Voglio parlarvi di spending review, spesa pubblica, Governo, Paese. Sono molto preoccupato per le sorti della prima e dell’ultimo.
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In Italia il settore pubblico non spende molto. Le slide che vi mostro sono tratte da una lezione recente a Tor Vergata del ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco. La prima mostra come l’Italia tuttora spenda, in spesa primaria (spesa totale esclusi i trasferimenti per interessi), meno del resto dell’area euro. Eppure non potrà sfuggire ai più come il differenziale di spesa tra Italia e resto di Europa si è ampiamente ridotto in questi ultimi 20 anni.
La chiusura del gap di spesa primaria (comunque noi rimanendo più “virtuosi” della media degli altri Paesi) è avvenuta in due periodi storici e con dinamiche decisamente diverse.
La prima volta? Prima dell’ingresso nella moneta unica – dopo la prima metà degli anni 90 . Il gap si chiude non perché noi spendiamo di più in termini di spesa primaria, ma perché sono gli altri a spendere di meno. Tutti dovevamo fare in quegli anni uno sforzo per rientrare nei parametri fiscali richiesti dell’euro: gli altri lo fecero sulla loro spesa primaria ben più alta della nostra, noi invece sulla spesa per interessi che era altissima a causa del debito pubblico. E il merito non fu di Ciampi, né di Prodi (che agì, comunque meritoriamente e temporaneamente, sul lato delle entrate con la famosa tassa sull’Europa) come vuole la vulgata, ma di un signore ancor oggi poco gradito ai salotti buoni, si chiama Antonio Fazio, allora Governatore della Banca d’Italia, che si batté, vincendo, da vero falco coraggioso contro (quasi) tutti per abbattere le aspettative inflazionistiche e far crollare il premio nominale sui tassi d’interesse applicati ai nostri titoli.
La seconda volta? Quella invece è tutta colpa nostra e la vedete nel cerchio verde: negli anni in cui l’economia italiana ancora un pochino tirava, dal 2001 al 2006, prima della crisi del 2007, mentre la spesa primaria degli altri paesi rimane sostanzialmente stabile, da noi cresce di 2,5 punti di PIL. Dato il nostro debito, avevamo l’obbligo e l’intelligenza di non farlo e esercitare prudenza almeno come gli altri Paesi europei: non lo facemmo, ed oggi forse ne paghiamo le conseguenze.
Il grafico sotto mostra ancora meglio come, in quegli anni così critici, le dinamiche effettive sfuggirono di mano rispetto alle previsioni.
Dal 1998 al 2007 la crescita economica in Germania fu praticamente uguale alla nostra, ma mentre questa mantenne costante la spesa corrente primaria (spesa senza interessi né investimenti pubblici) in rapporto al PIL, noi la lasciammo aumentare in valori reale del 2,1% annuo.
Rimane il fatto che spendiamo da allora come l’Europa, non di più.
Ma a quell’errore di allora stiamo oggi, o meglio dal 2010, sommando un altro errore marchiano, assurdo. Spendiamo con il settore pubblico di meno, molto di meno, proprio ora che avremmo bisogno di spendere di più per venire incontro alla scomparsa della domanda privata dall’economia. I numeri, sempre esposti dal Ragioniere Generale, sono chiarissimi. Dal 2010 ad oggi la spesa primaria corrente senza tener conto delle pensioni (altro trasferimento che non incide sul PIL, quindi è bene fare i conti senza) è scesa in valore nominale (senza tener conto dell’inflazione) da 432 a 420 miliardi (di 6 miliardi in meno quella per beni e servizi, di 10 quella per stipendi pubblici). Ma per comprendere bene le dinamiche di questa crisi è meglio citare dei numeri che uniscano passato recente e futuro prossimo, inserendoli nel contesto di quanto promesso all’Europa dai nostri Governi, così da far comprendere come stiamo influenzando le aspettative, già cupe, di famiglie ed imprese. Ecco a voi i numeri 2010-2018, variazione complessiva: spesa corrente, -3,3% in termini reali; spesa in conto capitale, -31,3% in termini reali.
Ecco l’Italia non spende tanto, ma spende male. Spende male due volte: nella qualità, sprecando e non facendo quanto necessario per evitarlo, e nel timing, spendendo tanto quando non ce n’è bisogno e poco quando ce n’è l’assoluta necessità.
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Di errori Carlo Cottarelli ne ha fatti tanti. Non ha reclamato quando sin dall’inizio gli sono stati dati solo 5 dipendenti a tempo non pieno e senza competenze specifiche per fare un lavoro che ne meritava 500 specializzati. Ha fatto scrivere nel DEF numeri (i 17 miliardi del 2015) di tagli di spesa assolutamente disastrosi per l’economia perché di fatto tagli lineari a casaccio: una cifra di quel genere si raggiunge soltanto in svariati anni di testardo lavoro, come dimostra l’esperienza britannica, e non in pochi mesi. Ed, in ultimo, ha fatto passare l’idea che non si possono spendere i risparmi eventuali di spesa per fare investimenti pubblici (come fa il Regno Unito) ma solo per ridurre le tasse, cosa di cui l’economia italiana non si gioverà in questa crisi, come non si è giovata del bonus di 80 euro.
Ma a pensarci bene non sono errori di Carlo Cottarelli. Sono gli errori di chi non ha dato personale a Cottarelli, di chi ha detto in Europa che pur di seguire quanto richiesto dal Fiscal Compact si sarebbe ridotta di 17 miliardi la spesa, senza nemmeno sapere da dove cominciare, di chi continua a pensare che abbattendo stipendi pubblici, investimenti pubblici e domanda pubblica di beni e servizi l’economia in questa crisi da domanda si risollevi.
Sono gli errori di tre governi, Monti, Letta e, ormai pare sia così, Renzi che paiono vederla in fondo allo stesso modo su quanto (poco) sostenere effettivamente un lungo e complesso progetto di spending review tramite la loro leadership ed il loro appoggio incondizionato; su quanto (poco) combattere effettivamente delle regole europee assolutamente astruse e recessive; su quanto (poco) resistere all’ideologia che la spesa pubblica è il male assoluto e solo le minori tasse (mai attuate in realtà) ci salveranno da questa crisi, contro ogni evidenza empirica.
03/08/2014 @ 08:59
È vero. Il primo problema è che nessuno ha mai creduto nella revisione della spesa. Sin dall’inizio. Sono d’accordo, gli errori non sono di Carlo Cottarelli.
03/08/2014 @ 13:05
Scalfari invoca la Troika per l’Italia.
http://www.repubblica.it/politica/2012/09/09/news/per_l_europa_o_contro_la_scelta_questa-42199643/
Dice Scalfari:
“Dirò un’amara verità che però corrisponde a mio parere ad una realtà che è sotto gli occhi di tutti: forse l’Italia dovrebbe sottoporsi al controllo della troika internazionale formata dalla Commissione di Bruxelles, dalla Bce e dal Fondo monetario internazionale [...] Capisco che dal punto di vista del prestigio politico sottoporsi al controllo diretto della troika sarebbe uno scacco di rilevanti proporzioni, ma a volte la necessità impone di trascurare la vanagloria e questo è per l’appunto uno di quei casi.”
Ma ci si rende conto?
Ma la borghesia nazionale italiana è davvero fatta solo di traditori?
Una volta i figli della ruling class venivano educati al comando e al privilegio ma con l’obbligo inderogabile di dover essere i primi a doversi sacrificare per il proprio paese nel momento dell’emergenza perché il “comando e privilegio” comportavano al tempo stesso il pesantissimo fardello dell’assunzione di una responsabilità personale nei confronti del proprio popolo.
Non è che sia il massimo intendiamoci, sarebbe il momento di ripensare questo tipo di rapporti di classe, ma se permettete almeno lì c’è del sangue, c’è un ideale (per quanto rivedibile), c’è coraggio e spirito di sacrificio.
Oggi di quella borghesia dai principi ferrei fatti di moderazione e senso del dovere è rimasta solo la caricatura orrendamente senile dei vecchi narcisisti che in tarda età sentono nuovamente il richiamo delle mostruose suggestioni autoritarie e aristocratiche a cui avevano ceduto nella giovinezza.
Vecchi narcisisti che senza provare imbarazzo sono arrivati addirittura ad alterare le parole del Papa che gli aveva concesso una intervista amichevole
http://www.lettera43.it/politica/intervista-a-papa-francesco-scalfari-smentito-di-nuovo-dal-vaticano_43675134939.htm
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/due-nuova-intervista-scalfari-nuova-smentita-papa-cos-80815.htm
http://www.liberoquotidiano.it/news/italia/11653421/Scalfari–nuova-figuraccia-col-Papa.html
03/08/2014 @ 22:18
I valori assoluti in genere dicono solo una parte della storia, bisognerebbe ampliare l’analisi.
Ad esempio, l’incidenza della spesa sul “PIL” personale di un single è minore di quella di una famiglia con pari reddito di quattro persone. E non è detto che tra due famiglie di quattro persone quella che spende meno spenda meglio: il capo famiglia potrebbe spendere meno per i figli, più per (ad es.) una bella auto.
Lo stato non ha soldi propri, ma solo quelli dei contribuenti (Margaret Thatcher), e uno stato che spende meno sul PIL, ma che, considerando l’incidenza delle varie voci di costo sul totale del costo della PA, spende il 25% in più degli altri per spese generali (il sistema “legislativo”) e meno sulle restanti voci (es. sanità e istruzione) non è detto che li spenda bene. Prescindendo da quanto pesano le tasse.
Questo è lo scopo della Spending review, individuare quali sono le aree di spesa coerenti con le politiche e gli obiettivi di crescita (ce ne sono?), non solo “tagliare” la spesa. Soprattutto non suggerire di spegnere le luci delle città la sera. O, peggio, fare tagli lineari, o pensare di ridurre la spesa sanitaria risparmiando sulle siringhe, ma non verificando quanto pesa il personale dirigente medico (in totale e per regione) sul totale dei costi, e mettendolo in relazione al numero di posti letto (fabbisogno reale di personale).
Peccato, il lavoro di Giarda mi era piaciuto, ma per metterlo in pratica ci vorrebbe un rottamatore, con una “t” sola.
04/08/2014 @ 14:17
URKA Prof!
La spesa pubblica è cresciuta proprio nel periodo (2002-2006) in cui LEI presiedeva la Consip, ovvero la CENTRALE ACQUISTI !
Dimostrazione evidente che tra le parole, le teorie e gli studi ed I FATTI e i RISULTATI, il passo è lungo e ARDUO!
04/08/2014 @ 20:54
Assolutamente Dario, lo volevo menzionare poi avrebbe distratto il pezzo dal suo scopo, ma lei ha assolutamente ragione. Quel grafico racconta una storia di un fallimento, anzi se ben vede, di un successo seguito da un fallimento. Quando arrivammo nel 2002, sotto la regia di Mario Baldassarri, vice ministro di allora, il piano c’era eccome. Ne vede il risultato quantitativo sul grafico. Poi si misero a litigare tra Tremonti e Baldassarri e soprattutto noi insistemmo a fare grandi gare che facevano fuori le PMI e queste si ribellarono, e Berlusconi , ascoltandole, chiuse il programma. E’ una storia lunga, troppo da me condensata, ma il suo punto rimane validissimo. Grazie.