Sliding Doors

Oggi sul Sole 24 Ore

*

Un elettroshock. Così il Presidente francese Macron ha definito l’arrivo di Trump per l’Unione europea. Difficile dargli torto. Ma quale tipo di reazione genererà sul paziente europeo questo tipo di scossa? Una possibile risposta proviene dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, che auspica di rendersi indipendenti dagli Stati Uniti sia cercando un altro partner commerciale, la Cina, sia investendo significative risorse aggiuntive nella difesa, per di più scorporandole dal calcolo del tetto al deficit e alla spesa pubblica. Leggendo le parole di Macron si capisce come egli ritenga che questa sia una strategia perdente.
Perdente perché tradisce innanzitutto una costante della politica economica tedesca, quella di una Europa “germanica” mercantilista che basi la sua crescita su di un export competitivo fatto di moderazione salariale e di conquista di mercati extra-UE. E questo modello, imbevuto di austerità, è quello che nell’ultimo decennio ha depresso la domanda interna di parte degli Stati membri europei, aumentando le disuguaglianze nell’area dell’euro e accrescendone l’instabilità politica e sociale, alimentando così i sovranismi ed i populismi. Non solo. Nascendo come progetto esplicitamente alternativo a quello storico e profondo che ci lega agli Stati Uniti, mira a rimpiazzare un’amicizia certa – seppur momentaneamente messa alla prova dagli umori e ambizioni di Trump – con una scommessa politica di riavvicinamento, pur apprezzabile, a una cultura ancora lontana da noi, come valori e interazioni, come quella cinese. Insomma, una strategia che mette l’Unione europea in mano ai capricci e umori di altri Paesi che diventano arbitri del nostro destino, come se non avessimo sperimentato a sufficienza questa triste dipendenza e le sue nefaste conseguenze.
Il pensare, come fa la Von der Leyen, che l’Europa possa poi fornire una risposta solo militare alle sfide che ci pongono il XXI secolo e la contingenza politica attuale, prediligendo questo tipo di spesa a ulteriore detrimento delle altre, compresa la spesa per le fasce più deboli e fragili, sottostima fortemente l’insoddisfazione che, in un numero sempre maggiore di stati membri, aumenta il consenso degli elettori per le destre sovraniste portandole sempre più spesso al governo.
Emmanuel Macron sembra conscio di quanto ben altro necessiti l’Europa per rispondere a Trump o, meglio, di quanto l’elettroshock di Trump possa e debba diventare un’occasione, forse la prima, per far finalmente entrare l’ancora adolescente Unione europea nell’età adulta, finalmente indipendente e capace di affermarsi per quel che può essere. Se il Presidente francese non nega la rilevanza di una difesa comune europea e di maggiori investimenti pubblici necessari a rafforzarla (significativo il riferimento al fatto che gli stati membri dovrebbero acquistare il sistema di difesa aerea franco-italiano SAMP-T, a suo dire “migliore” del Patriot, l’equivalente statunitense, già utilizzato da diversi paesi dell’UE), allarga comunque il ventaglio delle spese necessarie a quelle che ritiene, come francese, strategiche, tra cui intelligenza artificiale e transizione verde. Ma, soprattutto, abbandonando per la prima volta l’enfasi che tutte queste spese debbano essere finanziate a livello europeo, prende atto di come l’Europa debba liberarsi dai limiti di deficit previsti dal patto di stabilità e crescita, giudicando le regole approvate solo 6 mesi fa come obsolete: “il quadro finanziario e monetario in cui viviamo è superato”!
E’ un’affermazione importante, che conferma di come non ci sia più tempo per attendere il compimento di una riforma complessiva che permetta di spendere, anche in deficit, a livello europeo, mantenendo al contempo le politiche fiscali dei singoli stati austere e lasciandoci quindi nel frattempo nell’impossibilità di essere fortemente espansivi come Cina e Stati Uniti. E’ ora invece di abbandonare le già vecchie regole e permettere ad ogni Stato membro di effettuare le spese necessarie alla propria ripresa, anche eventualmente in deficit. L’Italia, se lo vorrà, potrà scegliere investimenti pubblici diversi da quelli francesi, magari nella sanità, senza per questo indebolire la costruzione europea, e anzi rafforzandola, grazie ad un ritrovato consenso politico nelle basi elettorali di ogni singolo stato. Ciò è ancora più rilevante se si pensa che stiamo entrando nell’ultimo anno del PNRR e che è quindi essenziale rassicurare le nostre imprese, dando certezza sul non venir meno della domanda pubblica nell’economia di ciascuno stato membro, anche negli anni a venire. A quegli stati europei, preoccupati di lasciare spendere altri stati come il nostro, si potrà rispondere dando alla Commissione europea il ruolo che ha già assunto in parte durante il PNRR: quello di controllare non i deficit o i livelli di spesa ma la qualità di quest’ultima.
Una cosa è certa: l’Unione europea dell’euro è davanti al bivio più critico della sua “breve” storia. Scegliere di implodere per il tramite dei populismi crescenti o scegliere di affermarsi sulla scena mondiale distinguendosi per i suoi valori e per la sua forza, sedendo al tavolo mondiale delle decisioni e non invece stando solo sul menù. E l’Italia, stavolta, sarà decisiva nell’influenzare quale strada imboccare.

Opera: “Untitled”. Copyright opere Angela Maria Piga, all rights reserved.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *