Oggi sul Foglio il mio pezzo.
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Il documento del Governo Renzi (“Completare e Rafforzare l’area dell’euro) fatto filtrare sulle pagine del Foglio potrebbe costituire un’ardita e positiva riapertura di credito alle tesi che un’altra Europa dell’euro è possibile.
Come non gioire del fatto che il Governo si concentri sul rischio, assolutamente rilevante, che “il picco del malcontento sociale potrebbe essere ancora davanti a noi”? Che chieda l’adozione di un sistema di politica fiscale simile a quello degli Stati Uniti, capace di rispondere immediatamente alle crisi? Che perori senza ambiguità la necessità di affrontare anche il tema del cambiamento del Trattato pur di procedere verso un sistema basato sulla “solidarietà” tra Stati?
Eppure, a leggerlo più volte, intuisco che quel documento nasconde una trappola.
Renzi, abbandonata – per una resistenza invincibile da parte dei tedeschi – la pretesa di uno schema di “eurobond” capace di generare un trasferimento di risorse dai Paesi dell’euro-Nord a quelli dell’euro-Sud in difficoltà, abbraccia ora la teoria di uno schema di sostegno centralizzato a livello europeo alla disoccupazione nei Paesi più in difficoltà. Proposta che lascia perplessi dato che non si vede perché la Germania dovrebbe accettare uno schema che per il cittadino medio tedesco ha le stesse implicazioni di quelle dell’eurobond, ovvero la cessione di una quota del proprio reddito ad un lontanissimo cittadino greco o italiano.
Ma soprattutto una proposta che non garantirebbe maggiore occupazione e produzione “aggregata” in Europa, ma un mero aumento dei consumi in una parte del Continente compensata dalla riduzione nell’altra.
L’unica proposta capace di generare un effetto positivo non “a somma zero” sarebbe stata quella di una politica fiscale fatta di maggiori investimenti pubblici e minori tasse da parte di tutti i Paesi dell’area euro, più spinta in Germania e meno in Italia, dove ci si potrebbe limitare a mantenere il deficit attorno al 3% attuale di PIL, invece di portarlo, come previsto, allo 0% nel giro dei prossimi tre anni, con quella austerità che secondo lo stesso documento renziano “per troppo tempo ha risuonato nel dibattito europeo”. Una proposta che richiede un unico passo, quello di una modifica del Trattato che cancelli le stupide prescrizioni del Fiscal Compact, che proprio il modello citato come riferimento, gli Stati Uniti, rifiuta di adottare al suo interno. Una proposta che avrebbe un potenziale di consenso germanico ben maggiore, visto che non richiederebbe ai cittadini tedeschi sacrifici economici a favore di cittadini greci ma anzi, una riduzione delle tasse tedesche che potrebbero essere spese in vacanze in Grecia o in elettrodomestici italiani, scatenando un modello virtuoso di ripresa della domanda europea, per di più condivisa fra tutti i Paesi.
Purtroppo la carta della modifica del Trattato in tema di politica fiscale Renzi la utilizza, ma per ben altra proposta: quella di un passaggio ad una politica federale dal centro in cui la scelta di quanto tassare e spendere non rimarrebbe più nelle mani dei singoli Governi nazionali ma in quelle di una autorità centrale, presumibilmente basata a Bruxelles. In fondo non è quello che hanno fatto anche gli Stati Uniti?
No. Il potere, “su” a Washington DC, è arrivato dopo quasi 150 anni di unione tra stati profondamente diversi (Alabama e Massachusetts?), gelosissimi delle proprie prerogative locali su tassazione e spesa. Stati che solo nel tempo, e addirittura dopo una guerra civile, si sono uniti, grazie al coraggio di un leader, Franklin Delano Roosevelt, che proprio negli anni 30 ebbe la credibilità e il carisma per farsi autorizzare dagli Stati ricchi a trasferire risorse a quelli più in difficoltà per essere spesi in opere o lavori pubblici. Così facendo, con il credito della solidarietà che sempre si ripaga, sancì la nascita di quello stato federale americano che oggi conosciamo bene. Per riprendere la terminologia di Barroso (l’Europa come un “impero non imperiale”), una unione imperiale, piuttosto che l’impero unificato che suggerisce il Premier.
Trasferire oggi, con Stati europei ancora lontani culturalmente tra loro, la politica fiscale al centro, non farebbe che levare l’ultima arma di politica economica agli Stati più in difficoltà come Grecia o Italia, non ottenendo nulla indietro perché la politica a Bruxelles sarebbe ancor di più decisa dallo Stato attualmente più forte, la Germania.
No cara Sirena Renzi, io mi lego all’albero, resisto alla tentazione del suo canto, e proseguo nella mia battaglia per un’Europa dell’euro senza austerità che lei non vuole abbracciare, condannandoci al trionfo di quel malcontento sociale già così alto e che le sue scelte farebbero esplodere.
30/05/2015 @ 18:15
Gent.mo Prof. Piga,
ho trovato davvero interessante il suo articolo. Mi consenta di darle un paio di consigli come lettore, studente e blogger:
-frasi più semplici (l’articolo sarà più leggibile)
-utilizzi qualche immagine (un articolo senza immagini è come una bella donna in abito da sera ma senza un bel paio di orecchini)
- utilizzi qualche parola con collegamenti ipertestuali (es. Franklin Delano Roosevelt che rimanda alla pagina Wikipedia…non tutti, ahimè, conoscono Roosevelt. es. Fiscal Compact…potrebbe collegare un articolo che lei stesso ha scritto)
Insomma Professore, renda i suoi articoli e il suo blog più “appetibili” perché meritano.
Per il resto, tanta stima.
Vincenzo
31/05/2015 @ 07:23
Grazie Vincenzo, ha ragione.
31/05/2015 @ 06:25
Professore, ottimo è illuminante!
Faccio girare il più possibile! Un caro saluto sempre…!
31/05/2015 @ 12:09
penso come sempre che se si volesse veramente unire l’Europa evitando il bagno di sangue che tutte le unioni tra nazioni hanno comportato, il percorso saprebbero tutti qual è:
1) lingua comune in tutta Europa per favorire la circolazione delle idee e il consenso che è la base di legittimità di ogni democrazia;
2) organi legislativi ed esecutivi democraticamente eletti e con pieni poteri nei propri ambiti;
3) trasferimento di liquidità.
Per il contingente basterebbe modificare il trattato obbligando i paesi in surplus strutturale del CA ad adottare politiche di espansione della domanda interna, come cavolo ritengono più giusto, con riforme giuslavoristiche o spesa pubblica, fino al riequilibrio.
Diceva un economista illustre che nessuna politica di cooperazione tra stati lo è veramente se non persegue nel medio periodo il pareggio del CA. Tragga Lei le conlusioni.
02/06/2015 @ 12:50
Si capisco e condivido spirito. Gli USA non hanno mai messo obblighi di pareggio CA tra stati, ma obbligo di sano pragmatismo. Vediamo come va con la Grecia, importante per capire se vi è parvenza di pragmatismo.
15/06/2015 @ 19:29
Professore buona sera!
Mi chiedo se la BCE non sta utilizzando la caduta della Grecia a proprio beneficio?
…come?
Come tecnica per ottenere :
I – riforme decisive negli Stati ” Diversi ” dalle Nazioni produttive e volgere il tutto a proprio favore in termine di flussi , ovviamente,Sussidiati dalla BCE ( che controlla PRIVATAMENTE l’economia dell’unione) ?
II – foraggiarli perche’ salvino la situazione quando in realta’ sono stati loro a decretarne la distruzione per aprire nuove strade d’acquisizione per i signori Privati azionisti?
…mah?
Trovo sempre tutto molto interessante, nelle sue riga.
Ossequi