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Steve Jobs e la spesa pubblica in recessione

Era naturale che avvenisse, c’era da aspettarselo.

Dopo che una (piccola) schiera di economisti è stata autorevolmente distrutta  (teoricamente ma soprattutto empiricamente) nel suo inefficace tentativo di dimostrare che esiste un qualche cosa chiamato “austerità espansiva”, ovvero che dal taglio della spesa pubblica l’economia può tornare a crescere, è soltanto logico che un altro gruppo di economisti si cimentasse con il tentativo di motivare teoricamente quello che i dati ci raccontano da anni, ovverosia che l’economia da queste crisi si riprende solo con aumenti di spesa pubblica.

Lo fanno due pesi massimi della macroeconomia mondiale, Bradford DeLong e Larry Summers, quest’ultimo potente stratega della politica economica del partito democratico e Ministro dell’economia di Bill Clinton  (PS numero 1: è stato anche un polemico e mai rimpianto primo Rettore di Harvard ad essere allontanato dal suo posto prima della fine del mandato).

Lo fanno con una qualche oggettività, devo dire (ma qui sono in conflitto d’interessi: essendo d’accordo con le loro conclusioni, potrei essere abbagliato dalla luce!).

Cosa dicono?

Seguitemi con calma. Dicono che le espansioni di spesa pubblica temporanee, che aumentano il PIL e riducono la disoccupazione e che vengono finanziate con emissione di debito (quindi che creano deficit), in periodi di recessione con bassi tassi d’interesse si autofinanziano.

Notate il “temporanee”: trattasi di aumenti della spesa volti a combattere le recessioni e poi a essere abbandonati. Per “si autofinanziano” intendiamo che, malgrado l’iniziale aumento di spesa pubblica e di debito, il rapporto debito su PIL non cresce grazie all’aumento a breve e lungo periodo del PIL. Quindi crescita, occupazione e stabilità grazie alla spesa pubblica. Se vi va, rovesciamo la prospettiva: dicono gli autori che riduzioni di deficit in recessione, avranno effetti negativi di breve e lungo periodo su crescita e debito e potrebbero addirittura peggiorare i rating e gli spread per timore di un più probabile default.

Ma, attenzione, sostengono i due economisti, le nostre ricette di maggiore spesa pubblica non valgono in periodi dove l’economia tira, anzi sono dannose.

(PS numero 2: Appena appena notiamo che sono i risultati trovati dai valenti ricercatori di Banca d’Italia che mettemmo in luce qualche mese fa).

Che ipotesi ci sono dietro questo roseo quadro? Un moltiplicatore della spesa pubblica (di quanto aumenta il PIL dopo un aumento di 1 euro di spesa pubblica) realistico di 1,5, un tasso d’interesse reale sul debito dell’1%  compatibile con gli attuali livelli ed una sensibilità di tasse e spesa al ciclo economico  pari a quella osservata (circa 0,33). Insomma ipotesi credibili.

Come lo dimostrano?

Considerando i 4 effetti della maggiore spesa pubblica sul PIL odierno e futuro.

1. L’aumento immediato del PIL dovuto alla maggiore domanda di beni nell’economia da parte dello Stato.

2. L’importantissima novità di dare peso ad un effetto di lungo periodo, che tiene conto che i danni delle recessioni si trasmettono al futuro per un lungo periodo tramite lo scoraggiamento dei lavoratori che abbandonano per sempre la forza lavoro (PS numero 3: chi ci segue da tempo sa quanto peso diamo a questo effetto: siamo felici sia stato così tanto considerato da Delong e Summers) e tramite i minori investimenti da parte delle imprese. E dunque che l’evitare oggi, grazie alla spesa pubblica, una peggiore crisi genera di per sé maggiore occupazione e ricchezza permanente nel futuro.

3. Vero è che l’espansione di breve di cui parliamo genera anche la necessità di maggiori imposte per tenere costante il rapporto debito-PIL e questo è un costo per l’economia che gli autori comunque tengono in conto.

4. Ma, all’opposto, è anche vero che le maggiori entrate di lungo periodo dovute alla maggiore crescita renderanno possibile una diminuzione delle aliquote fiscali senza far aumentare il livello del debito pubblico sul PIL. E anche questo effetto positivo sul PIL viene tenuto in conto.

Solo un moltiplicatore basso ed un tasso reale alto potrebbero impedire alla spesa pubblica temporanea di portarci al contempo via dalle secche della recessione e a stabilizzare il rapporto debito PIL. Ma il moltiplicatore è alto proprio durante queste recessioni – argomentano gli autori. Ed il tasso reale è veramente basso in questo periodo, tanto più se la Banca Centrale evita con politiche accomodanti una deflazione che sinora, per fortuna, non si è vista.

Che implicazioni?

Prima. Sorprendente. Che la spesa pubblica espansiva temporanea ha effetti più nel lungo periodo che non nel breve grazie al fatto che permette oggi di avere più risorse permanenti (giovani, occupati, piccole imprese, capitale fisico) di quelle che avremmo se consentissimo alla recessione assassina di sopravvivere. Una minore crescita di 1% per 2 anni dovuta ad una mancata espansione della spesa pubblica genera perdite che potrebbero arrivare, secondo gli autori, addirittura ad un massimo di 0,31% per anno nel PIL potenziale di lungo periodo dell’economia. Lo stesso effetto negativo avverrebbe per quei disoccupati che non rientreranno più, perché scoraggiati, nella forza lavoro.

Seconda. Paradossale. L’assenza di intervento statale sulla spesa pubblica implica che lo Stato cambia atteggiamento per fronteggiare queste crisi con impatti di lungo periodo.  Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, già aveva avuto modo di dire che in queste crisi gli Stati “si sentono spinti, il più delle volte tramite il processo politico, a rendere la vita più sopportabile [a chi soffre] …con sussidi alla disoccupazione,  benefici, programmi di formazione  veri o falsi … e così, rendendo la disoccupazione più sopportabile, alzano il tasso naturale di disoccupazione …”. Impressionante similitudine con le riforme del lavoro del nostro Governo non trovate? Nessuna spinta alla domanda pubblica, protezione per i disoccupati. E dunque, dice Blanchard, maggiore disoccupazione. Fantastico!

Terzo. Fatti, non parole. La recente esperienza del Governo Obama uscito dalle secche della crisi con deficit su PIL mai visti in Europa (vedi grafico) ha dimostrato che la spesa pubblica durante le recessioni ha un impatto, rapido e che, come ha dimostrato l’annuncio di Obama, può essere ridotta quando non serve più.

Quarto. Sperabile. La politica monetaria deve aiutare e non diventare restrittiva a fronte di una espansione della domanda pubblica. Questo, dicono gli autori, ha fatto Bernanke coordinandosi con l’amministrazione Obama.

Quinto. Casa nostra. Se i tassi d’interesse sono alti, c’è il rischio che i mercati si rivoltino contro o che i vantaggi della maggiore spesa pubblica siano più limitati. Questo vale per Grecia, Italia e company. Come da sempre dico, l’Italia non può scatenarsi in un deficit come quella Usa. L’Italia può tuttavia usare le sue entrate – invece che per uccidere l’economia – per finanziare maggiore spesa pubblica (senza deficit) e può tagliare gli sprechi di spesa pubblica (che domanda di beni all’economia non sono ma trasferimenti dai contribuenti a imprese e funzionari pubblici corrotti). La Germania invece deve fare quello che fanno gli Stati Uniti, spesa pubblica in deficit, per dare il segnale ai mercati che c’è una volontà politica europea, di tutti, di affrontare il problema come fece Kohl quando salvò la Germania dell’Est e rese grande la Germania unita con una immensa spesa pubblica. Facendo questo darà forza anche ai paesi più deboli dell’area euro nel perseguire le giuste politiche economiche.

Quarto ed ultimo PS.

Qualcuno dei miei studenti mi dice: “Professore, ma i suoi modelli di economia, che ci racconta e insegna in aula, sono finti?” “No” rispondo. “E allora perché tutti dicono che lei è pazzo?”. “Bella domanda” dicevo fino a ieri. Ora dirò, “vedete, siamo in tanti. I pazzi intendo”.

Ma non è pazzia come la pensano loro. E’ quella pazzia intraducibile in italiano, forse per questo comprensibile solo dagli americani, che menziona Steve Jobs quando parla ai giovani e gli dice: “be hungry, be foolish”.

ll messaggio di Steve Jobs vale anche per anche per la politica, a cui spetta di avere ambizioni, ideali, coraggio.  Ecco, forse il nostro Governo è a dieta ma non ha fame. Ma non per questo  dobbiamo essere come loro. Be foolish, be hungry. Chiedete l’abolizione dello Stupido Patto Fiscale e chiedete il Rinascimento italiano. Chiedeteli senza timore perché siete dalla parte della ragione e degli ideali.

3 comments

  1. Riccardo Colangelo

    23/03/2012 @ 22:50

    Oggi:

    “La crisi stava rendendo sempre più difficile la sua attività lavorativa, troppe le difficoltà economiche per un imprenditore di Villanova di Cepagatti, E.F. di 44 anni, che stamattina è stato trovato morto all’interno della sua azienda dagli operai che stavano andando a lavorare. Un piccola azienda che realizzata infissi che l’uomo originario di Chieti gestiva insieme al fratello.”

    Non so se la riforma del lavoro aumenterà i licenziamenti o le tutele dei lavoratori, ma certo la politica economica dei professori (scusami!!) in Italia ed in Europa sta diminuendo il numero degli imprenditori (piccoli, non credo la cosa riguardi banche e grandi aziende assistite). Poi non ci sarà più bisogno di licenziamenti.

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  2. da suo studente non posso che condividere il ragionamento

    eppure proprio come dice lei “Solo un moltiplicatore basso ed un tasso reale alto potrebbero impedire alla spesa pubblica temporanea di portarci al contempo via dalle secche della recessione e a stabilizzare il rapporto debito PIL”

    e non era forse questa la situazione iniziale dell’Italia? Quando i btp erano schizzati e si era appena insediato il governo Monti?
    Mi è venuto in mente proprio perchè il governo attuale da sempre parla di un successivo periodo di riforme volte alla crescita..

    Non potrebbe essere che prima di un programma di espansione della spesa pubblica si debba operare con rigore per placare la fiducia dei mercati? (Sempre che questa non sia strumentalizzata; c’è chi dice che con i titoli sui debiti pubblici europei molte banche si sono sistemate le voragini finanziarie che si portavano dietro dallo scoppio della crisi)

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  3. Buongiorno Professore e buon viaggio verso il Messico.
    Lei mette giustamente l’accento su due punti importanti: temporaneità della spesa pubblica in deficit e taglio degli sprechi, ovvero dei puri trasferimenti da contribuenti ad imprese e funzionari corrotti.
    Siamo in Italia, il paese dove il temporaneo, lo sperimentale, diventa più definitivo del permanente, dove lo spreco è stato eletto a sport nazionale più del pallone.
    Io, forse lo avrà ormai capito, sono di natura liberista. Eppure ieri su un altro sito di tendenze liberali commentavo che è inutile stare a fare discorsi su privatizzazioni e liberalizzazioni (nel caso specifico si riparlava di acqua) che la maggior parte della gente non vuole, errando a mio parere ma io conto per me stesso. Meglio quindi aderire ad un principio di realtà e cercare di fare funzionare al meglio quello che si ha.
    Lo stesso penso dovrebbe valere per la spesa pubblica. Sappiamo che non sarà temporanea e sarà sprecata. Prima mettiamo le mani su quella già esistente.

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