La sfida interna su austerità o PNRR

Con Gaetano Scognamiglio, oggi su Il Sole 24 Ore

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Silenzioso ma non per questo innocuo, sopra la manovra pende come una spada di Damocle un dato: quello dell’ammontare dei fondi presi a prestito grazie al PNRR e ancora da spendere entro il 2026. Il perché è presto detto: saranno non tanto le sovvenzioni (che non incidono su deficit e debito vista la loro natura di vero e proprio “dono” europeo) quanto i prestiti PNRR, e soprattutto la spesa pubblica con essi finanziata, a far crescere la dinamica del nostro deficit su PIL nei prossimi 2 anni. Di quanto?
I numeri a nostra disposizione ci dicono che dei 122,6 miliardi di prestiti spettanti all’Italia, 68,7 sono già stati erogati e 53,9 devono ancora arrivare. Ma quanti dei 68,7 miliardi sono già stati spesi e hanno dunque influenzato i deficit fino al 2024 e non influenzeranno quelli futuri? Non abbiamo un dato certo ma sappiamo che per le note carenze e ritardi organizzativi delle nostre stazioni appaltanti, spesso prive delle appropriate professionalità e di sufficiente personale, una buona parte impatterà sul territorio e verrà dunque contabilizzata solo negli ultimi due anni del PNRR, il biennio 2025-26. Anche soltanto immaginando che di questi 68,7 una ventina (rimanendo ottimisti) siano ancora da spendere, aggiungendoli ai 53,9 raggiungeremmo la cifra di 75 miliardi circa, quasi il 4% di PIL: spese che potrebbero gonfiare i rapporti deficit-PIL 2025 e 2026. Una preoccupazione non da poco per chi deve gestire tradizionalmente i cordoni della borsa, e cioè il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), visto che in quel biennio si applicheranno oltre tutto le nuove regole europee di accelerata riduzione dei deficit pubblici. Verrebbe quasi da pensare che al MEF si sarebbe stati paradossalmente meglio senza questa “complicazione” del PNRR.
Fino ad oggi tuttavia all’interno del Governo hanno convissuto due anime: quella appunto tradizionalmente austera del Tesoro, parte attiva della firma del nuovo Patto di Stabilità e delle sue regole restrittive, e quella più espansiva del Ministero guidato da Raffaele Fitto che sospinge la rapida messa a terra dei fondi PNRR in nome della maggiore crescita e sviluppo che genererebbero per il Paese, contribuendo anche a ridurre l’alto rapporto debito-PIL italiano via aumento del PIL. Due anime largamente irriconciliabili ma che hanno dal 2021 sempre trovato un mediatore nella stessa Unione europea che, per la spesa con fondi PNRR a prestito, ha da subito espresso un favor che raramente mostra quando si tratta di finanziare investimenti pubblici in deficit direttamente con fondi presi a prestito dall’Italia, malgrado poi la gestione sia sempre nazionale.
L’uscita del Ministro Fitto, con prestigioso incarico europeo, modificherà in maniera drammatica il rapporto di forze interno alla coalizione di governo a riguardo degli investimenti pubblici, sbilanciandolo potenzialmente verso il partito dell’austerità. Tracce di ciò si denotano già da quanto apprendiamo sulla manovra per il 2025, ampiamente restrittiva come preteso dalle nuove regole europee. Da dove verranno i fondi per la manovra? Da una meticolosa e necessaria spending review volta a riqualificare finalmente la spesa pubblica? Temiamo che si andrà piuttosto a tagliare gli investimenti pubblici non finanziati dal PNRR, a cominciare da quelli del Piano Nazionale Complementare.
E’ dunque anche possibile in questo quadro che nei prossimi due anni si assista ad un paradossale rallentamento della messa a terra del PNRR, con la perdita di occasioni preziose di sviluppo per il timore del MEF di farsi sfuggire di mano i deficit 2025 e 2026. Ciò sarebbe clamoroso e ben farà il Presidente del Consiglio ad appropriarsi con decisione delle leve operative del comando del PNRR prima che sia troppo tardi. Per evitare la “lenta agonia” dell’Europa e dell’Italia, gli investimenti pubblici sono essenziali, come indicato chiaramente dal rapporto Draghi. Certamente il debito deve essere sostenibile ma questo si ottiene con politiche che stimolino la crescita, agendo sul denominatore invece che sul numeratore. Di fronte alla situazione critica evidenziata dal rapporto Draghi, sembra evidente che politiche restrittive non possano che accelerare la perdita di competitività e con questa le conquiste sociali accumulate a meno di un deciso cambio di rotta verso gli investimenti pubblici quale quello indicato dall’ex presidente della BCE.

Opera: “Impallati”. Copyright opere Angela Maria Piga, all rights reserved.

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