulla crescita futura. Ma la disoccupazione giovanile che si trasforma in scoraggiamento, la crescente evasione verso il settore in nero e la criminalità organizzata di persone ed imprese, la fuga dei cervelli all’estero perché non c’è lavoro, la chiusura di tante piccole imprese che non torneranno più sono tutti effetti di lungo periodo del Fiscal Compact e di questa austerità, che fanno sì che più cerchiamo di raggiungere l’obiettivo del Fiscal Compact più aumenta lo sforzo necessario per raggiungerlo perché la nostra economia cresce di meno nel lungo periodo, inviluppandoci in un mostruoso circolo vizioso.
La fallacia dello sconto dovuto al ciclo economico
3. Il Fiscal Compact tiene comunque conto del fatto che quando il ciclo economico è negativo diventa controproducente cercare a tutti i costi di ridurre il debito a un ritmo di 1/20 del divario rispetto al 60%. È prevista pertanto una procedura per esaminare i motivi per cui un paese non riesce a ridurre il debito come previsto, che prende in considerazione l’impatto di effetti specifici, come i contributi al Fondo salva Stati e il ciclo economico negativo. Se il paese è in recessione o il suo livello di reddito è inferiore al potenziale, il vincolo non riguarda più il ritmo di riduzione del debito ma il raggiungimento di un saldo di bilancio corretto per gli effetti del ciclo economico inferiore allo 0,5% del Pil. Se tale saldo viene mantenuto immutato quando l’economia riprende a crescere, il bilancio nominale migliora e il debito si riduce in linea con i requisiti del Fiscal Compact.
In realtà è vero che se l’economia va male “si deve fare di meno” quanto a sforzo, che ci fanno “uno sconto” di austerità. Il che non ci libera dalla follia del Compact che appena le cose migliorano un po’ bisogna tornare a farci del male, ripiombando nell’oscurità degli sconti. E’ un po’ come dire che ci si tiene in vita comatosi ed al primo segno di guarigione ci si rimanda immediatamente in coma.
Ma anche qui il tema è un altro. Qual è il livello di avanzo primario che ci si chiede “quando il ciclo va male” come oggi? I dati del DEF sono chiari al riguardo: un avanzo primario del 6%, esattamente quello che mettono nei numeri di finanza pubblica Renzi e Padoan. Numeri che, per essere raggiunti, richiedono feroci manovre austere in un momento così debole della nostra economia: l’avanzo primario deve passare dal 2,4% di PIL del 2013 al 5,7% del 2017. 3,3% di PIL in 4 anni, sono manovre da 13 miliardi ogni anno, sufficienti per stendere un leone negli anni più critici per la sopravvivenza dell’area dell’euro a causa della sua scarsa appetibilità presso le gente, che ne vede, effettivamente, solo i sacrifici e non la direzione.
“Se il paese è in recessione o il suo livello di reddito è inferiore al potenziale” è una condizione che non rileva. Dalla recessione ne siamo usciti da poco, ed è difficile che vi torneremo, il pericolo è navigare attorno allo stato di coma clinico dello 0% di crescita. Ma anche in questo caso la Commissione europea ha trovato la soluzione per non farci sconti: come abbiamo visto, ha adattato anno dopo anno la nostra crescita potenziale sempre più al ribasso (o la nostra disoccupazione strutturale sempre più al rialzo), così che il nostro reddito non sarà … mai sotto al suo livello potenziale. E’ come se diceste ogni anno al malato che non è grave dopo avergli diagnosticato una malattia peggiore della precedente, trovando il malato in salute rispetto a quanto male potrebbe stare. Il malato sta oggettivamente peggio di ieri, ma in fondo oggi potrebbe essergli andata peggio, sorrida, va tutto bene, non dobbiamo fare nulla.
La fallacia di quanto costa all’Italia abbattere il debito
4. Prendendo il caso concreto dell’Italia, che nel 2013 ha registrato un saldo di bilancio corretto per il ciclo pari allo 0,6% del Pil, secondo le stime della Commissione europea, lo scarto rispetto al requisito del Fiscal Compact è di soli 0,1-0,2 punti percentuali. In altre parole, per essere in linea con il Fiscal Compact all’Italia mancano circa 3 miliardi di euro, non 50 come viene erroneamente sostenuto.
Magari fosse così. Al di là del fatto che il Tesoro per sua stessa ammissione per il 2015 deve raggiungere lo 0% dallo 0,6% per non violare la regola del debito, Bini Smaghi non si rende conto che raggiungere quello 0,6% ha richiesto sacrifici che senza lo stupido Fiscal Compact non avremmo dovuto fare, uccidendo l’economia e tra l’altro facendo aumentare il rapporto debito-PIL che vorremmo abbattere, per colpa della mancata crescita che il Patto genera.
Per esempio, senza il Fiscal Compact che oggi ci chiede di essere allo 0,6% e domani allo 0%, avremmo potuto combattere per avere un deficit su PIL 2015 (non corretto per il ciclo) non pari al -1,8% ma al 3%. 1,2% in più per minori tasse ma soprattutto maggiori investimenti pubblici a sostegno della ripresa, soprattutto con un Governo come quello Renzi che sostiene di saper “spendere bene” visto che sostiene di saper “individuare gli sprechi”, due facce della stessa medaglia di un Governo che funziona. E invece siamo qui a prendere atto della riduzione programmata degli investimenti pubblici al loro livello storicamente più basso di sempre, 1,4% di PIL.
Per essere in linea con il Fiscal Compact i conti sui suoi costi si fanno rispetto ad un mondo senza Fiscal Compact.
La fallacia consolatoria
5. Questo risultato si basa sull’ipotesi che il rallentamento economico registrato in Italia negli ultimi due anni sia di natura temporanea, e non strutturale. Se invece la crescita tendenziale dell’Italia è strutturalmente scesa a zero, diventa necessario un attivo di bilancio per far calare il debito. In questa ipotesi, è l’intera sostenibilità del debito pubblico del paese che diventa a rischio, e non può più essere curata con misure fiscali ma con interventi finanziari straordinari.
Anche qui, l’ipotesi di Lorenzo Bini Smaghi è che la crescita tendenziale italiana sia indipendente dalle manovre austere che si sono succedute in questi anni. Non devo citare Stiglitz, né tanti economisti che hanno ben spiegato il concetto di “isteresi” ovvero che shock di breve periodo possono avere impatti permanenti, di lungo periodo. Basti immaginare, lo ripeto, quanti piccoli imprenditori e giovani non torneranno più a contribuire alla crescita potenziale italiana a causa della stupida austerità: gli scoraggiati, gli emigrati all’estero, le aziende chiuse, la aziende delocalizzate. A queste aggiungo tutte quelle persone ed imprese ora operanti oggi e per sempre nell’economia in nero e nell’economia criminale, che tale scelta non avrebbero fatto senza questa stupidissima, evitabile, austerità che come solo risultato conseguito sui conti pubblici ha avuto l’aumento del rapporto debito–PIL.
La fallacia del guardare a casa nostra
6. In sintesi, il Fiscal Compact non è uno strumento rigido che imbriglia le politiche economiche dei paesi europei, ma contiene clausole di salvaguardia per tener conto della situazione congiunturale. D’altra parte, l’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che i paesi fortemente indebitati che non riescono a ridurre in modo continuativo il peso del loro debito pubblico possono trovarsi in una situazione molto vulnerabile per affrontare crisi scoppiate anche al di fuori dei loro confini, e contagiare il resto del sistema. Il Fiscal Compact è inoltre propedeutico a qualsiasi progresso si possa fare nell’ambito di una maggiore mutualizzazione delle finanze pubbliche dei paesi europei.
Non mi pare che si sia riusciti, grazie al Fiscal Compact, a ridurre in modo continuativo il peso del debito pubblico, anzi. Prendo atto tuttavia che solo in Europa siamo riusciti a costruire un meccanismo così arzigogolato da risultare incomprensibile ai più. Stati Uniti e Giappone, due paesi importanti nel consesso mondiale, non si sono mai sognati di ideare un tale meccanismo ieri, né mai lo faranno. Ma per un motivo molto semplice: Stati Uniti e Giappone hanno capito la vera lezione di questa crisi, ovvero che si esce da emergenze finanziarie e dalla carenza di domanda di questa portata con politiche economiche fortemente anticicliche, influenzando le aspettative degli operatori e non lasciandoli in balia di meccanismi contabili di ghiaccio che invece che riscaldare i cuori e le speranze congelano per sempre le economie in una trappola di pessimismo e disillusione, finendo per uccidere anche i sogni di una Europa al centro del mondo.
Detto questo, credo che il tempo delle discussioni sia finito e sia necessario impegnare politicamente le proprie forze e schierarsi in un campo o in un altro. I Viaggiatori in Movimento a cui appartengo lo faranno, chiedendo non solo una moratoria sul Fiscal Compact ma impegnandosi al più presto nella raccolta delle firme necessarie per un referendum abrogativo sulla stupida austerità così come importata nelle nostre leggi nazionali. Speriamo con ciò di svegliare chi crede nell’Europa dell’euro prima che sia troppo tardi.
13/04/2014 @ 08:42
Ottimo articolo che evidenzia la stupidità del Fiscal Compact che agisce praticamente in maniera pro-ciclica e la cui applicazione accentua il problema del debito e deficit che dovrebbe mirare a correggere (impone austerità che diminuisce la crescita del PIL). Purtroppo é vero che il problema tra gli economisti, anche in Commissione Europea o alla BCE, é diventato l’uso di fallacie nel ragionamento. Succede a molti anche per la questione uscita dall’Euro. La fallacia più usata é “Post hoc ergo propter hoc” ovvero quando la conseguenza temporale sembra inerire al rapporto causale, ma in verità cosi’ non é….
13/04/2014 @ 12:19
E partiamo con questo referendum!!!
13/04/2014 @ 12:40
Questo significa che i Viaggiatori andranno a parlare con le organizzazioni sindacali, con i partiti che si dichiarano contrari al FC come ad esempio Rifondazione Comunista che ha denunciato il FC da almeno due anni, nei posti di lavoro, a fare banchetti per la strada? O si rivolgeranno solamente ai cittadini intesi in generale, in maniera neutrale, magari per l’ennesima volta “ai leader”?
Se volete che vi ascoltino dovete imparare
A) ad alzare i toni e quando serve a inkazzarvi contro il potere e i suoi servi mentre fino ad adesso avete soltanto “chiesto” rispettosamente considerandoli i vostri unici interlocutori. Nelle parole testuali (messe per iscritto) del professor Piga il popolo non è altro che un bosone di Higgs la cui unica funzione è qualla di dare massa ai leader.
http://www.gustavopiga.it/2012/the-particle-of-europe-the-people/
(Notevole la parte in cui si dice che gli scienziati sono “quasi” sicuri di aver scoperto la particella, ossia siamo “quasi” sicuri che il popolo esista)
Non vi si fila nessuno cosí, spero che lo abbiate capito.
B) a dire chiaramente che anche se volete salvare l’euro siete prontissimi a chiedere l’uscita dalla moneta unica (eventualmente anche dal mercato comune, come dice EB) qualora non si verificassero le condizioni che voi ritenete essenziali per il funzionamento del sistema Europa. La gente non dà retta a chi ha paura di reagire, quindi se sperate di convincere le persone che l’euro deve essere salvato dovete dimostrargli che non lo fate per semplice paura e scarsa combattività
C) dovete avere qualcosa da dire non solo a PMI e “giovani” (categoria troppo indefinita) ma anche ai lavoratori e ai precari (giovani e non). Voi sfonderete solo se saprete dimostrare che esiste una via per armonizzare su presupposti DIVERSI le esigenze di PMI, lavoratori con contratto fisso, precari, studenti di tutte le classi sociali.
Se riuscirete a convincere gli italiani (dimostrandolo con la vostra conoscenza di studiosi) che il conflitto fra quelle “classi” o categorie è stato sostanzialmente creato ad arte da chi aveva tutto l’interesse a smembrare la coesione del sorpo sociale “tradizonale” ; che voi saprete come fargli riprendere la sua compattezza su delle basi più razionali e più umane dell’attuale sistema della competitività spietata e darwiniana dell’ultra liberismo; se saprete fare questo rappresenterete davvero una proposta nuova che avrà delle ottime possibilità di essere ascoltata e di ottenere un consenso numericamente consistente, fondato su autentiche idee e non solo su dei sentimenti
Sono proprio curioso di vedere quanta passione e coraggio avete.
14/04/2014 @ 08:02
Concordo pienamente con Lei, Marco. Credo alla buona fede del prof. Piga, ma non riesco a capacitarmi dell’ostinazione con cui continua a credere che questa europa, governata da questi mostruosi figuri, possa cambiare anche senza un atto di forza! Questa europa ci sta pericolosamente portando sulla strada di una crescente xenofobia: ormai non riesco più a sentire un sempre più profondo senso di disagio quando sento qualunque cosa che abbia un accento tedesco!
16/04/2014 @ 15:42
Saverio, non occorre un atto di forza, uscire dall’euro non è una “soluzione” perché per prima cosa sono certo che se succederà non sarà con una decisione del parlamento ma piuttosto un’uscita disordinata (che sarà un disastro) o quella che Brancaccio chiama l’ “uscita gattopardesca”.
Quello che intendo io è che bisogna rendersi conto che il problema è politico o meglio di svuotamento della democrazia intesa come consapevolezza e partecipazione dei cittadini.
Immaginati un’uscita dalla moneta unica anche ordinata senza che la gente abbia preso coscienza di cosa comporta e di quello che bisogna fare superando le rivendicazioni particolaristiche: succederebbe la stessa identica cosa dell’Argentina della Kirchner e se riporti il tutto su scala europea non è difficile capire dove si andrà a finire. L’abbandono dell’euro però va messo sul tavolo come ultima opzione se l’Europa dei tecnocrati si rifiuterà di rivedere i trattati e i vari vincoli.
Quindi serve per prima cosa qualcuno che si rivolga al popolo e non solo ai leader come fa il professor Piga; a mio avviso lui ha lo “status” necessario per essere ascoltato ma, sempre a mio avviso, occorre cambiare linguaggio e proporre “ideali” non solo soluzioni di governance un po’ spicciole.
Occorre saper parlare al cuore delle persone, ridargli l’orgoglio di un senso di appartenenza; non lo farà nessuno perché tutti (borghesi e lavoratori) sono chiusi nel loro piccolo mondo preoccupati solo del mantenimento della loro rendita di posizione per quanto sia miserabile o sempre più esigua.
Alla fine qualcuno che capirà l’importanza del senso di appartenenza salterà fuori ma per l’ignavia di alcuni sarà il solito mezzo fascistello che riunirà il popolo sotto la bandiera idiota del nazionalismo becero.
Sta già succedendo ma l’interesse a curare solo il proprio giardinetto sta rendendo miopi quelli che avrebbero la possibilità e il dovere di assumersi la leadership.
Siamo in un paese di assist man e ci aspettiamo che i gol li faccia qualcun altro.
21/04/2014 @ 11:25
condivido molto.
13/04/2014 @ 14:04
Concordo con l’articolo. Mi chiedo come un economista con il curriculum di Bini Maghi non riesca a vedere queste contraddizioni.
13/04/2014 @ 15:51
Egregio Professore, apprezzo molto la sua analisi, ma non posso condividere il suo ottimismo nel credere di riuscire a salvare il nostro Paese all’interno dell’Eurozona, intesa non come semplice Area Valutaria, ma come progetto politico.
E’ utile ricordare infatti, che aldilà delle parole di circostanza, il progetto eurista fu studiato fin nei minimi particolari per fronteggiare quelli che, all’epoca, furono definiti dalle emergenti forze neo-liberiste, i “guasti” causati dalle politiche keynesiane. Gli stessi Ciampi, Andreatta, Padoa-Schioppa ecc. hanno sempre ammesso la funzione della moneta unica come strumento di “rieducazione” delle social-democrazie europee, ripeto, aldilà delle fanfare propagandistiche sugli intenti di pace, cooperazione e solidarietà fra i popoli (intenti poi miseramente sconfessati dall’evidente competizione mercantilista e dall’altrettanto evidente mancanza di solidarietà della Commissione Europea di fronte ai disastri avvenuti in Grecia, di fronte al dramma della disoccupazione diffusa e, perchè no, anche di fronte al “bail-in” effettuato a Cipro).
Spero che Lei sia consapevole che dietro queste scelte politiche europee, non ci sono le volontà popolari delle singole nazioni, le loro istanze di benessere, ma soltanto la ferrea decisione dei grandi potentati economici, di ripristinare con questo esperimento, lontano anni luce da quello americano, un vero e proprio neo-feudalesimo sociale (come ben rappresentato dalle teorie di Von Hayek).
Di fronte a questo scenario da incubo, alimentato costantemente dalla fitta rete di potentissimi think-thank europei e mondiali (in Italia ci sono fra gli altri Ariel, Vedrò, Aspen Istitute Italia ecc.), quello che secondo me è necessario attuare (siccome le masse da sole non hanno la forza di comprendere appieno cosa sta succedendo, grazie ad una confusione alimentata ad arte dai media sussidiati) riguarda la costruzione di una grande e altrettanto fitta e coesa rete internazionale di intellettuali liberi che divulghino a macchia d’olio la reale consistenza della truffa monetaria in cui ci hanno trascinati le forze cui ho accennato sopra.
Poi (forse) il resto avverrà da solo.
13/04/2014 @ 21:00
Molto interessante. E condivisibile, grazie.
14/04/2014 @ 00:43
Per fare quello che dici è necessario che gli intellettuali (in generale la classe media) vadano dal popolo (sindacati, associazioni, posti di lavoro) a parlare, non basta che diffondano la loro consapevolezza da dietro le loro cattedre.
È ovvio che deve essere cosí ma non succede. Il perché lo rivela Gustavo Zagrebelsky a pagina 16-17 del libro appena uscito in edicola pubblicato da Laterza per Repubblica “Conto la dittatura del presente”.
In breve GZ afferma che il sistema attuale è diventato un organismo autoreferenziale che deve crescere in continuazione cibandosi di sé stesso (GZ lo chiama Ouroboros, il serpente gnostico) fondato sul rapporto denaro – che genera potere – che genera denaro.
Al centro del sistema ci sono i privilegiati che lucrano dallo scambio.
Nel secondo cerchio i rappresentanti dell’economia reale (cosí la definisce GZ) che si pongono in posizione di volontaria servitú, ai quali viene concesso un buon tenore di vita che viene progressivamente eroso, i quali sono incapaci di ribellarsi perché temono piü di ogni altra cosa di finire nel terzo cerchio dei reietti.
Nel terzo cerchio ci sono gli ultimi. abbandonati a sé stessi, gli inutili dal cui feroce sacrificio si genera la crescita continua del sistema.
Gli intellettuali stanno nel secondo cerchio; avranno il coraggio e l’intelligenza di capire che é solo rivolgendosi “di persona” a quelli del terzo (e non ai leader loro padroni, dei quali sembrano avere grandissima soggezione) che potranno sperare di cambiare un sistema che non li considera più utili e che li sta lentamente abbandonando?
È una questione di timing: lo capiranno di sicuro ma scommetto che sarà solo quando ormai avranno perso tutto quel piccolo patrimonio rimastogli di prestigio che gli consentirebbe oggi di essere ancora ascoltati.
16/04/2014 @ 21:38
Marco, quello che affermi è esattamente lo specchio della nostra situazione. Gli unici che possono fare qualcosa per cambiare le cose (come propongo nella chiosa del mio intervento precedente) sono proprio gli intellettuali.
Economisti, giornalisti economici, sociologi, politici, cioè tutti coloro che posseggono le competenze ed i mezzi per divulgare alle masse i veri motivi della crisi che stiamo vivendo.
Il problema, come spiega Zagrebelsky, è dato dal fatto che loro, insieme alla media borghesia, pur vedendosi parzialmente eroso il potere economico e sociale posseduto, rimangono pur sempre nel secondo cerchio e non si alleano, con i disperati del terzo cerchio per riprendersi quello che è stato tolto, in misure diverse, a tutti loro, ma si accontentano di conservare quello che gli è rimasto, in virtù di un comprensibile ma non condivisibile timore di perdere ulteriore potere esponendosi mediaticamente.
Così facendo però si dimenticano gli insegnamenti della storia, come ben espresso dall’aforisma di Bertold Brecht:
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
19/04/2014 @ 21:49
Sistema attuale??? Da che mondo e probabilmente anche nella PREistoria il nucleo dei rapporti sociali ha questa dinamica.
Ma che per capire ste cose ci manca un Zagrebelsky?
Ciò in cui son riusciti bene, è il fatto di dare l’illusione che i nostri tempi siano , nelle fondamenta dell’uomo, diversi da quelli passati dandoci così l’illusione di attuare delle analisi da gran sapientoni sui sistemi attuali che restano, nelle pulsioni base, uguali a quelli del passato.
21/04/2014 @ 09:13
Ma dai per cortesia
Intanto non è sempre esistita la classe media ma soprattutto GZ mette in evidenza come un’intero strato sociale che era nato come ruling class, ossia con dei privilegi ma anche con la missione di essere il leader del proprio popolo, si sia trasformato in una massa di vassalli senza dignità
GZ si stupisce di come sia possibile preferire il mantenimento di una posizione sociale sempre meno ricca e prestigiosa e sempre più subordinata, piuttosto che ribellarsi insieme a quello che chiama il terzo cerchio.
Ma mi rendo conto che è un discorso un po’ imbarazzante quindi chiudiamo qui.
21/04/2014 @ 15:35
Ma no continuiamo.
Sia pur vero che la classe media si sia ampliata di parecchio da……due generazioni?! sarà pur vero che buona parte di tale classe sia in effetti non determinante nella società se non come volano per l’economia, ed è bene capire che una volta esaurita l’idea di una società che antepone la qualità al mero guadagno, buona parte di tale classe, appunto, esaurisce la propria ragione d’essere.
Anche da un punto di vista storico, la classe media ha origini, in gran parte, dai ceti inferiori, il che significa che non ha consapevolezza storica d’essere e quindi, anche da questo punto di vista, essendo quasi senza identità, non possiede le basi per una coesione organica (ma questo solo in Europa, dato che nel resto del mondo pare crescerà parecchio nei prossimi decenni).
Ecco perché si torna al concetto “denaro x denaro = potere quindi denaro” che è stato il motore della storia.
E come dice Cettola Qualunque: ” ‘Ntu culu la qualità! ” (che tornerà ad essere solo per pochi) e, aggiungo io, finiremo dritti dritti in una rivisitazione del medioevo.
14/04/2014 @ 13:05
caro professor Piga, potrebbe cortesemente chiarirmi quali sono le ragioni economiche generali ( oppure di mero interesse particolare ) che spingono la Germania e l’ attuale governance europea ad imporre il fiscal compact ? Insomma: chi ci guadagna ? E perchè ?
14/04/2014 @ 13:37
chiedo scusa per l’ ulteriore intervento ma ho letto solo adesso quello nel quale Antonello S. da una risposta alle mie domande. E’ una risposta che conoscevo ma che non mi convince affatto. Quali sono e quali interessi concreti difendono questi fantomatici potentati economici da lui evocati ? Gli esportatori tedeschi avrebbero tutto da guadagnare da una ripresa del mercato interno dei paesi europei anche se questa ripresa fosse attuata parzialmente “a debito”. I capitali tedeschi avrebbero tutto sommato da guadagnare da un incremento del debito estero dei paesi dell’ eurozona perchè ciò permetterebbe loro di spuntare tassi di interesse presumibilmente maggiori. L’ unico vantaggio che riesco a immaginari per questi imprecisati “potentati economici” è quello di una riduzione dei salari. Mi sembra, però, che un tale vantaggio non possa assolutamente compensare gli svantaggi dell’ austerità, anche perchè è molto facile controllare i salari attraverso altri mezzi quali la precarizzazione e il trasferimento all’ estero della produzione. Ripeto allora la domanda: chi ci guadagna ?
16/04/2014 @ 22:04
Quasi tutte le domande ed i dubbi del sig.Piero sono appannaggio delle competenze del Prof.Piga.
Personalmente mi limito a sottolineare la contraddizione finale in termini sul controllo dei salari.
Quest’ultimo non può essere utilizzato per valutare i pro e i contro dell’austerità, in quanto è proprio essa che ne decreta il “successo”.
In buona sostanza la precarizzazione ed il trasferimento all’estero delle produzioni sono semplicemente il risultato di più fattori negativi, fra i quali spicca per importanza, l’aumento della pressione fiscale che, a sua volta, è l’espressione plastica dell’austerità che, ancora a sua volta, consente ai “potentati economici” di poter acquistare a prezzi di realizzo i cosiddetti “gioielli di famiglia” grazie alle inutili liberalizzazioni effettuate per realizzare un effimera entrata di cassa.
Ne approfitto solo per ricordare che ai vertici di ENI è stata inserita una figura (femminile) che fino a ieri ricopriva la direzione di Businnes Europe, cioè una delle principali lobbyes economiche europee e che ha partecipato, guarda caso, anche alla stesura del Fiscal Compact.
14/04/2014 @ 14:32
Non capisco la sua posizione.
Dopo la lucida analisi dei danni da Fiscal compact, come fa a non desiderare la nostra uscita dall’Euro?
Figli che dopo gli studi universitari emigrano perché in Italia non riescono ad avere stipendi decorosi, aziende che chiudono e se sono in grado delocalizzano,altrimenti chiudono e basta, deflazione incipiente con i danni connessi per il debitore ed il creditore, isteresi, in una parola fallimento di privato e pubblico.
Sul referendum poi, non so se è possibile. Il fiscal compact è o non è un trattato internazionale?
D’accordissimo su quanto dice Antonello S sulle motivazioni di fondo dei padri costituenti dell’Euro. Se sono vere, come io ritengo, non si può pensare che quelle motivazioni siano venute meno.
È una lotta tra top 1% ed il restante 99%.
Il top 1% per adesso vince.
Se si riuscisse a far arrivare il messaggio al restante 99%, la vittoria al referendum sarebbe assicurata.
Ma a parte il fatto che non credo sia materia ammissibile per un referendum, le potenti forze propagandistiche pro Euro sono all’opera anche con spot televisivi oltre che sulla maggioranza dei mass media.
Come forza contraria vedo solo una trasmissione televisiva contro l’Euro. Purtroppo ritengo che quella trasmissione sia controproducente, visto il basso livello, da cantina,non da bar, delle argomentazioni di economisti o supposti tali.
Rimangono blog (anche il suo, sebbene non condivida la terapia che lei propone) che comunque non raggiungono l’audience dei mass media.
Resto in attesa di vedere la prossima revisione al ribasso delle previsioni del DEF.
Non credo come dice Antonello S che ciò che deve avvenire forse verrà da solo. Spero solo che non arrivi un “baffone” a risolvere i nostri problemi. Per adesso mi meraviglia la mancanza di manifestazioni di massa specie fra i giovani.
Nicobra
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15/04/2014 @ 12:48
L’articolo è molto condivisibile, il problema però è politico: a chi andiamo a chiedere di abrogare il Fiscal Compact? I maggiori partiti, o quel che ne resta, l’hanno votato e messo in Costituzione, se non ricordo male persino con applauso finale alla camera.
A chi lo chiediamo, alla sinistra, che è appiattita culturalmente sul messaggio liberista della destra? A Grillo, che è ormai delirante contro tutti tutto sopra e sotto? la vedo dura e difficile, ma la mi afiorma non mancherà.
Saluti
19/04/2014 @ 00:39
Oggi Alfano ha dichiarato che sono pronti a chiudere i centri storici alle manifestazioni perchè “quella gente” non può venire ogni tre mesi a “saccheggiare le NOSTRE città”.
Quindi “noi” starebbe per i ricchi che stanno al centro e “quella gente”sono i poveri che stanno in periferia per cui se ne restino a spaccare le vetrine a casa loro, non da noi. La gente, per motivi a me non del tutto chiari, si identifica subito nel “noi” di Alfano.
Questo è solo il ballon d’essai, il bello verrà dopo.
Hai visto mai che i partiti anti austerità europea fanno il pieno alle europee e la gente si monta la testa…meglio preparare il terreno…
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20/04/2014 @ 20:57
buonasera Prof,
ho una richiesta totalmente OT
2 anni fa lessi un suo articolo in cui parlava del rapporto tra flessibilità del lavoro e tassi di disoccupazione e menzionava c.ca 17 studi scientifici di cui l’unico che affermava che maggior flessibiltà comportava minor disoccupazione portava la firma di Boeri… non riesco a ritrovare in nessun modo questo articolo! può linkarmelo in qualche modo o qui o magari via mail (watau@libero.it)? se si grazie, altrimenti grazie lo stesso..
Saluti e buon lavoro!
21/04/2014 @ 09:20
Questo?
http://www.politicaassociazione.it/dati/4/Un%20nuovo%20contratto%20per%20tutti.pdf
21/04/2014 @ 14:33
gentile professore , mi permetto di intromettermi per chiederle cortesemnte un’informazione.
E’ a conoscenza se esiste la possibilità’ di leggere in italiano l’ultimo lavoro di Thomas Piketty sui redditi ecc.?
la ringrazio e le lascio saluti pasquali.
giuseppe pino Bonino