Ho ascoltato e riascoltato. Come quando si rivede un film molto amato. Cercando di afferrare tutti i dettagli, e di intuire se possibile di più di quanto lo stesso regista avesse in mente.
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La lezione del Premio Nobel per l’Economia Sargent è bella. Potente. Pesa le parole, divertendosi a volte. Non è facile scriverne, troppa la carne al fuoco, densa di stimoli. Ma così centrata. Che ne farò piccoli post successivi, per non stancarmi troppo.
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Centrata. Perché fa il raffronto giusto, quello che ritengo centrale dall’inizio di questo blog. Centrale perché, dice Sargent, per capire l’Europa e la sua unione monetaria, dice, dobbiamo paragonarla ad un’altra democrazia nascente, “debole”, quella degli Stati Uniti. Nel 1790.
Ma di unione monetaria paradossalmente parla poco, Sargent. Il focus è tutto sulla unione politica.
Nel 1790 nasce infatti “l’altro” grande progetto politico, fatto di tanti stati indipendenti che in qualche modo decidono di condividere un destino comune e, nel farlo, trovano anche naturale sigillarlo con una moneta comune. Moneta che è come una appendice, come un fiocco prezioso con cui s’incarta il regalo a cui teniamo.
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Perché uno dei punti più importanti e anche criptici del suo argomentare è proprio questo. La moneta comune non è il punto principale del progetto europeo, così come di quello americano. E’ una conseguenza logica, ma non così rilevante. Ogni progetto politico di comunione di intenti, di unione, tra stati richiede che il sigillo simbolico sia quello della moneta comune. Una simbolica, necessaria, conseguenza.
Se la moneta fosse stato veramente il punto rilevante della questione europea, argomenta sottilmente Sargent, lo potevano fare, gli stati europei, come hanno fatto Panama o lo Zimbabwe con gli Stati Uniti, agganciandosi al dollaro come moneta di riferimento, evento irrilevante e probabilmente poco noto allo stesso Obama, che infatti non se ne deve curare in alcun modo. Così l’Italia, se avesse voluto fare un progetto “monetario” di mera stabilità finanziaria, avrebbe potuto scegliere di passare al marco tedesco. Una unione monetaria che della parola “unione” non avrebbe avuto praticamente nulla.
Non l’hanno fatto, i paesi europei. Come gli Stati Uniti nel 1790, hanno elaborato, i paesi dell’euro, un progetto politico. Come tale va studiato e giudicato.
E quindi non deve stupire se Sargent conclude che la domanda superficiale, la “superficial question”, è chiedersi se un paese “debba” lasciare o entrare in una unione monetaria.
Domanda superficiale perché adatta per lo Zimbabwe o Panama che, guardano solo agli aspetti monetari dell’unione di stati. Domanda a cui comunque Sargent dà una risposta, ovvia per un economista puro come lui – che è “dipende”, e dipende da come i cittadini dei paesi coinvolti ne valutano costi o benefici – ma che presto abbandona, disinteressandosene.
Per porsi ben altra domanda. Che questo blog si pone dall’inizio della sua vita, lo ripeto. La domanda “ben più profonda”, secondo Sargent, anzi le domande sono due, eccole:
“Un governo deve ripagare i propri debiti?” e “in un sistema federale, con un governo centrale di qualche tipo, con province o stati con qualche forma di sovranità, un governo centrale deve ripagare i debiti dei governi subordinati?”
Sono queste le domande, sostiene Sargent, più profonde che comporta l’unione dei paesi accomunati dall’euro. E su cui è utile ragionare.
Lo sono, le domande appropriate, perché furono le domande che si pose l’altra debole democrazia fatta di unione di stati nel 1790 – debole allora come la democrazia dell’unione europea di oggi - eppure divenuta una potenza geopolitica. Unione, quella statunitense, dalla moneta comune, certo, ma la cui potenza monetaria è figlia e conseguenza, e non causa, della sua potenza politica ed economica.
Lo sono, le domande appropriate, perché dalla risposta che vorremo dare a queste due domande dipende il destino del progetto europeo per come lo hanno inteso alcuni tra i più convinti assertori degli Stati Uniti d’Europa.
Non potrei essere più d’accordo.
E nei prossimi post vedremo come prosegue la sua analisi Sargent, e se e quanto le sue risposte, che ripescano dalle lezioni della storia americana una via per l’Europa, siano corrette ed utili ai nostri fini.
(continua)
27/08/2013 @ 11:09
Bell’articolo anche se paragonare l’unione del 1790 degli stati uniti con l’unione europea è come fare un triplo salto mortale da 10 metri con una piscina vuota sperando di uscirne indenni. Innanzitutto il punto che ha subito evidenziato lei: procedettero dopo una sanguinosa guerra al progetto di una vera unione POLITICA(va sottolineato perchè non passi in cavalleria) discutendo i loro trattati politicamente mantenendo sempre presenti i loro valori sovrani e i popoli da loro rappresentati sino alla sospirata venuta del trattato finale che “soddisfacesse” le parti per poi sigillare tutto con una moneta che giustamente come dice lei non dev’essere determinante.
Ebbene l’Europa è totalmente e profondamente diversa (ecco il triplo salto).
Siamo Stati con una enorme storia alle spalle, infinite battaglie e guerre che ancora bruciano per alcuni, Stati la cui identità non può essere minimamente paragonata ad alcuno Stato statunitense. Ed ecco che arriva il bello: con stati cosi diversi culture cosi diverse si è andati a creare la peggior cosa che mente umana potesse concepire: “la moneta determinante” e nulla di più, nessuna unione politica, (sarà che nessuno la voleva realmente?), nessun trattato di cooperazione vero automatico (seppur citato nei trattati europei) esempio il sistema federale che in automatico bilancia i deficit tra stati più forti e deboli, si è provveduto a creare una moneta che privilegia pochi e massacra molti.
Il sogno di una europa federale come gli USA sarebbe bello: tutti quanti con lo stesso sistema politico ed economico, stesso sistema educativo, stesso sistema previdenziale, lavorativo, stesso sistema fiscale ecc,(Mundell Kenen insegnano nonchè la storia) ovvero tutto ciò che permettesse davvero il funzionamento di una unione monetaria. Chi è che non metterebbe la firma per un continente del genere tutto bello e bilanciato?…Peccato che la realtà è ben diversa e lontanissima da questa prospettiva..Nessuno stato vuole pagare per gli altri, nessuno vuole diventare tedesco, francese o italiano, nessuno è disposto a cedere la sua storia…Possiamo parlarne certo ma non con la spada di Damocle sulla testa chiamata Euro. Chi di noi vorrebbe discutere un nuovo trattato con una pistola puntata alla tempia?nessuno immagino. Ecco perchè uscire dall’€, ecco perchè riprenderci la nostra sovranità, per poterci RISEDERE su un tavolo con i nostri cugini europei e decidere che se vogliamo davvero federarci dobbiamo farlo partendo dalla politica non da una moneta DETERMINANTE!!
18/09/2013 @ 14:07
Grazie e scusi il ritardo di questo post. Le differenze culturali tra gli Stati Usa erano enormi, in parte ereditate anche dalla loro diversa provenienza europea. Non è vero che non abbiamo fatto altro oltre alla moneta, sarebbe folle non considerare l’incredibile dialogo e avvicinamento avvenuto via istituzioni dal dopoguerra.
Nessuno stato vuole pagare per gli altri? E’ proprio questo il mio punto: esattamente come negli Usa per 150 anni.
Sul resto, siamo alle ipotesi, sia io che lei: lei dice che parleremmo dopo il divorzio, io dico che non ci si parla dopo i divorzi. Come lei sa la risposta soffia nel vento.
20/09/2013 @ 06:58
non la veda come un divorzio ma come un vero dialogo tra le parti finalmente..adesso sarebbe ridicolo discuterne perchè in queste condizioni ci sono alcuni che parlano dal trono e guardano tutti dall’alto verso il basso tenendoli in catene per non dire (pa..e). In queste condizioni di disuguaglianza ogni dialogo proposta sarebbe influenzata dalle conseguenze dall’ambiente circostante. Quello che dico io invece è che per poter avere un dialogo proficuo che porti alla vera unione bisognerebbe discutere con la libertà di poterlo fare.
27/08/2013 @ 21:04
Grazie, grazie, grazie!
Andrebbe sottotitolata in italiano e mandata in onda a reti unificate.
Brillante, umoristico, preciso, lucido e soprattutto perfettamente comprensibile da chiunque.
PS
Considerazione personale. In questi ultimi 3 o 4 anni, grazie alla conoscenza della lingua inglese e alla “magia” di YT ho avuto modo di ascoltare numerose conferenze di persone che Lei sicuramente conosce meglio di me: Joseph Stiglitz (il mio preferito) ma anche Robert Reich, Paul Krugman, Robert Skidelski, Robert Solow, Hernando de Soto e altri.
L’aspetto che vorrei sottolineare è questo: l’estrema faciltà con cui complessi sistemi macroeconomici vengono resi perfettamente comprensibili per chiunque.
La conferenza del Dr. Sargent è spettacolare nella sua “semplicità” ed il contrasto con l’atteggiamento di molti politici ed economisti italiani è evidente: “lasciate stare, ci pensiamo noi, non vi spieghiamo le cose perchè tanto non le capireste, sono cose complicate, lasciate fare a noi”.
Poi ascolti Joseph Stiglitz e ti rendi conto, semplificando un pò, che certi aspetti macroeconomici sono invece comprensibilissimi (anche se uno non ha letto Keynes) perchè assomigliano incredibilmente al semplice Buon Senso.
Lei, Prof. Piga, rappresenta l’eccezione, così come il Prof. Bagnai ma le garantisco che da normale cittadino in questi anni dalla categoria “economisti” ho sentito dire delle mostruosità, fino al classico “Lei non è un economista e quindi non può capire”.
Come diceva l’avvocato in Piladelphia: ” explain it to me like I’m a four-year-old”.
Scusi per la digressione e grazie ancora per il lavoro che fa.
Ivan
27/08/2013 @ 21:56
Una cosa fondamentale come metodo è la semplicità, è vero. A me l’hanno insegnata due tre grandi maestri ma soprattutto un carissimo amico, Lorenzo Pecchi. A loro devo moltissimo.
28/08/2013 @ 12:12
Meraviglioso video.
Mi chiedo se sarebbe possibile invitare Sargent al parlamento europeo per fargli tenere un discorso come questo, con successivo dibattito con gli eurodeputati.
Da trasmettere possibilmente come dice Ivan a reti unificate
28/08/2013 @ 14:32
concordo antonio.
28/08/2013 @ 18:20
Buona sera Professore, perdoni la mia ignoranza.
Il problema del rapporto fiscale e finanziario tra centro e periferia si può porre in chiave europea (oggi la soluzione è chiamata fiscal compact) ed in chiave anche interna.
Ecco le domande che Le/mi pongo.
Le nostre regioni italiane possono fallire? Se no, a che serve il loro rating? Basta il patto di stabilità interno a spingerle ad un sano autogoverno? o ci sono altre forme di stimolo/incentivo?
L’autonomia di cui godono è stata negli ultimi anni l’elemento cardine di una sequenza infinita di scandali. Meglio il centralismo allora?
La ringrazio
28/08/2013 @ 19:09
Grazie Fabio. Possono fallire, assolutamente e a volte vengono salvate per evitare il fallimento. Il patto di stabilità interno ha limitato eccessi di finanziamento, a volte anche quelli necessari e ha spinto a rapporti impropri con i fornitori, ma non ha frenato eccessi di cattiva gestione dei fondi disponibili. Non mi è chiaro perché la sanità debba essere fornita non centralmente.
28/08/2013 @ 19:34
Gli amministratori locali sembrano rispondere più alle lobbies locali che alla legge ed alla popolazione. Non capisco perchè i responsabili di molti disastri (uno per tutti la situazione della sanità nel lazio) possano stare a piede libero e con il vitalizio accreditato sul conto corrente. Non chiediamo miracoli agli amministratori, ma che almeno siano chiamati a rispondere per la loro diligenza nell’amministrazione…ma la legge in Italia esiste solo per i piccoli, per gli altri è qualcosa di indicativo. Su questo Viva gli Stati Uniti.
Inoltre i sistemi incentivanti (premianti e sanzionatori) sembrano non esistere o non funzionare.
Se do la mia carta di credito a tutti i miei amici vorrei almeno sapere come spendono i soldi, quanti ne spendono..
…insomma ci dovrebbero essere delle forme di controllo preventive e successive unite anche a sistemi sanzionatori efficaci per chi risponde più alla lobbies che agli interessi e ai diritti delle popolazioni
29/08/2013 @ 06:43
“come hanno fatto Panama o lo Zimbabwe con gli Stati Uniti”
Già. O come ha fatto l’Argentina con gli Stati Uniti, con l’esito che conosciamo.
29/08/2013 @ 07:35
Già.
29/08/2013 @ 12:31
GIà. O come ha fatto la Grecia (Spagna, Portogallo…) con la Germania… Con l’esito che conosciamo.
29/08/2013 @ 14:36
Assolutamente no. E’ qui il punto chiave di Sargent, il non confondere Argentina-Usa con Grecia-Germania. Chi lo fa si pone su un piano economicistico senza pensare a storia e politica. Ed è destinato a non capire con cosa abbiamo a che fare e quali sono le soluzioni che possono essere vincenti ai problemi attuali.