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Il tramonto dell’austerità? Mai con l’unione fiscale e politica

Berlino ha sempre detto nessuna mutualizzazione del debito se non c’è cessione di sovranità. Prendiamo la Germania in parola. Se è un bluff andiamo a vederlo”. Emma Bonino intervista oggi sul Corriere.

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Emma Bonino ha ragione da vendere quando chiama “l’euro un successo strepitoso” e al contempo ricorda che “la moneta unica aveva (ha? NdR) una governance da bel tempo, (che) con la tempesta non ha retto più”.

Tutto sta a trovare dunque la governance giusta. Per Emma Bonino questa è l’unione fiscale e politica.

Come per l’abbandono dell’euro, sarebbe un gravissimo errore ricorrere a questa soluzione. Se messa in atto, la sua idea porterebbe dritti al suicidio dell’euro e dell’Europa, malgrado i buoni propositi della nostra brava Ministra degli Esteri.

Lei dice “ora o mai più”? Noi diciamo “domani, per sempre”.

Spieghiamo perché.

1. Non abbiamo tempo. Impegnare tutte le nostre menti nel creare nuove architetture istituzionali, nuovi ruoli per il Parlamento europeo, eserciti in comune, un solo Ministro degli Esteri ecc. distrarrebbe in modo irrecuperabile i nostri dirigenti e politici dall’obiettivo unico che si devono porre: uccidere la recessione ora prima che sia troppo tardi. Già una volta siamo stati distratti da agende inutili con gravi conseguenze: la stupida e forsennata fissazione con il deficit al 3% del PIL ci ha portato ad inventarci trucchi e maquillage contabili invece di prepararci con pazienza allo tsunami cinese e rafforzare i presidii della crescita. I nostri dirigenti e Ministri per anni si sono preparati per i loro viaggi a Bruxelles con cartelle pieni di fogli che dimostravano come il deficit fosse 2,9% e non 3,1%. Tocchiamo con mano oggi i risultati di tale ossessione.

E non lottare oggi e subito contro la recessione vuol dire accelerare la rivolta finale di chi non tollera più la sofferenza gratuita inferta da parte di chi ha invece il compito e la capacità di alleviarla. La Grecia sarà la prima ad uscire. Il Portogallo il secondo. Poi la Catalogna, che oltre all’uscita dall’euro sarà tentata a quel punto di secedere, in un processo di balcanizzazione che è agli antipodi dei desideri di Emma Bonino.

2. Prenda spunto il Ministro dalla storia, ripetibile, dell’altra unione monetaria a cui ambiamo paragonarci. Quella degli Stati Uniti d’America. Ma non quella di oggi, ovviamente: il paragone va fatto con quella unione altamente subottimale che era dopo 10 anni di vita, all’alba dell’ottocento, l’America. Una unione non federale, dove gli stati erano gelosamente custodi delle loro autonomie culturali: debito, spesa pubblica e tassazione – espressioni massime della cultura di una collettività  -  erano infatti predominantemente locali e non centralizzati a Washington. Ci vorrà una guerra civile, l’invenzione della ferrovia che permetterà di viaggiare e conoscere culture diverse, la prima guerra mondiale che diede vita ad una prima presa di coscienza negli americani del proprio ruolo imperiale e, infine, una gravissima recessione gestita con solidarietà da Roosevelt per convincere gli Usa ad aderire ad un progetto veramente di unione federale in cui la spesa pubblica, le tasse e ed il debito fossero predominantemente centralizzati. Un sistema in cui la solidarietà per gli stati come Alabama e Mississippi, strutturalmente più poveri, meno produttivi e più razzisti, è permanente e non condizionata a nessuna riforma (purché non si superino limiti come quelli che per esempio Robert Kennedy dovette combattere, il divieto di accesso degli afroamericani in alcuni atenei del Sud degli Stati).

150 anni ci sono voluti. Per arrivare a far convergere delle diversità che tali devono in parte rimanere, come giustamente indica anche la Bonino, perché la diversità è la forza di una unione politica (come, ad esempio anche di quella indiana). Ma non 5 anni. Perché il giovane albero europeo si spezzerebbe nella tempesta globale: le sue fragili radici devono avere il tempo di rafforzarsi, il suo fusto resistere ai tagli dell’ascia dei nemici, interni ed esterni.

Nessuna unione monetaria nasce come ottimale. L’unione è quasi sempre tra Diversi e non di uguali, anzi nasce proprio per mettere insieme dei diversi. La stessa recente unione monetaria tedesca, apparentemente facile, è stata e continua ad essere operazione culturalmente complessa e per alcuni individui drammatica . Questi Diversi è solo normale che si guardino con sospetto e non subito si trovino predisposti a venirsi incontro nei momenti di difficoltà. Diventa ottimale, una unione monetaria, se segue il percorso del confronto, dello scambio, della comprensione reciproca, del compromesso: così facendo si apre lentamente alla mobilità del lavoro, alla disponibilità ad aiutarsi reciprocamente in tempi di crisi. A quel punto l’unione monetaria è pronta per l’unione fiscale e politica.

Chiedere al Massachusetts dei radicali abolizionisti di sostenere nei primi dell’ottocento gli imprenditori delle piantagioni del Sud sarebbe stato ridicolo. Lo sarebbe anche oggi che il Massachusetts aiuta con le sue risorse ogni anno a integrare i redditi dei più poveri abitanti del Mississippi. Il Massachusetts lo fa perché nel tempo è cresciuta la vicinanza tra questi due stati e si sono radicalmente (ma certamente ancora oggi non definitivamente) ridotte le differenze culturali.

Così oggi alla Germania si può chiedere di effettuare immediatamente una unione fiscale e politica tra Germanie ma non con i greci o gli italiani. Domani, sperabilmente non tra 150 anni, ma a passi piccoli, forse in 30 anni, si potrà consumare quella europea che desidera Emma Bonino.

Gli eurobond non devono vedere la luce perché i tedeschi non sono pronti a trasferire risorse ai greci. Se, per qualche errore di valutazione la cui possibilità a noi sfugge, essi vedessero invece la luce, forzando questi trasferimenti, mostreremmo di non sapere rispettare le identità culturali europee, ennesimo fallimento europeo di quell’esercizio complesso chiamato democrazia. E, conseguenza logica, vedremmo a breve la gente ribellarsi e mettere fine al progetto europeo, l’esatto contrario di quanto desiderato da Emma Bonino.

Niente via dall’euro, niente eurobond ed unione fiscale. Ma allora come uscire dalla crisi salvando il progetto europeo?

(continua)

9 comments

  1. Aspettiamo di sapere “come”, prof… Ma si badi, non solo “come” uscire dalla crisi, ma anche come salvare la giusta pretesa di autodeterminazione democratica.
    Perché non si può accettare che la cosa giusta sia decisa e fatta da una élite, non si può accettare di essere semplicemente condotti verso l’Europa dell’avvenire, per quanto bella e prospera sia. Non si può aspettare a mani giunte che la nostra salvezza arrivi dalla svolta di buonsenso di qualcun altro.
    Prof, temo che lei duecento anni fa sarebbe stato un fan di Napoleone.

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      • Ma non occorreva una politica economica più espansiva (e un po’ più inflazionistica) da parte della Germania per ridurre anche la nostra austerità, nelle strette maglie dell’euro?
        Vede, io non so parlare tedesco per andarlo a spiegare ai cugini d’oltralpe. Magari Lei sì, e di Lei mi fido. Ma non vorrei sentirmi così impotente.

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  2. La Bonino non propugnava referendum per ogni minuzia? Perchè non chiede ora agli Italiani che ne pensano, se si può ancora dire questa parola.

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  3. Massimo GIANNINI

    20/05/2013 @ 08:34

    All’autore sfugge che gli eurobonds sono una componente dell’integrazione fiscale cosa ben diversa ancora dall’unione. Per quanto riguarda poi i cambiamenti istituzionali si andrebbe per gradi e in parallelo alle misure contro l’austerità, di cui gli eurobonds ne sono un primo strumento.

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  4. Purtroppo la storia ci insegna che se non interconnessi e dipendenti l’uno dall’altro gli Stati Europei tendono ad annullarsi vicendevolmente. Il discorso di un’unione rafforzata (fiscalità + politica) non deve essere il primo punto della lista ma è necessario iniziarne a parlare e pensarne come obiettivo nel medio periodo. Professore non si scordi che gli USA erano sì stati diversi ma avevano come base le stesse orgini, stessa lingua, stesse (almeno quasi) culture. In Europa purtroppo non è così.

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  5. Stefano Rocchi

    21/05/2013 @ 13:20

    Caro G.
    leggo, nella mia breve pausa pranzo, il tuo commento “blog”del 19 maggio. Dici che gli USA per arrivare ad essere tali hanno dovuto, in 150 anni, superare esami difficili e tragici. Hanno, in effetti, dovuto avvicinare le diversità anche con il sangue e combattere contro la schiavitù per affermare il diritto universale di uguaglianza tra gli uomini qualunque fosse stato il colore della pelle, il credo religioso od altro. Prove che hanno saldato lo spirito di appartenenza di tutti gli Stati all’Unione e che hanno costruito un tessuto comune di solidarietà, anche economico e finanziario, all’interno di una impalcatura istituzionale di Stato federale. La Storia ha insegnato alla politica statunitense che i sacrifici, di donne e uomini, compiuti nell’evolversi del tempo non potevano restare lettera morta ma contribuire alla nascita ed alla crescita del “sogno americano” . Nel constatare tutto ciò affermi che l’Europa ed il “sogno” dell’Unione politica, economica e fiscale della stessa è troppo giovane ed ha bisogno di tempi molto più lunghi e passare ancora qualche esame. Quindi, nel mentre, impegniamo il nostro tempo a combattere l’austerità che ci sta uccidendo. Posso essere d’accordo con te ma, credo, che la lotta per sconfiggere l’austerità possa e debba essere fatta insieme alla costruzione politica, economica e fiscale dell’Europa. L’una tiene l’altra. Non, dunque, “domani, per sempre” ma “ora e per sempre” . Siamo passati, nel corso del XIX ° secolo, per due guerre mondiali, per svariate sanguinolente dittature; siamo stati campo di sfida della guerra fredda e delle più atroci persecuzioni razziali di tutti i tempi. Le nostre prove difficili e tragiche le abbiamo avute ma, forse, al contrario degli Stati Uniti, queste non hanno offerto, alla classe dirigente europea, il campo su cui costruire la coesione e la solidarietà tra le nazioni. Le classi dirigenti (politiche e non) europee hanno metabolizzato le prove, di cui ho sopra accennato, come qualcosa che appartenesse al solo vissuto della singola nazione e non appartenesse, invece, all’intera Europa. La lungimiranza di alcuni padri fondatori dell’Unione Europea si è progressivamente spenta risucchiata dalla pochezza della maggioranza delle classi dirigenti delle nazioni. La mia speranza è rivolta ai giovani. Io ritengo, ma forse mi sbaglio, che i cittadini si sentano molto più europei che non chi guida le loro istituzioni. Non si tratta di seguire o essere distratti da agende inutili e stupide ma di costringere la politica ad interrogarsi sulle grandi questioni inducendola a percorrere strade nuove ed affrontare sfide affascinanti e coinvolgenti. Se sapremo fare questo non avremo ribelli desiderosi di metter fine al progetto europeo ma ribelli coscienti di dare corso al progetto europeo.

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    • Vorrei essere d’accordo con te Stefano. Ma dico NO. E non solo perché studiare la storia è importante. No perché ho già dato. Ho già una volta sperato che avere una distrazione da idea fissa non portasse via tutto il tempo dei nostri politici e Ministeri e dirigenti. Era al tempo del 2001, e del deficit su PIL al 3%. E invece ci ha uccisi, abbiamo pensato solo a quello.
      Dico NO a 5 anni adesso di distrazioni, di avvocati che ci dicono come cambiare le norme, del Parlamento, delle Direttive, degli eserciti, ecc. ecc. ecc. Ora è tempo di salvare il naufrago che sta per affogare, non per costruire la nave sicura.
      Poi avremo tempo, e anzi potremmo ritrovarci d’accordo a breve sulla missione, magari tre 2 anni, il tempo che ci vuole alla domanda pubblica per fare il suo lavoro di salvare l’economia dell’area euro sud ed evitare l’uscita dall’euro e la fine di tutto per 30 anni.

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  6. Stefano Rocchi

    22/05/2013 @ 08:07

    Ho capito. Ne fai una questione di priorità. Su questo posso anche seguirti. C’è un però. Siamo sicuri che dopo aver salvato il naufrago ed averlo riportato su una imbarcazione con le stesse caratteristiche tecniche della precedente questi non torni ad essere naufrago ed affogare definitivamente?
    Non credo che il progetto di una Europa politica possa distrarci e, soprattutto, possa essere messo nelle mani di avvocati e burocrati. Il progetto a cui mi riferisco io non è solo architettura istituzionale, norme e direttive. E’ valori fondamentali, diritti, solidarietà, coesione sociale ed economica. E’, in parole povere, una “carta costituzionale” che non somigli alla Convenzione già scritta.
    E’, dunque, un processo partecipativo non destinato esclusivamente alle elite europee. Sconfiggere le politiche di austerità è la tua missione e ti assicuro che è anche la mia ma ritengo che senza una forte azione politica ed una riconosciuta e chiara governance europea sia tutto più complicato ed esposto alle turbolenze globali. Ripeto l’una tiene l’altra ed esistono donne ed uomini in Europa che sono in grado di fare le due cose contemporaneamente e bene.
    P.S. Sono felice di questa nostra diversa posizione perché aiuta l’Europa ed il suo progetto. Sono felice perché, comunque, sapremo ritrovarci nel momento giusto.

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