Oggi sul Sole 24 Ore
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E’ stato pubblicato il nuovo Documento Programmatico di Finanza Pubblica (DPFP) per il triennio 2026-2028. Un documento forse più importante della manovra finanziaria di fine anno, perché ne condiziona la dimensione se non le caratteristiche e che, oltre ad essere la cartina di tornasole delle ambizioni e della lungimiranza di una coalizione di Governo, incide significativamente sulle aspettative economiche di imprese e famiglie nel medio periodo, plasmandone ottimismo o pessimismo per investimenti e consumi. Se guardiamo alla Francia, in cui da più di un anno i governi cadono e le opposizioni euroscettiche si rafforzano proprio a causa del blocco delle scelte di finanza pubblica, risulta ancora più evidente quale sia la rilevanza politica delle linee programmatiche disegnate nel DPFP.
La lettura del documento italiano rende evidente la straordinaria mancanza di ambizione di questo nostro programma pluriennale. In primis, perché vi si dichiara pubblicamente che il tasso di crescita del PIL del prossimo triennio sarà dello 0,7%, 0,8% e 0,9%, a fronte di una crescita media dell’area dell’Unione europea nello stesso triennio stimata all’1,1%, 1,7% e 1,7%. Praticamente il doppio. Già solo questo dato non può che influenzare negativamente le aspettative di cui sopra. Tanto più che, nelle pagine seguenti del Documento, scopriamo come sia stato lo stesso Governo a scegliere, scientemente, di generare questi numeri così mediocri.
A pagina 59 cittadini e imprese troveranno infatti un grafico che mostra chiaramente le ragioni della mancata ripresa dell’Italia. Vi si illustrano l’indebitamento netto, il surplus primario e il debito pubblico (in percentuale del PIL) programmatici per il triennio 2026-2028 e si scopre come ancora una volta il Governo italiano sceglie di aumentare il surplus primario, dallo 0,9% di quest’anno all’1,9% di PIL del 2028. Manca il valore assoluto in euro, comunque facilmente desumibile: circa 10 miliardi di euro l’anno di “sottrazione” di domanda pubblica, per ogni anno del triennio. Quanto basta per spiegare la differenza di crescita con il resto dell’Unione. In realtà, tenuto conto di due ulteriori aspetti, il taglio che questo Governo proporrà a spesa sociale e investimenti pubblici sarà decisamente maggiore: primo, vi sarà con tutta probabilità un piccolo calo dell’imposizione fiscale e secondo, la spesa per la difesa crescerà; ambedue questi fattori dovranno dunque essere più che compensati dai tagli alle altre voci di spesa. Nulla di sorprendente dunque, in quei numeri mediocri di crescita economica, purché si ammetta e riconosca che non sono dovuti alla congiuntura internazionale, ma che sono frutto di una scelta volontaria e masochistica, una scelta di rinunciare a crescere come avremmo certamente potuto.
Ma quale è la ragione di questo continuato masochismo? Sentiremo dire nelle prossime settimane che la certificata austerità è figlia dell’esigenza di garantire stabilità ai nostri conti pubblici. Ma non è così, e il grafico di cui sopra lo chiarisce plasticamente: a fronte di tali sacrifici, dannosi per l’economia e per il nostro stato sociale, il debito pubblico su PIL, indicatore principe dello stato dei nostri conti pubblici, rimarrà … costante, con addirittura una lieve crescita nel 2026! Nulla di strano: l’austerità deprime il PIL, rendendo il nostro rapporto debito-PIL immobile e incapace di avviarsi finalmente verso una traiettoria di discesa. Lo sa bene la Spagna che grazie a politiche espansive di spesa pubblica, ha raggiunto tassi di crescita tali da mettere le proprie finanze pubbliche in un virtuoso percorso di riduzione del rapporto debito pubblico-PIL. Stabilità e crescita non sono alternative, a patto di attuare le giuste politiche.
Non che cambierebbe qualcosa se al governo ci fosse l’attuale opposizione, che grida contro i sacrifici imposti dal Governo stesso. Adotterebbe le stesse politiche comunque, perché sono in realtà imposte dall’Europa: si scopre infatti nel DPFP come, a fronte di una “raccomandazione” del Consiglio europeo di attenersi a un dato (irrisorio) tasso di crescita annuo della spesa pubblica netta, l’Italia abbia aderito senza fiatare, e abbia anzi stretto ancora di più i cordoni della borsa nel 2028.
Questo masochismo che persevera, portando con sé l’irrilevanza della politica italiana, ha purtroppo un solo risultato, ormai fin troppo evidente ad ogni nuova tornata elettorale: disincanto e disamore per democrazia e partecipazione elettorale. La politica non se ne accorge, ma sta scriteriatamente gettando le basi per una rivoluzione populista antieuropea.
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