One should read with keen attention the word pronounced by Mr. Barroso, the European Commission (EC) President, yesterday for the (EU) State of the Union. They contain many interesting suggestions for the way ahead.
Being far away from the Bruxelles’ day to day activity, not discussing and reading every single memo that circulates in each EC office, my words that follow might sound those of a naive observer detached from the evolution of European matters. But since Mr. Barroso himself launches “an appeal also to European thinkers. To men and women of culture, to join this debate on the future of Europe“, let me humbly say what strikes me as wrong or detached from reality in his speech.
1. I find it striking that such an important evolution of the European framework, and the related Treaty changes, so well described by Mr. Barroso, are to be presented and proposed by the European Commission and not by an elected group of representatives, were they to be from the European Parliament, the national ones or the European Council. I do not think this as an irrelevant matter. Technocrats do not make proposals for changes of Constitutions. People and their representative do. If Europe today lacks the necessary amount of European democracy, as Mr. Barroso correctly underscores, stances of this type reinforce the perception and the problem. I say this also to underscore the slow capacity of the European Parliament to strike rapidly and cohesively for change in Europe, leaving the agenda too much in the hands of the EC.
2. I find it quite striking that we are entering again in a new debate of changes in the Treaties, with all the huge distraction that comes with it in terms of the inevitable efforts of the national governments and bureacracies to participate in it. Especially in a moment when momentous decisions are awaited by the people, like relieving many of them from the suffering and from the fears that come with instability. We have not shown yet the capacity to create a genuine European sentiment by providing immediate solutions to those problems and we are willing to embark in a new legal adventure? Isn’t there again a huge disconnect between European reality and European institutions that needs to be erased before proceeding further ahead?
3. Mr. Barroso, you say: “Allow me to say a word on Greece. I truly believe that we have a chance this autumn to come to the turning point. If Greece banishes all doubts about its commitment to reform. But also if all other countries banish all doubts about their determination to keep Greece in the Euro area, we can do it. I believe that if Greece stands by its commitments it should stay in the Euro area, as a member of the European family.” I find this statement self-defeating and depressing. Selfdefeating because, by mentioning the word ”if” you are putting into doubt the irreversibility of Greek permanence within the euro (contrary the words of Mr. Draghi which I understand to mean, when he says the euro is irreversible, that it is for each single euro country) . Depressing, because, Mr. Barroso, in a Union there should be no “if”. In a Union, you belong, like in a family, whether you are a black or white sheep (and let me tell you right now thaI can hardly see one black sheep ion Europe). “If” Alabama was told that it could be be let go because of its less than perfect record on racial issues compared to say, Massachusetts, do you think the United States would become a stronger or a weaker Union? I truly think a weaker one, and Alabama, left alone, would lose its drive to slowly and voluntarily improve its institutions and its racial tolerance.
PS: one final detail. There is quite a symbolism in the State of the Union being pronounced in Europe by the Head of a non democratically elected body, while in the United States it is read by the President himself. In that sense, one must appreciate the proposal of Barroso to have in the next European Parliament elections in which each European party proposes the name of their candidate for the EC Presidency. It should be a positive evolution.
14/09/2012 @ 12:04
Siccome voi avete studiato a fondo il Sudamerica mentre io mi limito a conoscerlo appena appena e ho la strana pretesa di contestualizzare i dati economici, vi metto alcuni link su quello che sta succedendo in Argentina (ieri) e me li spiegate voi
http://america.infobae.com/notas/58059-Cacerolazo-contra-el-Gobierno-en-la-Argentina
http://www.emol.com/noticias/internacional/2012/09/13/560416/argentinos-salen-a-la-calle-a-protestar-contra-gobierno.html
http://www.lanacion.com.ar/1508166-comenzaron-los-cacerolazos-en-en-varias-ciudades-del-pais
http://www.eluniversal.com.mx/internacional/79367.html
Oh, la cosa molto interessante che proprio non so come interpretare è questa frase di un membro dell’opposizione
“”El pueblo dijo que no quiere que lo conduzcan desde el miedo”, analizó el jefe de Gobierno porteño, Mauricio Macri”
Ma come non era solo da noi legati a forza al vincolo della moneta unica che esisteva una dittatura della paura in nome dello spread?
“El Gobierno se propuso fracturar a la sociedad Argentina y lo logró”
Ma come non era il governo imperiale dei tecnici che ha imposto l’euro fascista quello che voleva distruggere la coesione sociale? Adesso ci si mettono anche quelli che tornano alla valuta nazionale?
Il bello è che qualcuno è riuscito a pensare che in Argentina ci fosse un governo popolare. Con una come la Kirchner…
Le ultime frasi tra virgolette stanno qui
http://www.lanacion.com.ar/1508376-un-masivo-cacerolazo-de-protesta-contra-el-gobierno-se-sintio-en-todo-el-pais
14/09/2012 @ 13:04
Era per Fla, ovvio
15/09/2012 @ 13:12
Sì ma che la classe “media”, tradizionalmente orientata in sudamerica a investire i risparmi in dollari in funzione antiinflattiva (cioè alla fuga di capitali o esportazione che dir si voglia, esattamente il problema – ovvero una sua fondamentale proiezione- che aveva afflitto l’argentina prima della svolta, portandola al collasso), protesti e ci metta in mezzo anche la corruzione, non dimostra nulla.
NOn si tratta di dati macroeconomici, nè l’inflazione è quel male univoco proprio una volta che la si contestualizzi tra altri indicatori economici, ampiamente indicati da Fla.
Insomma, che esista e persista una parte della società che non “pagò” il grande saccheggio del cambio fisso (avendo protetto il capitale nelle banche statunitensi e altrove) e che ora cerchi legittimazione ideologica e morale (contro una corruzione che, a parti invertite, la vide comunque grande protagonista) è un fatto politico scontato.
Trovare una via d’uscita da una crisi che stava causando enormi e devastanti effetti di degrado sociale non trasforma automaticamente una società sudamericana in un paese “ideale”, con una prosperità diffusa che non è paragonabile alla nostra (e che si sta cercando accuratamente di smontare).
Permangono le tensioni, solo che, a ben vedere, con un segno redistributivo invertito rispetto a prima. La inflazione ex parte creditoris (del titolo di investimento come del conto bancario) è sempre un problema: ma almeno ha un effetto molto più produttivistico, cioè di razionalità di medio-lungo periodo dell’investimento, rispetto all’impiego finanziario in contemporanea liberalizzazione del mercato de capitali.
Gli scontenti ci saranno sempre: le democrazia serve a comporre i conflitti e le manifestazioni delle opposizioni non significano che esista un problema di tenuta macroeconomica, solo che l’aggiustamento e la nuova policy redistribuiscono costi inevitabili.
E magari il ricalibrano nel tempo. Quanto al pensiero che possa essere incrementata la corruzione, mmm…E’ un’accusa tipo, come quella della instaurazione di una dittatura…
Tant’è che in Italia, ogni opposizione grida al regime contro la maggioranza del momento, ma poi nessuno sa (o vuole) guardare alla vera natura sistemica dei problemi socio-economici, che sono radicati nell’euro che, naturalmente, rende “casta” indifferentemente qualsiasi maggioranza, proprio in quanto non si faccia carico di rispristinare la corretta dimensione dell’interesse collettivo, di fronte allo strapotere occultato delle elites oligarchico finanziarie che governano i cambi fissi e le monete uniche…
15/09/2012 @ 17:48
Luca, sottoscrivo parola per parola, evidentemente non riesco a spiegarmi.
Il Sudamerica è una cosa e lì sono possibili o tollerabili fino a un certo punto alcune situazioni, qui credo che il problema diventerebbe molto più grave.
Mi rifaccio a delle affermazioni del prof che in generale mi sembra che cerchi ancora di salvare l’euro e l’ Unione Europea (anche se mi pare abbia posto delle linee rosse, se non ho capito male); in particolare a quelle in cui diceva che se non ci fosse la moneta unica che ci costringe a dialogare saremmo alla guerra e che se cadrà l’euro sarà perché la gente è scesa in piazza “e ha sfondato le porte del parlamento”.
Se voi dite che l’euro è un’operazione fascista (riassumo all’osso) uscendo unilateralmente il conflitto con questi “fascisti” aumenterà di intensità facendo leva su quella parte di popolazione che inevitabilmente si troverà a dover pagare un prezzo più o meno alto. In Argentina o ancora di più in Venezuela “peggiorare”, per questioni di incremento al margine, è una cosa a cui si è abituati da molto tempo e in più le nazioni vicine si sentono tutte impegnate insieme in uno sforzo di affrancamento da un nemico comune “chiaramente identificato” che è l’imperialismo USA.
A mio avviso in Europa invece si scatenerebbero tutte le tensioni che per adesso sono trattenute proprio dalla discussione sulla moneta unica e come ho detto temo che l’euro per l’Europa sarà un po’ come Tito per la Jugoslavia.
Quindi abbandonare l’euro può essere la soluzione solo a patto che ci sia un disegno politico chiaro e conosciuto, capito e sostenuto da una larga parte degli elettori, stabilendo “prima” delle alleanze con altri paesi (cosa, quest’ultima, che in Latino America viene molto più facile per chiunque voglia adottare politiche “nuove”).
Io non vedo nulla di tutto questo e quando leggo in quell’altro blog che si porta a esempio l’Argentina, dicendo a gran voce che non è vero che dopo il corralito ammazzavano la gente nei garage e rispondendo quasi a parolacce se qualcuno gli faceva notare che invece era precisamente quello che succedeva (non solo lì ma in tutti i paesi poveri in crisi economica “acuta” come il Sudafrica alla fine degli anni ’90-molto peggio- o la Russia alla caduta del comunismo) mi viene da pensare che tutta questa indispensabile consapevolezza non ci sia. Temo che si arriverà in ordine sparso al momento cruciale e non sarà piacevole.
Se tu conosci dei progetti politici precisi con un sufficiente consenso trasversale alle varie fasce sociali fammelo sapere per cortesia.
16/09/2012 @ 06:58
MAh, che vuoi che ti dica: le tensioni, data la sua intrinseca natura mercantilistica competitiva, in europa le ha create l’euro. E’ chiaro che il dopo break dovrà risolvere queste tensioni ma solo perchè sono “figlie” dello squilibrio strutturale e non si cancellano all’istante 0.
Ma saranno problemi molto meno irrisolvibili di quanto non si creda e, anzi, il “vincolo” a trattare ragionevoli settlements -in particolare la regolazione dei saldi target2 e il consueto problema del debito posseduto da non residenti e non UEM- potrà meglio far ripartire la cooperazione europea e persino l’unità UE verso l’esterno.
Non c’è niente di meglio di uno “shock” per costringere a reagire positivamente (come ci insegnano quelli che ci hanno messo in questa situazione): solo che questa volta saranno le classi dirigenti a dover reagire nell’interesse dei popoli e non viceversa, com’è accaduto con l’introduzione dell’euro.
16/09/2012 @ 17:48
“MAh, che vuoi che ti dica: le tensioni, data la sua intrinseca natura mercantilistica competitiva, in europa le ha create l’euro”
Luca, non sono all’altezza di disquisire con un esperto come te; sul fatto che le tensioni siano state “create” dall’euro però ho forti dubbi.
17/09/2012 @ 12:15
Marco, appoggio Luca in toto. Però non prenderla come presa di posizione “contro” di te, ma a “tuo favore” per illustrare meglio con parole “tecniche” queste affermazioni. Perchè l’Euro ha esacerbato in maniera drastica le tensioni competitive lo dice chiaramente il prof. Cesaratto qui http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/03/10/sergio-cesaratto-la-germania-e-l%E2%80%99italia-che-vorremmo-e-quelle-che-abbiamo/ . Quale sia invece la situazione dell’Italia e del suo imperfetto tentativo di imitare quanto fatto in Germania viene illustrato brillantemente qui dal prof. Brancaccio http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2010/09/deficit-crisi-e-politica-deflazionista-provisional-draft.pdf . E per andare sul discorso “Tito – Jugoslavia”, il percorso comune con l’UE è presto dato da due parole: debito estero. La Jugoslavia (di cui l’Italia era il secondo partner commerciale) accumulò un pesante debito verso l’estero, e per risolverlo, Belgrado impose le stesse drastiche misure che i vari governi impongono attualmente ai propri “cittadini”. In un contesto fortemente destabilizzato, in cui le spinte secessioniste diventavano ogni giorno sempre più forti nei confronti di un governo centrale visto sempre più come un buco nero finanziario, è stato facile per le sirene centro-europee attirare a sè i paesi settentrionali quali Slovenia e Croazia e le relative classi “dirigenti”. L’uscita dall’economia “pianificata” a quella “di libero mercato” è stato il fulcro della secessione, e condizione sine qua non per queste due repubbliche per poter avere accesso ai capitali (o IDE, investimenti diretti esteri) provenienti da Austria o Germania. Andiamo a vedere da chi sia in “realtà” gestito il sistema finanziario sloveno ad esempio. Da banche in orbita Austria e Germania, e da società che hanno rilevato la proprietà di interi comparti produttivi. Idem, ma qui dovrei verificare meglio, quello croato. Uno dei bastioni del socialismo autogestito europeo crolla, dando mercati di sbocco a manodopera a basso costo al capitalismo finanziario europeo. Tutti ora sanno a cosa abbia portato questa “colonizzazione” la Slovenia: debito estero e prossima richiesta di aiuti all’UE. Film già visto.
17/09/2012 @ 15:08
“Perchè l’Euro ha esacerbato in maniera drastica le tensioni competitive lo dice chiaramente il prof. Cesaratto”
Ha esacerbato e non “creato”.
E non credo che il problema sia semplicemente una questione di tensioni competitive fra stati.
Euro o non euro saremmo comunque arrivati al momento in cui la classe dominante (trovatemi un altro termine) avrebbe cercato di mettere definitivamente in ginocchio i salariati (i “subordinati” come dice il simpaticissimo Brancaccio), secondo un trend prima bloccato dal “fattore K” durante la guerra fredda e che ha preso finalmente il via appunto alla caduta del muro di Berlino.
La cosa nuova inoltre, è che questa classe dominante si è praticamente splittata in due, da una parte quelli che Della Valle ha chiamato “i furbetti cosmopoliti” e dall’altra l’impresa legata indissolubilmente al territorio (quindi i “non cosmopoliti”), più alla produzione che alla finanza e praticamente tutta la PMI (i dominanti di serie B).
Tutte queste faglie erano evidentissime già molto prima dell’euro e senza la moneta unica (che così com’è è funzionale al progetto “fascista”) ci sarebbero state solamente delle modalità differenti di manifestazione del conflitto.
Tra l’altro questa sarebbe un’occasione storica irripetibile in cui fra lavoratori e una parte della classe dominante, quella di serie B, si potrebbero stabilire dei rapporti totalmente nuovi per una lotta che, per essere combattuta per la prima volta in comune, cambierebbe di molto i rapporti di lavoro e anche quelli sociali; ma ovviamente questa opportunità andrà perduta per l’assoluta immaturità dei subalterni e il patetico attaccamento alle prerogative di prestigio e privilegio dei dominanti (che sotto sotto ancora sperano di riuscire restare con quelli di A).
Quindi l’euro a mio modesto avviso non ha “creato” una situazione che era abbondantemente prevedibile molto tempo fa, di cui la questione ineludibile è più l’incipiente e ormai incombente conflitto sociale (con articolazioni nuove rispetto al passato) che la tensione competitiva fra stati.
Se uno ci pensa, l’inspiegabile mancanza di progetti politici chiari e condivisi deriva proprio dall’impossibilità di nominare e “divulgare pubblicamente” una visione obiettiva di questo conflitto sociale perché secondo gli schemi politico economici attuali questo è del tutto irrisolvibile se non, come dice qualcuno, tramite uno shock rigeneratore.
Forse è vero che lo shock sarà l’esito inevitabile ma dubito molto che sarà “rigeneratore” nel senso che di diceva, cioè di costringere
“le classi dirigenti a dover reagire nell’interesse dei popoli e non viceversa”.
Non credo proprio.
17/09/2012 @ 21:31
Ti faccio una domanda: ma se in caso di referendum sull’entrata in vigore dell’Euro i media ed i politici – “traducendo” il pensiero di validi economisti quali Meade, Mundell, Krugman, Dornsbusch – ci avessero chiesto se, in caso di shock esterni, preferivamo svalutare la moneta o il salario:
a) tu cosa avresti scelto?
b) (cosa più importante) ce l’hanno per caso proposto in questi termini?
Perchè a me risulta:
1) che ce non l’abbiano dipinta così questa (non) scelta
2) che sia l’Euro che, abolendo l’aggiustamento nominale del cambio e scaricandone tutto il peso sul prezzo dei beni (il cui unico costo variabile svalutabile è appunto il salario), abbia di fatto portato l’UEM all’attuale posizione di deflazione (salariale) e disoccupazione dilaganti. L’Euro è cioè lo strumento, il maglio, con cui le classi dominanti hanno potuto schiacciare i diritti dei lavoratori.
L’Italia è dal 1979 che ha la propria politica monetaria “decisa” dalla Bundesbank, cioè fa parte della cosiddetta “area del marco allargata” (Cit. da Francesco Carlucci “L’Italia in ristagno”) il percorso della lotta di classe “al contrario” parte da lì. Dagli albori del progetto Euro che erano il serpente monetario e lo Sme!
18/09/2012 @ 00:07
L’euro lo strumento delle classi dominanti? Flavio, e con le dominazioni degli ultimi 100 secoli come la mettiamo? Lei crede veramente che senza euro finisce la dominazione o che questa venga lenita? Mi permetta di salutare con un sorriso il suo innato ottimismo. Che non toglie il suo grave -a mio avviso- errore, quello di combattere il nemico sbagliato: anche questo fa piacere al nemico vero.
18/09/2012 @ 10:09
Professore, io purtroppo non sono un ottimista. Lei lo è molto più di me e, in tutta onesta e sincerità, la invidio molto. Perchè sa trovare il buono anche dove io non capace di vederlo. Ed è un limite, il mio. Partiamo da questa mia personale supposizione: stando a quanto afferma la teoria mainstream, i fattori di produzione (capitale e lavoro) dovrebbero seguire la logica dei “rendimenti decrescenti”, cioè essere più produttivi dove sono più scarsi, e della remunerazione in base al contributo marginale che essi apportano al processo produttivo. Se il mondo non girasse all’incontrario – ed il “non sistema monetario” (cit. Gandolfo) fosse basato invece che sul dollaro (con tutte le conseguenze che già Triffin nel 1960 espose) su una moneta sovranazionale (Bancor keynesiano) – il capitale dovrebbe andare dove è più scarso, cioè dove è meglio remunerato o ha la produttività marginale più alta. Un comportamento “virtuoso” si direbbe. Detto ciò, perchè (“contravvendo” alla prima “legge”) è la Cina, il paese più povero, a finanziare a livello mondiale quello più ricco, gli Stati Uniti? Perchè (contravvenendo alla seconda logica) in Europa la potenza regionale egemone (la Germania) finanzia la sua economia “export-led” attraverso il canale finanziario, inondando di capitali esteri in modo “crescente” invece che “decrescente” tutti (o quasi) i cosiddetti PIIGS? La “crisi” attuale quindi non deriva da questi due comportamenti per noi gente comune “irrazionali”, ma del tutto “razionali” per gli operatori finanziari? Praticamente, essendo questa una crisi finanziaria, stiamo parlando di prestiti (dovuti ad un risparmio “emergente” o “tedesco”) veicolati verso attività molto rischiose che gli operatori finanziari hanno elargito “a rischio” (piuttosto che tenerli “fermi” in pancia) ben sapendo che i debitori, stando agli indicatori economici (ad esempio in Europa per Grecia e Spagna) che indicavano “allarme rosso” già dal 2002 e 2004 circa, non sarebbero stati in grado successivamente di ripagare. Anche perchè alla fine, per salvare il sistema finanziario andato in stracci e l’economia stessa, ci pensa sempre lo Stato (cioè noi contribuenti) salvando il salvabile. Quindi, mi chiedo, come mai ci sono tante regole nell’UEM sui deficit/debiti pubblici, ma nessuna specifica sui decifit/debiti esteri dei paesi UEM? Forse perchè così facendo si vanno a toccare i circuiti finanziari privati? Perchè le regole sono così sbilanciate ed a favore di chi ha l’inflazione più “bassa”, nonostante il target sia al 2% e non si punisca anche chi si sposta al ribasso, costringendo giocoforza chi è in difficoltà a “deflazionare”, mettendo in atto misure “pro-cicliche” che Lei stesso ha sempre definito deleterie? Perchè si costringono le banche centrali ad essere “indipendenti” dal sistema fiscale nazionale, esponendo i paesi più deboli al ricatto dello spread, proprio nel momento in cui questi avrebbero più bisogno di “finanze” a buon mercato per mandare avanti scuole, ospedali, pensioni, stipendi, investimenti, welfare? Forse perchè si vuole evitare l’intervento dello Stato nell’economia, sia nella sua veste di intermediario finanziario che di redistributore di ricchezza attraverso il sistema di welfare e pensionistico? I risparmi delle famiglie, in questi anni dopo l’abolizione della separazione fra banche commerciali e di investimento, convogliati verso il circuito finanziario non sono serviti ad acquistare capitale produttivo, ma ad alimentare una bolla finanziaria, materializzatasi in enormi plusvalenze. L’economia delle bolle ha bisogno di denaro fresco: smantellamento dei sistemi pensionistici di tipo retributivo e azzeramento del debito pubblico sono un mezzo efficace per averlo immediatamente a disposizione. Dietro la regola del pareggio di bilancio che supinamente i nostri politici hanno approvato c’è anche, consapevole o meno, la spinta verso una ulteriore “americanizzazione” del circuito del risparmio europeo, con l’inevitabile aumento della diseguaglianza che questo processo porta con sé. Rudiger Dornbusch aveva ammonito che, trasferendo il peso dell’aggiustamento dal cambio al mercato del lavoro, l’euro avrebbe condannato l’Europa a recessione e disoccupazione, come sta avvenendo, mettendo alle corde in particolare l’Italia, come tutti possiamo ben vedere. Non posso che essere completamente d’accordo con lui. E questa per me è pura lotta di classe “al contrario”, di cui l’Euro è lo strumento perfetto. Sbaglierò, ma credo che i fatti siano a dirci proprio questo. Un cordiale saluto.