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Ma, nel frattempo, motori a tutta forza, via dall’iceberg

Ma che meraviglia.

Il prof. Giavazzi è diventato keynesiano.

Sono felice di questo, molto felice. Alla fine altro che goccia che scava la pietra, qui la goccia ha scavato la montagna.

Ebbene sì, secondo Francesco: 1) esiste qualcosa chiamato “moltiplicatore” della politica fiscale, 2) addirittura spiega tutta la recessione nella quale ci troviamo e 3) questa recessione è tutta dovuta alle manovre adottate dal Governo Monti e dagli ultimi mesi del Governo Berlusconi.

Potete immaginare la mia gioia nell’apprendere che secondo Giavazzi, al contrario di quanto pensa Michele Boldrin, esiste qualcosa chiamato ciclo economico (congiuntura?) che spiegano l’attuale andamento dell’economia italiana. Altro che riforme che non ci sono e che non arrivano. Le riforme secondo Giavazzi non spiegano nulla del PIL 2012 e probabilmente di quello 2013.

Non solo, ma apprendiamo che questi valori del PIL, questa terribile recessione, non ci cascano in testa dalla crisi internazionale ma lo hanno deliberato gli ultimi due Governi, prendendosene la piena responsabilità politica. Senza, aggiungiamo, aver portato a casa il minimo miglioramento del così chiave rapporto debito pubblico-PIL, ma anzi un suo peggioramento.

A conferma di questa sua splendida trasformazione, e delle sue affermazioni, il Giavazzi keynesiano cita la più “keynesiana” degli economisti del governo Obama, Christina Romer, il cui nome ha spesso trovato spazio su questo blog.

Peccato però.

Peccato che Giavazzi si perda per strada un piccolo dettaglio.

Che fare i keynesiani è roba pericolosa. Richiede coerenza. Per esempio che, se come lui argomenta, esiste un moltiplicatore che deprime la domanda ed il PIL se aumenti le tasse, esiste dunque anche un moltiplicatore che deprime la domanda ed il PIL se riduci la spesa pubblica come questo Governo intende fare nel 2013.

Peggio ancora, se usi il moltiplicatore come metodo investigativo, lo puoi anche usare come strumento di politica economica: e dunque se ammetti che meno tasse aiutano il PIL, ma anche che più spesa pubblica aiuta il PIL, sai cosa fare: o più spesa o meno tasse. Per uscire da questa crisi autoimposta, come dice Giavazzi.

Ma più spesa pubblica o meno tasse? Cosa è meglio?

Ora Giavazzi non parla della spesa pubblica perché sembra soffrire di allergia nei suoi confronti. Allergia ideologica. Ma un economista non si fa guidare dall’ideologia, ma dai numeri. Freddi e puri.

E allora vediamo cosa dicono i numeri. Potremmo prendere migliaia di studi sul moltiplicatore, ma fidiamoci di Giavazzi, prendiamo la sua economista keynesiana preferita, Christina Romer. Che su questo tema meno di un mese fa ha scritto sul New York Times le seguenti cose (da me tradotte, non ideologicamente), sulla manovra fiscale dei primi anni Obama:

malgrado il Recovery Act di Obama pare avere avuto molti benefici sull’economia Usa, avrebbe potuto essere più efficace … Un mix diverso di maggiori spese e minori tasse sarebbe stato desiderabile. I soldi dati agli stati e ai comuni per migliorare i loro problemi di bilancio pare essere stato particolarmente efficace a creare posti di lavoro nel breve termine. D’altro canto, molte famiglie non hanno nemmeno compreso di avere ricevuto tagli d’imposte, e ciò può avere avuto un impatto minore di quanto inizialmente immaginato. E rimpiango disperatamente  di non essere stati capaci di creare un programma di occupazione pubblica che avrebbe potuto direttamente assumere molti disoccupati, specialmente giovani“.

Le minori tasse funzionano molto peggio della maggiore spesa pubblica nel generare ripresa. Vanno bene tutte e due, ma è bene saperlo, chi funziona meglio.

Già Francesco, funziona così l’essere keynesiano. E’ magico, perché è coerente, finché deve durare. Fino a quando questo Governo e questa Europa ci forzeranno con le loro stupide e scellerate politiche a rimanere lontani della piena occupazione ed a rischiare la fine dell’euro, essere keynesiani vuol dire spingere tutti i motori della nave, specie quelli più potenti, per spingerci lontano dall’iceberg prima che sia troppo tardi.

Quando finalmente saremo fuori pericolo, quando finalmente con un uso sapiente e solidale delle politiche economiche avremo convinto il settore privato a riprendere con coraggio il cammino, quel giorno sarò felice di mettere in soffitta i miei bellissimi (e un po’ consunti dal tempo che passa) vestiti londinesi anni 30 da keynesiano e avviarmi con un fantascientifico completo da far invidia alla City, verso un luminoso futuro da liberale che desidera lasciare quanto più spazio possibile alla libera iniziativa privata.

Ma, nel frattempo, motori a tutta forza, via dall’iceberg.

14 comments

  1. Adesso parte il toto-keynesiano: “chi sarà il prossimo keynesiano”
    1) Alesina
    2) Zingales
    3) Boldrin
    ???
    Via dal titanic direi, più che dall’iceberg. L’iceberg è un po’ come i dati, sta lì. Il titanic è quella nave che aveva capito tutto:
    -meno scialuppe, servono a poco
    -questa è una nave sicura, mica come le altre

    poi s’è scontrata con l’iceberg dei dati e sappiamo com’è andata a finire

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  2. Caro prof, lei molto correttamente parla di numeri freddi che sono quelli che contano. Per uno come me che progetta ciò è ovvio. Il fatto che vi siano troppe persone che hanno studiato economia e che non conoscono il metodo scientifico e i metodi quantitativi mi pare una priorità assoluta da riformare. Probabilmente nelle facoltà di economia bisognerebbe rendere obbligatorio un numero molto elevato di esami di matematica applicata, sistemi dinamici ecc. A questo punto mi pare che molti dei mali del mondo dipendono dal fatto che tante università formano persone che poi vangono chiamati di conseguenza economisti, ma che in realtà non capiscono un bel niente. Mi sa che un giorno, purtroppo troppo lontano, gli studenti di economia avranno un programma di studio molto più vicino a quanto si fa nelle facoltà di fisica e ingegneria. Un tale tipo di avvicinamento stà già avvenendo in ambito internazionale tra medicina/biologia e fisica/matematica/ingegneria… Cosa ne pensa?

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  3. Stefano Rocchi

    15/11/2012 @ 13:51

    Certo pensare che per uscire dalla crisi è tutta questione di “moltiplicatore” è cosa che fa riflettere. 2000 anni fa qualcuno per risolvere una “crisi” moltiplicò i pani ed i pesci. Forse (senza essere blasfemo) anche Lui era un economista, però, camminava sull’acqua. Noi nel 2012 siamo, probabilmente (o forse no), più fortunati. Tutto sommato dobbiamo solo conoscere la matematica ed essere keynesiani.

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    • Ma non bastava lasciare agire liberamente le forze del mercato per ottenere la migliore approssimazione del paradiso in terra? Equilibri naturali e non gasati?
      La realtà dolorosamente ci chiarisce che la mano sarà anche invisibile ma l’ombrello (di Altan) ha una sua concreta consistenza che i più percepiscono distintamente.

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  4. luca martinelli

    15/11/2012 @ 15:09

    prof. le segnalo questo articolo che ritengo e vorrei sapere la sua al riguardo:

    http://feeds.ilsole24ore.com/c/32276/f/438662/s/259b60ce/l/0L0Silsole24ore0N0Cart0Ccommenti0Ee0Eidee0C20A120E110E150Ceuropa0Eforte0Eleuro0Edebole0E0A640A10A0Bshtml0Duuid0FAbKAJ32G/story01.htm

    non le sembra ancora un modo per evitare di affrontare gli squilibri insiti nell’europa causati dai cambi fissi?
    Si continua a guardare all’estero ma gli squilibri di bilancia dei pagamenti di Italia, Francia e Spagna è guarda caso correlata al surpluss abnorme Tedesco.
    Senza contare che dal 2008 in poi le esportazioni tedesche sono aumentate soprattutto verso l’Europa e non come si crede vs gli USA.

    Quindi come potrebbe una maniera simile favorire le condizioni di Italia ecc. se i problemi sn interni?

    Reply
  5. Io sono convinto che il governo italiano/europeo non applicherà mai politiche keynesiane. In gioco, sempre secondo me, non c’è una certa visione dell’economia ma
    il tentativo di svuotare la democrazia di significato e di valore e un certo livello conflitto sociale (e magari una guerra…) è funzionale a un disegno del genere.

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  6. Giacomo Gabbuti

    15/11/2012 @ 18:28

    Nel frattempo, i popoli d’Europa si sono svegliati finalmente.
    Il primo sciopero continentale che la storia ricordi, partito dal piccolo Portogallo.
    Ieri a Roma, prima delle cariche e dei lacrimogeni, gli studenti liceali cantavano:

    “Roma – Atene – l’Europa ci appartiene!
    Madrid – Lisbona – la piazza non perdona!”

    Ed era tutto un rimbalzare di sms di Erasmus in giro per il Mediterraneo, io personalmente a rassicurarmi a vicenda con un’amica a Lisbona. Ieri noi studenti ci siamo sentiti tutti finalmente più europei, persino nelle botte che ci hanno dato.

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    • Ieri noi studenti ci siamo sentiti tutti finalmente più europei, persino nelle botte che ci hanno dato.
      ****in germania non risultano manifestazioni
      (comunque la violenza andrebbe evitata , o almeno di prenderle…le botte)

      Reply
  7. Caro Professore,
    ho letto con grande interesse il suo post, la domanda che viene immediata e’ come mai la sua e’ una voce unica in mezzo ad un coro di spietati difensori del giusto rapporto deficit Pil e della riduzione della spesa pubblica e dell’aumento della pressione fiscale, ormai ai massimi in ogni utile confronto di spazio e tempo ?

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  8. Stefano Caiazza

    22/11/2012 @ 15:01

    “Mi sa che un giorno, purtroppo troppo lontano, gli studenti di economia avranno un programma di studio molto più vicino a quanto si fa nelle facoltà di fisica e ingegneria”.

    Allora sarà decretata la morte dell’economia!
    Per altro già gravemente malata in quanto affetta dal terribile e contagiosissimo virus chiamato ideologia.

    L’economia ha bisogno della matematica e del quantitativo. E’ cosa certa.
    Ma l’economia è una scienza sociale non una scienza esatta (hard science). Due politiche identiche attuate in apesi diversi o nello stesso paese possono dare risultati diversi.
    L’economia deve essere quantitativa ma recuperare molto delle sue origini, lavorando con filosofi, antropologi, sociologi.

    Dire che una persona è alta 1.70, pesa 70kg, è di sesso maschie, svolge il lavoro di medico, è sposato senza figli, ha 50 anni, definisce molte caratteristiche interessanti della persona. Che un matematico o uno statistico userebbero subito per fare qualche analisi.
    Ma non dicono nulla, prorpio nulla, dell’essenza di quella persona. Chi egli è. Quali spono le sue aspettative. I suoi timori. Le sue gioie. Ossia si è completamente incapaci di prevedere le sue reazioni in determinati contesti.
    L’uomo che diventa un numero mi riporta ad un recente, tristissimo passato…

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