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Cameron Braveheart e quell’Europa che va cambiata

Ecco quello che mi è piaciuto di più del discorso del Primo Ministro britannico Cameron, che ha parlato alla sua nazione ed all’Europa del futuro del Regno Unito, se fuori o dentro l’Unione europea.

1. La retorica. Quanto mi piace ascoltare un politico che tenti di emozionare le sue truppe. E non c’è dubbio che gli anglosassoni siano proprio bravi a farlo, altro che i nostri politici. Ogni volta mi emoziono, come in questo splendido passaggio di Braveheart, scozzese nemico acerrimo della tirannia inglese, scusate ma non resisto a farvelo rivedere.


 
E poi questi passaggi (tratti da Discorso PM Cameron – Regno Unito e Unione Europea – versione italiana, traduzione di cortesia dell’Ambasciata britannica a Roma).

2. Voglio che l’Unione sia in prima linea negli accordi commerciali trasformativi con gli Stati Uniti, il Giappone e l‟India, per contribuire ad andare verso il libero scambio globale. E voglio che facciamo pressioni per esentare le piccole imprese europee da ulteriori direttive UE.

Ma perché solo il Regno Unito pensa alle piccole imprese? Perché nessun Presidente del Consiglio italiano oserebbe mai esplicitamente menzionarle? Quale supponente tara genetica lo impedisce?

3. Il mio quarto principio è la responsabilità democratica: dobbiamo prevedere un ruolo più importante e significativo per i parlamenti nazionali. Non c’è, a mio parere, un unico popolo europeo. Sono i parlamenti nazionali la fonte autentica della vera legittimazione e responsabilità democratica nell’UE, e continueranno ad esserlo. È al Bundestag che Angela Merkel deve rispondere. È dal Parlamento greco che Antonis Samaras deve ottenere l‟approvazione per le misure di austerità del suo governo. È al Parlamento britannico che io devo rendere conto sui negoziati per il bilancio dell’UE, o sulla tutela della nostra posizione nel mercato unico. Questi sono i Parlamenti che incutono vero rispetto, e persino timore, nei leader nazionali. Dobbiamo riconoscere questo nel modo in cui l’UE agisce.

Ora i Viaggiatori nel loro programma vogliono, come Cameron, una Commissione europea che tenda a sparire. Per cedere il passo, diciamo noi, ad una sovranità europea guidata dal Parlamento europeo, di cui Cameron non parla proprio. Cameron invece parla del suo Parlamento, quello nazionale. Eppure l’enfasi sul ruolo dei Parlamenti nazionali non può che emozionare.

Forse per il riferimento sottile ad uno scatto di orgoglio necessario per i nostri cugini greci, a riprendersi in mano il filo della democrazia strappato dalle troike della stupida austerità? Forse per l’invidia che provo al pensiero che nel Regno Unito vi sia un Parlamento che incute timore e non un Parlamento tagliato fuori dai giochi?  Forse per la speranza che l’obbrobrio di democrazia di quest’ultimo anno in Italia, in cui il Fiscal Compact e le modifiche della Costituzione sono stati imposti e non discussi, nascosti e non dibattuti, sia per sempre archiviato come un incubo che non si ripeterà più, e la cui cicatrice possa svanire al sole di una nuova era di partecipazione collettiva?

Forse.

4. Dovremmo prendere attentamente in considerazione anche l’impatto sulla nostra influenza sui vertici degli affari internazionali. Non c’è alcun dubbio sul fatto che siamo più potenti a Washington, a Pechino, a Delhi perché siamo un giocatore importante all’interno dell’Unione europea.

Nessuno tocchi l’Europa. Perché se non sei al tavolo delle decisioni, sei sul menu. Chi legge questo blog sa quanto credo sia vera questa frase.

Ma ce n’è una ancora più vera. L’ha pronunciata, di nuovo, Mr. Cameron.

5. Dovremmo pensarci molto attentamente prima di abbandonare quella posizione. Se lasciassimo l’Unione europea, lo faremmo con un biglietto di sola andata, non di andata e ritorno.

Ecco un’altra gran bella verità. Quando uscite da una Unione, non si torna più indietro. Perché i rapporti si lacerano e ci vogliono decenni, forse secoli, prima che qualcosa del passato possa essere recuperato.

Così da sempre su questo blog dico che la stessa cosa vale per l’euro: una volta usciti, non si tornerebbe più indietro. Sarebbe un biglietto di sola andata. E io sarò pure Viaggiatore, ma il nostro simbolo è un ponte e non ci tagliamo i ponti dietro di noi, li costruiamo. Questo simbolo lo abbiamo scelto anche per dire che vogliamo sempre avere la possibilità di ritornare a casa dopo un lungo viaggio.

E la nostra casa, senza avere i dubbi che si pone legittimamente Mr. Cameron assieme ai suoi concittadini, è l’Europa. Da rifondare, certamente, specie nei suoi processi di rappresentanza democratica e nel suo scarso afflato verso una maggiore solidarietà. Da rifondare, lo speriamo, pragmaticamente anche assieme ai coraggiosi guerrieri britannici.

E, rifondata, sempre più casa nostra sarà.

4 comments

  1. Lorenzo Donati

    24/01/2013 @ 10:35

    Bellissime considerazioni che mi hanno aiutato a riflettere molto sul discorso di Cameron. Come Lei professore penso che chi sostiene di “uscire” dall’ euro o dalla UE non abbia per niente chiaro che cosa abbandoni (e per quanti decenni/secoli). Dovrebbe essere compito degli “opinion makers” illustrare a fondo e con onestà intellettualele difficoltà sì della costruzione europea ma anche tutti i vantaggi…..

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  2. Condivido le sue osservazioni sul discorso di Cameron. Vorrei, però, aggiungere qualcosa, anzi introdurre una premessa alla sua analisi.
    A mio avviso, il discorso di Cameron non avrebbe avuto luogo in una condizione economica serena, senza crisi, ma soprattutto se la stessa crisi non avesse prodotto dei provvedimenti, come quello che ha portato alla introduzione della Vigilanza comune europea – fortemente voluta da Mario Draghi – che imprimono delle forti accelerazioni sul processo dell’integrazione europea.
    Noi cittadini europei abbiamo una grande occasione: possiamo, e a mio avviso dobbiamo, avviare un processo che comporterà anche la perdita di sovranità, ma che porterà agli Stati Uniti d’Europa. Chi ci sta, deve partecipare fino in fondo, chi invece non vuole farne parte sarà libero di uscire (ma non di rientrare).

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  3. “Forse per la speranza che l’obbrobrio di democrazia di quest’ultimo anno in Italia, in cui il Fiscal Compact e le modifiche della Costituzione sono stati imposti e non discussi, nascosti e non dibattuti, sia per sempre archiviato come un incubo che non si ripeterà più, e la cui cicatrice possa svanire al sole di una nuova era di partecipazione collettiva?”

    Il problema è che la partecipazione collettiva va ricostruita perché la ferita più grande imposta da questi ultimi anni di non democrazia è stata il senso di paura e scoraggiamento diffuso fra i cittadini.
    La partecipazione collettiva non ricresce da sola, ci vuole gente che si assuma l’impegno di diffondere nuova consapevolezza e nuovo slancio.

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