Oggi sul Sole 24 Ore con Patte Lourde.
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Mercoledì 3 marzo u.s. sono state pubblicati gli “Orientamenti della Commissione europea per la politica di bilancio 2023” per i paesi dell’Eurozona. In essi sembra esservi un’apertura verso un modello di politica economica che, in continuità con le deroghe introdotte a causa della pandemia e tenuto conto delle nuove nuvole nere che si addensano ad est, punti ad un utilizzo discrezionale della politica economica.
I cinque principi sulla cui base la Commissione valuterà i Programmi di Stabilità e Convergenza degli Stati Membri dovranno assicurare: il coordinamento delle politiche e un policy mix coerente; la sostenibilità del debito con un aggiustamento fiscale graduale di alta qualità e con lo sviluppo economico; la promozione degli investimenti e dello sviluppo sostenibile; manovre di bilancio coerenti con un approccio di medio termine, compatibile con i Piani di ripresa e resilienza; la differenziazione tra strategie fiscali nazionali, in particolare fra Paesi molto e poco indebitati, tenendo in considerazione gli spillover all’interno dell’UE.
Queste linee guida arrivano in un momento in cui il Patto di Stabilità e Crescita è in una fase di revisione, lanciata mirabilmente da Draghi e Macron; e sarà importante capire se i principi per il 2023 anticipano tale riforma ovvero se sono ancora frutto di un’eccezione terminologica legata alle necessità di un’economia di guerra. In altre parole se, in un quadro di incertezza, si sia preferito lasciar intendere che le regole del Patto sono ancora sospese.
Comunque sia, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno i cinque principi ruotano su due temi, il debito pubblico e gli investimenti, con una sfumatura terminologica positiva. Pare farsi strada l’idea che una discesa del rapporto debito-PIL legata alla “crescita dell’economia grazie agli investimenti” sia preferibile ad una discesa legata ad una riduzione del numeratore (il debito) dovuto a riduzioni di spesa. Sarebbe notizia importante, specie per il nostro Paese: dato che la spesa per investimenti – preminentemente a vantaggio delle future generazioni – non “vota”, questa è quella che (almeno in Italia), dati alla mano, è stata sempre ridotta per ridurre il debito, comprimendo la crescita potenziale del Paese. In questo senso, le parole “garantire la sostenibilità del debito con un aggiustamento fiscale …di alta qualità” del secondo principio, lascerebbe intendere proprio una maggiore attenzione a come, nel medio termine (cfr. principio 4) tale aggiustamento viene fatto, ovvero promuovendo “l’investimento e lo sviluppo sostenibile” (cfr. principio 3). Il tutto completato dai principi 1 e 5 che sembrano ispirarsi alla necessaria discrezionalità della politica economica, che tiene conto della posizione di partenza di ciascun Paese e delle necessità di sviluppo sostenibile dell’intera area euro.
Alla fine, però sembra onestamente difficile pensare che questa possa essere la vera lettura di questi principi. L’ossessione per la riduzione del debito fine a sé stessa, purtroppo, si mostra quando si effettua la distinzione tra “paesi molto… indebitati” – a cui si raccomanda di avviare percorsi di rientro del debito nella prospettiva di ridurre potenziali “spillover all’interno dell’UE” – e paesi a basso debito, a cui è raccomandato di investire per la transizione. Un’agenda che prelude dunque ad ulteriori divergenze tra “Nord” e “Sud” dell’area euro, che andrebbero a sommarsi a quelle straordinarie di cui testimoniano i dati di performance relativa – sia produttiva che occupazionale – dell’ultimo decennio; con il rischio evidente di ulteriori revanscismi sovranisti e tensioni forse insopportabili per un progetto che ambisce invece e che diviene politicamente sostenibile solo se atto a generare una vera e propria “unione” europea tra diversi.
Non sarebbe stato meglio differenziare i Paesi tra bassa o alta crescita o con disoccupazione giovanile superiore o inferiore al 25%, permettendo ai primi di investire maggiormente? E’ innegabile la necessità di avere alcuni parametri numerici per analizzare le tendenze della finanza pubblica, ma come un medico deve saper leggere le analisi cliniche nel quadro complessivo del paziente, anche i policy maker europei dovrebbero utilizzare i numeri come strumenti e non come cancelli invalicabili. Oggi come mai l’Europa ha bisogno di rafforzarsi economicamente in ogni suo Stato membro per trovare politicamente unità di intenti.
Matter of time è di Angela Maria Piga