Salvare l’Europa con una battaglia senza quartiere alle nuove regole europee

Ieri su il Fatto Quotidiano.

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Ha così commentato il Commissario europeo Paolo Gentiloni la decisione di Bruxelles di aprire anche rispetto all’Italia la procedura per deficit pubblici eccessivi: “dopo quattro anni di sospensione delle regole, le nostre politiche economiche e di bilancio iniziano un nuovo ciclo… ciò non significa sicuramente un ritorno all’austerità, perché sarebbe un terribile errore”. In parallelo, però, la Commissione europea ha tre giorni fa abbinato all’apertura della procedura eccessiva per il nostro Paese una richiesta di contrarre la politica fiscale per il 2024.

Parrebbe proprio che il nuovo ciclo di cui parla il Commissario tanto nuovo non sia, e che quel “terribile errore” che effettivamente ha caratterizzato le scelte delle diverse coalizioni italiane che si sono succedute dal 2011 in poi sotto l’attento controllo europeo, e cioè l’austerità, sia destinato a ripetersi, identico a se stesso, per quest’anno e per gli anni a venire. In realtà, l’austerità prevista è ancora peggiore di quella di allora: paragonando l’aggiustamento fiscale del 2011-2014 con quello del 2025-2028 richiesto dalle nuove regole fiscali europee, l’economista austriaco Heimberger ha mostrato come questo ultimo sarà per l’Italia più duro del primo che, ricordiamolo, mise a rischio di implosione l’intera costruzione dell’euro.

Tutto ciò avviene durante tempi veramente difficili, in cui le tradizionali maggioranze europee si cominciano a sfaldare, in cui i populismi riprendono fiato, o in cui gli elettori di alcuni Paesi come il nostro, sfiduciati, non partecipano più alla sfida democratica recandosi alle urne, specie in aree dove tale rappresentanza è ancor più fondamentale, come il Meridione. E’ quasi certo che ciò sia dovuto proprio agli errori di politica economica che hanno caratterizzato quest’ultimo quindicennio, innegabilmente causati da un afflato europeo austero e da una posizione supina di tutti i nostri governi a fronte dei diktat di Bruxelles. Basterà guardare ai Documenti di Economia e Finanza degli ultimi otto governi italiani (da Monti in poi) per vedere che sono la copia carbone l’uno dell’altro: come convincere elettori sfiduciati a votare per un cambiamento solo promesso se questo evidentemente mai si materializza?

Un cambiamento è necessario, perché le regole europee fanno acqua da tutte le parti. Basta guardare cosa avviene dove si fa l’opposto. Si prendano gli Stati Uniti, ad esempio. Perché questi crescono più del doppio dell’area dell’euro nel quinquennio 2020-2024 (quasi il 10% rispetto al quasi 4%)? Non è possibile che sia a causa della politica monetaria, restrittiva da ambo i lati dell’Atlantico; più probabile che sia dovuta al fatto che gli Stati Uniti abbiano fatto deficit doppi in termini di PIL, per finanziare spese strategiche in un momento di grandissima tensione politica interna e estera, di sfide economiche, sociali, tecnologiche e ecologiche da far tremare i polsi e che solo con la presenza rassicurante e convinta dello Stato possono essere stemperate.

Si dirà che questa politica di deficit ampi ha portato l’America di Biden a maggiori debiti pubblici, ma così non è: sia negli Usa che in Europa il rapporto debito pubblico rispetto al PIL è diminuito dal picco del 2020, in ambedue i casi del circa 7%, ma con quelli americani che lo hanno fatto in maniera soft, per il tramite della crescita economica, mentre quelli europei lo hanno fatto in maniera dura, per il tramite dell’austerità. Assurdo vero?

Che ci sia un solo modo compatibile con il consenso sociale per abbattere i debiti pubblici, ovvero per il tramite della crescita economica via spese strategiche, lo dimostra anche l’esperienza degli ultimi anni dell’Italia, che nel 2022-2023, a fronte di una posizione fiscale rivelatasi a sorpresa più espansiva del previsto – a causa dell’ecobonus – ha visto l’economia italiana non solo per la prima volta nel secolo performare meglio della media europea, ma ha anche visto materializzarsi una riduzione del rapporto del debito pubblico sul PIL. Non dovremmo stupircene, visto che vale anche il risultato simmetrico: ogni volta che si è tentata la via della riduzione del debito per il tramite di minori spese e maggiori entrate (ossia via austerità) l’Italia ha visto crescere il peso del debito sul PIL, a causa della recessione indotta. E così stiamo per assistere a breve, per il 2024, a un ritorno di questa evidenza così banale: guarda caso nell’anno in cui si torna austeri, il debito su PIL è previsto interrompere il suo declino e riprendere a crescere.

A fronte di così tanti errori crassi e ripetuti, la costruzione europea, così preziosa per le future generazioni, si indebolisce politicamente sempre di più, diventando protezionista non solo al di fuori dei suoi confini ma anche all’interno (basti vedere il programma politico della candidata populista Le Pen). E’ necessario, per salvarla, una battaglia senza quartiere alle nuove regole europee.

Opera: “Estranei”. Copyright opere Angela Maria Piga, all rights reserved.

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